Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

giovedì, aprile 26, 2007

Grandi manovre dietro il referendum

di Giacomo Stucchi

In attesa che si determinino altre negative conseguenze, sulla già confusa situazione politica, l’inizio della raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge elettorale (ma sarebbe più corretto dire modificativo) ha già avuto il suo primo deleterio risultato. I cittadini infatti hanno visto accostarsi ai banchetti dei referendari Fini e il ministro Parisi (che tra l’altro è anche membro del comitato promotore), la Prestigiacomo e il sindaco Cacciari e hanno cominciato a chiedersi che cosa sta succedendo? E’ credibile che personaggi politici, che nelle aule parlamentari o nei consessi civici locali se le cantano di santa ragione, diventino poi “alleati” nella battaglia referendaria? Di fatto è così, ma le ragioni non hanno niente a che vedere con un improvviso, quanto improbabile, rigurgito di buonismo. Il punto è che, come avevamo denunciato mesi fa sulle pagine de la Padania, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra sono in atto le grandi manovre per cancellare le forze politiche che disturbano la restaurazione dell’ancienne regime. Perché è bene che i cittadini sappiano che se il referendum fosse celebrato (sono ancora tanti gli ostacoli, a cominciare dal parere della Corte Costituzionale) a farne le spese sarebbe anche un movimento, qual è quello della Lega Nord, che da vent’anni si batte per le riforme, in primis quella federalista. Ma c’è di più. E’ facile avere appeal sui cittadini quando si pone loro l’alternativa tra l’avere più o meno partiti, sarebbe come chiedergli se al ritorno dalle ferie preferiscono trovare la fila al casello dell’autostrada o la via sgombra, ed è ovvia la risposta. Chiunque direbbe che è meglio avere pochi partiti. Ma ciò che i promotori referendari, almeno da quel che si sente e si vede in questi primi giorni di raccolta delle firme, omettono di spiegare all’opinione pubblica è che attribuire il premio di maggioranza ai due maggiori partiti, anziché alle coalizioni (come avviene con l’attuale legge elettorale), significa obbligare per forza di cose gli stessi ad aggregare rappresentanze elettorali molto eterogenee tra loro. Altro che semplificazione del quadro politico, si avrebbe più confusione di prima e i grandi partiti, che inevitabilmente ne verrebbero fuori, farebbero tanti di quei compromessi con le forze più piccole che i congressi diventerebbero delle vere e proprie torri di Babele. Inoltre, se non si modificano i regolamenti parlamentari, finite le elezioni e incassati i seggi del premio di maggioranza, i grandi partiti (di maggioranza o di opposizione non fa differenza) si dividerebbero di nuovo in tanti gruppi, sia alla Camera sia al Senato, e quindi in Parlamento si avrebbero ancora delle coalizioni e non due sole forze politiche. Tutto questo è perfettamente chiaro e noto ai promotori referendari, così come ai leder politici che li fiancheggiano. Qualcuno ha detto che il referendum è la minaccia che costringe i partiti a trovare per forza di cose un accordo in Parlamento per fare una nuova legge elettorale che elimini le storture di quella vigente. Può darsi. A noi pare però che per il momento il referendum, più che a spingerli ad agire in tal senso, stia portando ad una politica artefatta. Sarà un caso ma il quesito referendario va proprio nella direzione auspicata dai fautori di taluni processi di aggregazione, già in atto nel centrosinistra, e che si vorrebbero attuare anche nel centrodestra, che sono più il frutto di una scelta elitaria che non la conseguenza di un vero processo democratico che viene dal basso. In altre parole, è possibile che alcuni leader politici, di entrambi gli schieramenti, vedano nel referendum il mezzo per realizzare i loro propositi di egemonia sulle altre forze politiche, trasformando peraltro uno strumento democratico (qual è quello del referendum) in un mezzuccio utile a risolvere meri interessi di bottega.

