venerdì, marzo 31, 2017
giovedì, marzo 30, 2017
NUOVE RENDITE CATASTALI E TAGLIO DELLE DETRAZIONI FISCALI TRA LE "SORPRESE" PASQUALI DEL GOVERNO GENTILONI
di Giacomo Stucchi
In mezzo al marasma politico e istituzionale, del quale il Pd e le sue
divisioni sono i principali artefici, i cittadini devono temere qualche brutta
sorpresa con un aumento delle tasse? Dalle parti di Palazzo Chigi si cerca di
edulcorare la questione ma alcuni segnali fanno capire che si va proprio in
questa direzione. Le cattive notizie per i contribuenti potrebbero infatti
arrivare alla vigilia della vacanze pasquali, entro il 10 aprile, quando il
governo Gentiloni dovrà varare il Def e il Programma
nazionale di riforma (Pnr). Nel menù del Pnr il piatto forte si annuncia essere
la riforma del catasto, intesa come valutazione dei valori immobiliari basata
sui metri quadri anziché dei vani e, soprattutto, sull’aggiornamento delle
rendite catastali.
Una batosta per tutti i proprietari di immobili che non tiene conto, tra
l’altro, del fatto che dal mercato immobiliare lo Stato già oggi attinge una
cifra mostruosa che, secondo le stime di Confedilizia, supera i 50 miliardi di
euro. Basti pensare ai tributi patrimoniali Imu e Tasi, che ammontano a 22
miliardi. Nell’ultimo lustro tutti i governi hanno attinto al mercato
immobiliare per fare cassa, con il risultato che la tassazione, soprattutto
sulle seconde case, ha raggiunto livelli stellari; deprimendo, peraltro, il
settore dell’edilizia che è sempre stato volano di sviluppo per la nostra
economia. Un ulteriore aumento della pressione fiscale in questo comparto
potrebbe morticare maggiormente del tutto il mercato dell’edilizia, e il suo
indotto, già messi a dura prova negli ultimi anni.
Altra misura annunciata è poi quella della revisione delle detrazioni
fiscali. Un’operazione che di fatto si traduce in un aumento della tasse per
molte famiglie che ne usufruiscono. Il rischio è che anziché eliminare quelle
obsolete si faccia tabula rasa. Un pò come è successo coi voucher, uno
strumento che forse andava riformato ma che invece l’esecutivo ha eliminato del
tutto perché Renzi temeva di perdere un altro referendum dal forte impatto
politico e sociale. L’impressione, quindi, è che le dichiarazioni ufficiali
degli esponenti di governo, che annunciano misure a favore della crescita, siano
solo parole; e che la realtà, invece, sia ben diversa.
martedì, marzo 28, 2017
LE OCCASIONI SPECATE DAI GOVERNI A GUIDA PD
di Giacomo Stucchi
Sono botte da orbi nel Pd sui conti pubblici e sulle performance dei governi
guidati dagli ex premier Enrico Letta e Matteo
Renzi, che si scambiano reciprocamente messaggi al vetriolo sulle
responsabilità e i fallimenti dell’uno e dell’altro. Viene da chiedersi come un
partito così diviso su tutto possa governare e ambire a farlo ancora nel
prossimo futuro. Le divisioni del Pd, però, che si alimentano anche per le
vicende congressuali, potrebbero costare care al Paese.
Atteso che si è deciso di non andare a votare già in questa primavera ci
saremmo aspettati dalla maggioranza di governo un impegno straordinario in
questo scorcio di legislatura che servisse ad approvare, tra l'altro, una
valida ed efficace legge elettorale in grado di garantire nel prossimo futuro un
governo stabile e capace di affrontare le tante sfide che ci aspettano. Invece i
veti incrociati nel Pd, e quelli tra questo partito e i suoi alleati di
governo, rischiano di lasciare in eredità un sistema politico a forte
instabilità.