IL GOVERNO DIA CERTEZZE AI PRECARI DELLA PA

di Giacomo Stucchi

L’argomento è troppo serio per farci su dell’ironia ma certo è che questa maggioranza non finisce mai di stupirci. Tra le tante cose inserite in Finanziaria il Governo, bontà sua, aveva previsto anche la stabilizzazione dei precari della Pubblica Amministrazione. Una brutta terminologia, dal punto di vista linguistico, che tradotto in parole povere significa assumere a tempo indeterminato tutti quei lavoratori (secondo alcune stime, approssimative per difetto, sarebbero oltre trecentomila) che a vario titolo, dai contratti a collaborazione coordinata e continuativa a quelli con partita IVA, prestano lavoro negli enti pubblici da almeno tre anni. Tale periodo è l’unico criterio apparentemente chiaro stabilito nella legge finanziaria per indicare chi ha diritto e chi no a questa assunzione. Non ci soffermiamo su queste cose per vanificare le legittime speranze di coloro che possono considerarsi precari della pubblica amministrazione, e che giustamente ambiscono ad uscire dal disagio dell’incertezza del posto di lavoro, ma perché diffidiamo di un Governo che, anche in questo caso, sta facendo di tutto per inanellare l’ennesimo disastro. Premesso infatti che sul lavoro la Lega Nord, nell’ambito dell’esperienza di governo maturata nella scorsa legislatura, ha già dato il suo contributo determinando l’approvazione della legge Biagi che (al contrario di quanto fatto dal centrosinistra negli anni passati) ha introdotto alcune garanzie sociali anche tra i lavoratori cosiddetti atipici; considerato che la flessibilità, così come in tutta Europa e negli Stati Uniti, non può che essere l’unica strada possibile per permettere a tutti almeno di entrare nel mondo del lavoro, l’Unione non poteva trovare una soluzione peggiore al problema del precariato. Introducendo nella finanziaria delle norme che annunciano l’assunzione dei precari nella PA, senza però chiarire ogni aspetto circa i criteri ma, soprattutto, le risorse per poter procedere in tal senso, ha generato soltanto caos. Ne è una prova il fatto che bisognerà ricorrere alla “circolare interpretativa e dispositiva” del Ministero della funzione Pubblica per cercare di capirne qualcosa di più. Anche in considerazione del fatto che, sul fronte politico (con l’approvazione alla Camera di una mozione sul tema) ci sono solo enunciazioni di buoni propositi, dai contenuti condivisibili sul piano di principio ma irrealizzabili a livello pratico. Ma c’è di più. Siccome l’ambiguità è la caratteristica principale dell’azione di Governo, Prodi e compagni non potevano certo smentirsi anche su questo delicato argomento. E allora, poiché nessuno ad oggi è in grado di dire con certezza assoluta chi, come e quando sarà assunto, le varie lobby della maggioranza si sono messe al lavoro. C’è quindi chi propone di assumere a tempo determinato tutti i consulenti dei Comuni, chi gli operatori della sanità a qualsiasi livello, chi invece intende stabilizzare i titolari di partita IVA con contratto di lavoro presso un ente, e chi più ne ha più ne metta. A cosa porta questo assurdo modo di procedere? A niente, ma serve alla maggioranza. La quale, come tutti sanno, è a corto di consensi elettorali (al punto che gli esperimenti per la fusione dei Ds e della Margherita, in un unico e più grande calderone, più che un innovazione nel mondo politico a noi paiono l’ultima spiaggia del centrosinistra per risollevarsi dal baratro nel quale è sprofondato) e quindi, promettendo l’assunzione a centinaia di migliaia di lavoratori, spera di recuperare il terreno perduto. Si è pure avanzata l’ipotesi di effettuare una sorta di “ricognizione” per capire quanti e quali lavoratori potrebbero aspirare ad essere assunti ai sensi delle norme contenute nella Finanziaria. Una proposta accettabile ma fuori tempo massimo perché ci ha dato praticamente la certezza che il Governo, al momento in cui ha predisposto la Finanziaria, ma verosimilmente anche adesso, non ha mai avuto la minima idea di come procedere per risolvere questa questione. Attendiamo quindi che qualcuno a Palazzo Chigi batta un colpo su questo fronte; senza però poter fare a meno di osservare che, ironia della sorte, ai vertici delle istituzioni rette dal centrosinistra ci stanno due ex dirigenti sindacalisti, i presidenti di Senato e Camera Marini e Bertinotti, ovvero due uomini che di problemi del lavoro dovrebbero saperne qualcosa.