Sfide interne ma non solo. Le celebrazioni di Roma in occasione del 60º
anniversario della costituzione del mercato comune europeo, con tutti i fronzoli
di cerimonie, strette di mano, fotografie e brindisi, non possono infatti
cancellare i fallimenti di un’Unione europea dalla quale, così com'è, non si può
che prendere le distanze. Basti pensare all’incapacità di vigilare sulle
frontiere dell’Unione per proteggerle da un' immigrazione clandestina massiccia.
Maggiori responsabilità dei tecnocrati di Bruxelles, che sul fronte
dell’immigrazione (e non solo) hanno abbandonato il nostro Paese al suo destino,
hanno però i governi del Pd che negli ultimi anni si sono avvicendati a Palazzo
Chigi. Gli esecutivi Letta, Renzi e, da
ultimo, Gentiloni, hanno sostanzialmente perso delle occasioni
di rilancio economico. Non hanno, cioè, saputo sfruttare la congiuntura
positiva, la politica monetaria della Bce e il prezzo basso del petrolio.
Insomma, tutte condizioni macroeconomiche favorevoli che avrebbero potuto di
certo costituire un volano di sviluppo per la nostra economia. Buttate al vento
queste possibilità non resta quindi che constatare il fallimento del Pd al
governo, con un'economia ferma al palo e un sistema politico e istituzionale
bloccato.
sabato, marzo 25, 2017
25/03/17 - MANIFESTAZIONE SINDACI DELLA BERGAMASCA contro i tagli del governo al fondi per il sociale.
venerdì, marzo 24, 2017
QUELLE DECISIONI SBAGLIATE DI RENZI CON LE QUALI DOBBIAMO FARE I CONTI
di Giacomo
Stucchi
Mentre i
fatti di Londra riportano l’attenzione ai drammatici scenari coi quali dobbiamo
confrontarci, qualcuno nel nostro Paese continua a ripetere ad arte il mantra
secondo il quale le bocciature delle riforme volute da Matteo Renzi,
quella del referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale e quella
della Consulta sull'Italicum, ha determinato l’attuale immobilismo politico.
In realtà,
se solo le forze politiche di maggioranza, a cominciare dal Partito Democratico
che detiene il maggior numero di deputati, guardassero ai problemi sul tappeto
con un po' di pragmatismo e si mettessero a lavorare seriamente, faremmo di
certo dei passi avanti. A cominciare dalla legge elettorale. Invece, sulla
questione, assistiamo all’ennesimo rinvio in Commissione parlamentare.
L’immobilismo,
quindi, non è determinato dall'esito del referendum o dalla sentenza della
Corte costituzionale, ma dalla spregiudicatezza politica di coloro che
vorrebbero far credere che da quelle decisioni derivi l’impossibilità di dare
al Paese un buon sistema elettorale che determini, in prospettiva, un governo
stabile ed efficace.
Gli stessi
soloni, poi, fanno finta di dimenticare che se fosse passato il referendum
costituzionale avremmo avuto guai di gran lunga maggiore; e un governo Renzi
che avrebbe continuato a prendere decisioni sbagliate con le quali, oggi, ci
troviamo a dovere fare i conti.
Basti
pensare al fronte immigrazione e a quello della sicurezza, per certi versi due
facce della stessa medaglia, per constatare quanto ci stiano costando gli
errori di Renzi. Con l'arrivo della bella stagione sono già migliaia gli
immigrati irregolari sbarcati sulle nostre coste, con tutti i problemi
logistici, economici e sociali che questa situazione comporta. E chissà quanti
altri sono già pronti a partire. Non si può oggi nascondere la testa sotto la
sabbia e far finta che questa situazione non sia figlia anche di tre anni di
lassismo totale di un premier e di un governo che, sia sul fronte della
collaborazione internazionale sia su quello del respingimento dalle nostre
coste, non ha fatto alcunché.
Così come,
sul fronte della sicurezza, dinanzi al grido di disperazione dei sindaci rimasti
inascoltati dall’ex premier per ben tre anni, il governo Gentiloni non
ha potuto fare altro che intervenire con un decreto che auspichiamo riesca
davvero a rispondere alle legittime esigenze di sicurezza dei cittadini.
martedì, marzo 21, 2017
100 GIORNI DI NULLA
di Giacomo Stucchi
A tre mesi e mezzo dalla sconfitta al referendum costituzionale, e dopo
quasi due mesi dalla bocciatura dell’Italicum da parte della Consulta, l’ex
premier Matteo Renzi non ha imparato nulla dagli errori
commessi e continua a condizionare negativamente l’agenda politica e le scelte
del governo.
Sulle nomine dei vertici delle aziende di Stato, per esempio,
l’esecutivo Gentiloni è parso più dedito all’occupazione del
potere, ancorché per interposta persona, che non alla scelta dei nomi sulla base
delle competenze; le quali, peraltro, non sono state apprezzate da giudici
imparziali quali sono di certo i mercati finanziari. La lottizzazione delle
cariche fatta da Renzi attraverso il
governo Gentiloni, che si è prestato al gioco, lascia quindi
davvero stupefatti. Sia per il metodo sia per la tempistica. Per il metodo,
perché la scelta delle nomine è stata fatta senza quella trasparenza che sarebbe
stata necessaria; per i tempi, perché nei suoi mesi di attività il governo in
carica avrebbe dovuto soltanto occuparsi di quelle poche cose necessarie a
portare la legislatura verso la sua conclusione.
Gentiloni, al momento del suo insediamento a Palazzo Chigi,
aveva detto di “voler accompagnare e se possibile facilitare” un’intesa in
Parlamento per l’approvazione della nuova legge elettorale. Francamente però, a
più di cento giorni dalla sua nomina a presidente del Consiglio, non abbiamo
visto la minima traccia di questo lavoro, né in Parlamento né in altre sedi.
Il destino della nuova legge elettorale, peraltro, è inevitabilmente
condizionato dalle beghe congressuali del Pd. Ecco perché molto difficilmente su
questo fronte si muoverà qualcosa prima dell’elezione del nuovo segretario dei
Dem.
Intanto, però, le soluzioni ai tanti problemi del Paese latitano e alla
scelte sbagliate di Renzi si sommano adesso gli errori del
governo Gentiloni. Dal bonus mamma domani, che doveva entrare
in vigore ormai quasi tre mesi fa e che invece è ancora impantanato in pastoie
burocratiche che ritardano di molto i tempi per l’erogazione, ai voucher
lavoro, che sono stati aboliti dal governo con un decreto ma senza avere
fatto chiarezza sul destino di quelli acquistati prima dell’entrata in vigore
dello stesso provvedimento e spendibili prima della fine del 2017, il caos è
totale. Se questo è l’andazzo, bisogna davvero preoccuparsi per i molti danni
che questo governo potrà ancora fare prima che gli si stacchi la
spina.
venerdì, marzo 17, 2017
giovedì, marzo 16, 2017
IL GOVERNO GENTILONI TIRA A CAMPARE MENTRE I CITTADINI TIRANO LA CINGHIA
di Giacomo Stucchi
L'esito del voto di sfiducia al ministro Luca Lotti, passato
per il momento indenne dalle forche caudine del Senato, non deve trarre in
inganno. Più che un rafforzamento del governo, infatti, si tratta del prosieguo
di una lunga agonia politica alla quale
l'esecutivo Gentiloni sembra essere destinato.
"Non voglio tirare a campare", avrebbe detto Gentiloni alla
Camera incontrando i deputati del Partito Democratico (o meglio, di ciò che
resta di quel gruppo parlamentare dopo la scissione), ma è esattamente ciò che
ha fatto da quando si è insediato.
Il vivacchiare del governo è un dato di fatto e non può che danneggiare i
cittadini, a cominciare da una politica economica senza criterio. Nel Def che
sarà presentato il prossimo mese di aprile, infatti, potrebbe non esserci alcun
accenno al taglio del costo del lavoro né un provvedimento degno di nota
riguardo al cuneo fiscale. Forse perché mentre l'Unione europea si dichiara
intenzionata a rivedere, o a limitare la flessibilità concessa
a Renzi, il premier Gentiloni è costretto a
fare marcia indietro sulle sue promesse.