martedì, aprile 24, 2007

Offese alla Chiesa? Per il Governo è solo legittimo dissenso

di Giacomo Stucchi
Le comunicazioni al Parlamento del vice ministro dell’Interno Marco Minniti sui deprecabili fatti di questi giorni, che hanno visto vilipese le massime autorità ecclesiastiche con scritte ingiuriose sui portoni di alcune chiese, in città del Nord (Torino, Genova e Bologna) ma anche a Napoli, non possono certo contribuire a rasserenare i cittadini. La spiegazione data alla Camera dal rappresentante del Governo, secondo la quale una complessa attività investigativa porterebbe alla conclusione che alla base dei suddetti episodi non ci sia una natura eversiva ma soltanto un sentimento anticlericale rivolto a protestare contro la presunta ingerenza della Chiesa nella politica, lascia a dir poco sbigottiti. Perché, da un lato, fa il paio con le reazioni che a Bologna (dove a pochi passi dalla sede delle Acli ignote e infami mani avevano vergato la scritta “Bagnasco vergogna”) hanno visto i partiti dell’Unione quanto mai divisi; mentre, dall’altro lato, la dice lunga sulla capacità del Governo, persino in questa circostanza, di trovare un’unità d’intenti non tanto sulle cose da fare ma persino su quelle da dire. In altre parole, Minniti (al di là delle scontate dichiarazioni di solidarietà all’alto prelato) si è ben guardato dal prendere le distanze da questi sconsiderati atti di intolleranza nei confronti della Chiesa cattolica ma anche, più in generale, di minaccia alle libertà democratiche. Che per qualcuno, peraltro ben rappresentato anche in Parlamento, dovrebbero essere salvaguardate soltanto quando si tratta di difendere Maometto e le moschee. Il fatto è che ormai in Italia, da quello sciagurato aprile 2006 che ha riportato Prodi a Palazzo Chigi, non è più possibile dire o fare qualcosa che urti la sensibilità della sinistra radicale. La quale nei giorni scorsi ha stigmatizzato gli episodi in questione ma ha anche ammonito la Chiesa a non fare politica per non subire le inevitabili conseguenze. Dichiarazioni che hanno preceduto di poco un infuocato Consiglio comunale a Bologna in occasione del quale l’ordine del giorno bipartisan di “forte condanna” della scritta e di “piena solidarietà” a monsignor Bagnasco ha registrato i voti favorevoli del centrodestra, più Ds e Margherita, ma anche l’astensione di Rifondazione, Verdi e Cantiere. Come se non bastasse, sempre nella città della Torre degli Asinelli, mentre il consigliere Serafino d’Onofrio ha spiegato che lui non scrive sui muri ma condivide quel “vergogna”, dalla condanna alle scritte si sono defilati pure alcuni consiglieri Ds. Tanto da costringere il sindaco Sergio Cofferati a dichiararsi “molto sorpreso e anche preoccupato della discussione e di trovare fuori luogo e prive di fondamento molte delle osservazioni” oggetto di dibattito nel civico consesso. Sicché, il vice ministro Minniti, anziché rintuzzare certe posizioni palesemente anticlericali, ma anche antidemocratiche, le ha quasi giustificate adducendo persino presunte connessioni con analoghi episodi accaduti in Spagna, in tre chiese della Galizia, nel 2006. Ora, io non ho informazioni di prima mano né relazioni dei servizi alle quali attingere per smentire o avvalorare quanto affermato da Minniti; tuttavia mi chiedo come mai il Governo, avendo invece accesso a queste fonti, non ha fatto nulla (e continua peraltro a non far nulla) per perseguire simili comportamenti. Imbrattare i portoni dei luoghi di culto con scritte contro il Papa, o il presidente della Conferenza episcopale italiana, non può essere considerata dalle istituzioni come una semplice manifestazione di dissenso all’operato della Chiesa (la quale peraltro non può che difendere i valori della famiglia, atteso che il Governo di centrosinistra sta facendo di tutto per minarla già nelle fondamenta) ma dovrebbe essere presa in considerazione per quello che è: un attività criminale che offende il sentimento religioso ma che lede anche la libertà, riconosciuta dalla Costituzione a tutti i cittadini, di manifestare il proprio pensiero. Il fatto poi che in alcune scritte ci fosse anche la firma delle stella a cinque punte cerchiata, segno inequivocabile di una recrudescenza del fenomeno terroristico delle Brigate rosse, dovrebbe preoccupare ancora di più.
Lettera pubblicata da L'ECO DI BERGAMO del 21 aprile 2007