Insomma, siamo sempre ai soliti annunci propagandistici ai quali però non
seguono i fatti concreti. Di concreto, però, c’è l’intenzione del Mef di
riesumare quella riforma del catasto lasciata in standby dall’ex premier, ma
che adesso potrebbe essere tirata fuori dal cassetto per fare cassa.
Intanto il governo e la maggioranza che lo sostiene sono impegnati a
scansare il pericolo del referendum sui voucher, che si annuncia già una nuova
Caporetto per il Pd e per Renzi, dopo quella del 4 dicembre
sulla riforma costituzionale. La data del referendum è stata fissata per il
prossimo 28 maggio ma non è da escludere un decreto del governo che modifichi o
cancelli del tutto i voucher e renda inutile, quindi, la consultazione
elettorale.
Il rischio di un’altra batosta elettorale per il Pd è grosso e, quindi, dopo
lo sconsolante dibattito in Senato sulla sfiducia al
ministro Lotti, una campagna elettorale congressuale che non
scalda gli animi e un’inerzia governativa sconsolante, alla maggioranza
parlamentare che tiene in piedi l’esecutivo non rimane altro che aggrapparsi al
governo Gentiloni; e tenerlo in vita il più a lungo possibile
per allontanare quelle urne che ora il Pd teme come la peste.
Sui voucher, però, rimane il fatto che l'utilizzo di questo strumento,
ancorché non direttamente legato alla riforma del Jobs Act, ha avuto un
incremento strabiliante nel 2016, proprio con il
governo Renzi.
martedì, marzo 14, 2017
LA RIPARTENZA DI RENZI NON CONVINCE NESSUNO
di Giacomo Stucchi
L'appello all'unità fatto da Renzi al lingotto di Torino,
per l'ultima giornata della convention del Pd in vista delle primarie, sembra
più dettato dalle necessità del momento che non da una reale volontà del
candidato alla segreteria di mettere insieme le tante componenti del
partito.
L'ex premier, infatti, nella sua precedente segreteria, ma anche
nell'esperienza di governo, non sarà certo ricordato per una politica inclusiva;
tuttavia occorre fare di necessità virtù e quindi in questo momento, non certo
felice per il Pd e per l’ex segretario, serve ricordarsi del valore dell’unità e
invocarla a gran voce.
"Non vogliamo – dice ancora Renzi - un partito di
correnti e caminetti, c'è bisogno di più leader non di meno leader. Quello senza
leadership è un modello sbagliato”. Quasi a voler sottolineare che l’appello
all’unità, però, non significa che il “rottamatore” ha l’intenzione di farsi
condizionare dalle correnti. Ma la strategia renziana per tornare alla guida del
partito non coincide con quella delle varie anime del Pd che non avrebbero più
nessuna intenzione di appoggiare Renzi, nella sua battaglia per il
rinnovo del mandato di segretario, incondizionatamente.
Un errore, quello dell’appoggio incondizionato, che a Largo del
Nazareno hanno commesso una volta e che non vogliono più ripetere. Insomma,
l’impressione è che Renzi, ancorché al momento dato per vincitore alle
primarie, per rimanere alla guida del Pd potrebbe pagare un dazio pesante.
Nessuno, infatti, nel suo partito è intenzionato a dargli credito come un
tempo.
E se non si fidano più di lui nel suo partito figuriamoci fuori.
I sondaggi fotografano un Pd in caduta libera, a fronte di un centrodestra che,
unito, è quanto mai competitivo. Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni, ma la
sensazione è che la convention del Pd del lingotto abbia lasciato in quel
partito e nell’opinione pubblica più dubbi che certezze. Uno slogan, ‘tornare a
casa per ripartire insieme’, accompagnato da un trolley, potrebbero non bastare
per convincere davvero gli elettori del Pd ormai disillusi da una leadership
poco credibile.
giovedì, marzo 09, 2017
LE PRESE IN GIRO DEL DUO RENZI-GENTILONI
di Giacomo Stucchi
L'idea di Matteo Renzi di istituire una commissione
d'inchiesta sul sistema bancario non è nuova. Già un anno fa, infatti, l'ex
premier aveva avanzato la proposta ma non se ne fece nulla. Erano, però, altri
tempi e se solo Renzi avesse voluto davvero cercare la verità
avrebbe potuto di certo accelerare sul varo della commissione. Oggi la
situazione è molto cambiata.
"Aspettiamo con curiosità- ha scritto Renzi - che il
Parlamento approvi la commissione d'inchiesta sulle banche. Sarà interessante
per capire le vere responsabilità. Per me la trasparenza è un concetto
irrinunciabile”. Può darsi, ma non è un mistero il desiderio dell'ex premier di
utilizzare la commissione d’inchiesta più per regolare i conti con vecchi e
nuovi avversari, fuori e dentro il Pd, che non per far luce su fatti poco
chiari.
Comunque siamo alle solite, il Pd utilizza le istituzioni per regolare i
conti interni al partito e a farne le spese, come sempre, sono soltanto i
cittadini. Ai quali, invece, bisognerebbe dimostrare almeno un serio tentativo
di cercare la verità per capire come sono andate esattamente le cose.
Si parla tanto di "trasparenza" ma intanto il Paese viene tenuto nel limbo
delle incertezze. Il premier Paolo Gentiloni dice di voler
abbassare le tasse ma poi spunta la possibilità di un aumento dell’Iva; alla
quale, peraltro, l’ex premier Matteo Renzi si dice contrario ma
senza avanzare soluzioni alla richiesta fatta da Bruxelles di un assestamento
dei nostri conti pubblici, disastrati anche a causa della sua politica dei
bonus.
Che continuano, peraltro, con l'approvazione del ddl povertà. Un
provvedimento dai contorni per niente chiari che sa tanto di propaganda e poco
di concretezza. L’ultima trovata del governo è, poi, la flat tax ma solo per i
ricchi che risiedono all’estero; per tutti gli altri, invece, continuerà ad
esistere un fisco opprimente.
Insomma, altro che ricerca della verità sul sistema bancario e abbassamento
delle tasse, il governo è reticente su molti fronti e il
duo Renzi-Gentiloni stia solo prendendo in giro il Paese.
martedì, marzo 07, 2017
LE PROPOSTE EVERGREEN DI GENTILONI PER RIMANERE INCOLLATO ALLA POLTRONA
di Giacomo Stucchi
E’ difficile immaginare che Matteo Renzi non sapesse nulla
delle esternazioni di Paolo Gentiloni, che di
fatto sembrerebbero allungare la vita al governo e alla legislatura. Anche in
questo caso il condizionale è d’obbligo, avendo a che fare con un partito, il
Pd, e un suo esponente, Matteo Renzi, che hanno nella
volubilità la caratteristica principale.
Probabilmente l’ex premier, obtorto collo, ha preso atto che le vicende
congressuali, da un lato, e quelle legate all’inchiesta sulla Consip,
dall’altro lato, per il momento non lo mettono nelle condizioni di dettare né i
tempi né i modi dei prossimi passaggi politici ed istituzionali. Inoltre gli
stessi passaggi, a giudicare dai sondaggi che vedono in caduta libera il Pd, si
annunciano molto complicati per il partito di maggioranza relativa.
Avanti, allora, con un Gentiloni che si ritrova così catapultato al centro
della scena politica, malgrado il parere contrario della maggioranza dei cittadini, che vorrebbe
andare a votare al più presto, e i fallimenti dei governi a guida Pd che i
dati Ocse certificano per un' Italia ultima tra i grandi Paesi europei per
quanto riguarda la crescita, nel 2016 ma anche nel 2017 e nel 2018. Avanti,
quindi, con un'agenda di governo dettata da Matteo Renzi
ma che smentisce se stesso.
"L'obiettivo del prossimo Documento di Economia e Finanza - ha infatti detto il premier in un'intervista televisiva - è un ulteriore abbassamento delle tasse sul lavoro: dobbiamo rendere gli investimenti sul lavoro più vantaggiosi". Ma come, mirabolanti risultati su questo fronte non erano già stati raggiunti con il Jobs Act? E il bonus degli 80 euro, non avrebbe dovuto lasciare in tasca ai lavoratori i denari utili a far ripartire i consumi?
"L'obiettivo del prossimo Documento di Economia e Finanza - ha infatti detto il premier in un'intervista televisiva - è un ulteriore abbassamento delle tasse sul lavoro: dobbiamo rendere gli investimenti sul lavoro più vantaggiosi". Ma come, mirabolanti risultati su questo fronte non erano già stati raggiunti con il Jobs Act? E il bonus degli 80 euro, non avrebbe dovuto lasciare in tasca ai lavoratori i denari utili a far ripartire i consumi?
Gentiloni, poi, non ha dubbi su quale sia il rimedio per
rimettere in moto il Paese e avanza la proposta evergreen sul rilancio del
Mezzogiorno. Peccato, però, si tratti solo di buoni propositi, sentiti già
centinaia di volte in passato, che dicono tutto e niente; e che si scioglieranno
come neve al sole una volta passata la campagna elettorale.
Ma per Gentiloni e i suoi ministri ogni argomento è buono pur di rimanere incollati alla poltrona; e con essi una maggioranza parlamentare, costituita dal Pd e dai suoi alleati, sempre più consapevole di essere arrivata alla fine di un ciclo e, proprio per questo, restia a mollare potere e cadrega.
Ma per Gentiloni e i suoi ministri ogni argomento è buono pur di rimanere incollati alla poltrona; e con essi una maggioranza parlamentare, costituita dal Pd e dai suoi alleati, sempre più consapevole di essere arrivata alla fine di un ciclo e, proprio per questo, restia a mollare potere e cadrega.
giovedì, marzo 02, 2017
LE "DIMENTICANZE" DELL'EX PREMIER
di Giacomo Stucchi
Il tentativo dell'ex premier, Matteo Renzi, di continuare a
dettare l'agenda di governo, nonostante lui stesso sia rimasto al governo per
quasi tre anni senza aver dato prova di sapere fare grandi cose, è davvero
surreale.
Forse è necessario che gli si rinfreschi la memoria. Dalla riforma
costituzionale (sonoramente bocciata dai cittadini) a quella elettorale
(bocciata dalla Consulta), dall’economia ferma ancora allo 'zero virgola' ai
milioni di poveri esistenti nel nostro Paese, dai centri di accoglienza per gli
immigrati al collasso ai clandestini che bighellonano in ogni dove nelle nostre
città ( e che solo l’abnegazione di tutti gli operatori del comparto sicurezza
ha impedito, sino ad oggi, che potessero creare gravi problemi alla sicurezza
dei cittadini), l’elenco dei fallimenti è lungo e variegato.
Così come, del resto, quello delle bugie. Quando, per esempio, l’ex
presidente del Consiglio rivendica la sua capacità di aver saputo conquistare
giorno per giorno la flessibilità sui conti pubblici, attraverso un continuo
contenzioso con Bruxelles, omette di ricordare le conseguenze economiche che
negli ultimi anni ha avuto la politica del quantitative easing promossa
dal presidente della Bce, Mario Draghi.
Senza gli effetti di questa politica, che ha tra l'altro impedito allo spread
di salire, il buon Renzi non avrebbe potuto utilizzare un
centesimo né per dare incentivi alle imprese che assumevano (le quali, però,
tolti gli incentivi hanno smesso di farlo) né per il famoso bonus di 80 euro
a una vasta platea di contribuenti (parte della quale, però, è stata costretta
a restituirli).
Insomma, alle favole non crede più nessuno. Così come alle rassicurazioni sul
governo in carica. Quando Renzi dice che Paolo
Gentiloni non ha più l’alibi del voto anticipato a giugno, perché il
calendario congressuale del Pd lo rende di fatto improbabile, e quindi deve
‘fare le cose’, allunga inevitabilmente un’ombra sinistra sulla vita
dell’esecutivo. In molti, infatti, ricorderanno che le stesse parole, ‘fare le
cose’, furono utilizzate nei confronti di Enrico Letta nel
2014, prima di defenestrarlo da Palazzo Chigi. Ma la differenza fondamentale,
rispetta ad allora, è che oggi a Renzi non crede più
nessuno.