giovedì, aprile 19, 2007

Il Governo si è dimenticato della povera gente

di Giacomo Stucchi

Vi ricordate le grida di allarme del centrosinistra negli anni dei governi Berlusconi, quando si diceva che le famiglie non arrivavano più a coprire le spese nella quarta settimana del mese? E adesso, che Fassino, Rutelli, Bertinotti e Pecoraro Scanio sono nella "stanza dei bottoni", che fine hanno fatto quelle grida disperate in favore della "povera gente"? L'ex opposizione, oggi al Governo, si è già dimenticata di chi non arrivava a pagare le bollette o a fare la spesa a fine mese? Io direi proprio di no. Ma nel senso che Prodi e i suoi ministri se ne sono talmente ricordati da aver inflitto alle famiglie una inutile stangata fiscale che ha dato vita al cosiddetto "tesoretto" che oggi il Governo, resosi conto degli errori compiuti, ma soprattutto avvicinandosi la scadenza elettorale delle amministrative, dice di voler restituire ai cittadini. Ma allora, perché glielo hanno tolto? Ecco il punto. Noi diffidiamo dei buoni propositi del Governo, di restituire il mal tolto ai contribuenti, anche perchè il ministro dell'Economia e delle Finanze, Tommaso Padoa Schioppa, (che tra tutti i suoi colleghi è quello che ha meno scrupoli politici non avendo, dato il suo ruolo tecnico, un elettorato cui rispondere delle proprie scelte) sostiene che dell'extra gettito solo una minima parte potrà essere restituito alle famiglie, mentre la quota più cospicua dovrà servire a risanare il deficit pubblico. A noi pare, invece, che Padoa Schioppa abbia clamorosamente sbagliato i conti della Finanziaria, costretto i cittadini a inutili sacrifici, obbligato gli Enti locali a trasformarsi in una sorta di sanguisughe fiscali per recuperare, con le addizionali locali, ciò che il Governo aveva inopinatamente tolto loro. La verità è che un emergenza del collasso finanziario dello Stato non c'è mai stata, né durante il Governo della Casa delle Libertà né dopo. La verità è che il paventato rischio dell'implosione dei conti pubblici è sempre stata un invenzione della sinistra per carpire il voto degli indecisi alle elezioni politiche. La verità è che se prima si diceva, pretestuosamente, che le famiglie non arrivavano alla quarta settimana del mese, adesso, con Prodi a Palazzo Chigi, non ci arrivano davvero. La verità è che in economia, così come in tutte le altre questioni sul tappeto, in dodici mesi di governo l'Unione non ne ha azzeccata una. L'aumento del gettito non è una conseguenza della politica fiscale adottata dal Professore ma il frutto della graduale politica di risanamento dei conti, e di razionalizzazione delle spese, avviata dalla Cdl nel quinquennio 2001-2006. Il fatto è che tale politica, sfortunatamente per i cittadini, ma anche per il Governo di centrodestra che ne ha pagato le conseguenze politiche, non ha coinciso con anni di sviluppo economico ma, al contrario, di recessione mondiale. Tuttavia, ciò non ha impedito alla virtuosa politica fiscale dei governi Berlusconi di dare i suoi frutti, non subito s'intende, ma gradatamente. Sicché oggi l'Unione si vanta di meriti che non ha e omette, invece, di riconoscere gli errori commessi. Prima fra tutti quello di aver riportato la pressione fiscale ai livelli più alti d'Europa e del mondo; ma anche di avere bloccato la realizzazione delle più importati opere pubbliche (con enormi conseguenze negative sul piano economico, tanto sul fronte della perdita dei finanziamenti europei quanto su quello del mancato sviluppo dell'indotto che virtuosamente si mette in moto quando si aprono i cantieri per la realizzazioni di importanti opere pubbliche); di avere interrotto il processo delle riforme istituzionali, ivi compresa quella federalista che avrebbe potuto contribuire a risolvere molti dei problemi che adesso inevitabilmente stanno riproponendosi nei rapporti tra lo Stato e le regioni; di avere creato una grave situazione di insicurezza dei cittadini, lasciati alla mercé degli immigrati clandestini che hanno trasformato le strade delle nostre città in un far west; di aver introdotto un tale clima di incertezza e di instabilità, e di confusione sul piano legislativo e amministrativo, da costringere i cittadini a vivere alla giornata nell'impossibilità di poter pianificare alcunché. Perché ciò che il Governo dice di voler fare, considerato i lacci e laccioli nel quale è stretto e i mille condizionamenti di sorta, ha un'attendibilità praticamente pari allo zero.
TRATTO DA "LA PADANIA" [Data pubblicazione: 19/04/2007]

giovedì, aprile 12, 2007

Le prime avvisaglie. Milano Vs. Chinatown

di Giacomo Stucchi
Quanto accaduto ieri pomeriggio nella fortezza cinese di zona Paolo Sarpi a Milano non rappresenta che la prima manifestazione esplicita, concreta e ben definibile di ciò che poterebbe accadere, anche in forme più violente, non solo in altri quartieri del capoluogo lombardo, ma in tutte le altre città e cittadine di questa malconcia penisola, dove si è assistito passivamente alla creazione di “zone franche” da parte di comunità extracomunitarie prepotenti e arroganti.

Gli esponenti della Lega Nord di Milano conoscono da tempo la realtà della Chinatown di Via Sarpi e si sono sempre battuti per denunciarne l’illegalità diffusa, richiedendone varie volte una bonifica seria, a tutela dei cittadini residenti in zona, troppo spesso oggetto di soprusi, angherie e minacce da parte della mafia cinese ben radicatasi negli anni. Ma la voce scomoda della Lega, anche in queste occasioni, non è stata ascoltata e solo oggi alcuni scoprono il problema.

Per capire però quanto sia complessa e intricata la situazione occorre porsi delle domande.

Non è forse vero che la Lega Nord da anni denuncia il fatto che all’interno della comunità cinese di Milano vi sia un illecito traffico di documenti di identificazione che portano addirittura a riutilizzare, assegnandoli a nuovi arrivati, i passaporti e i permessi di soggiorno di persone defunte?
Non è forse vero che a fronte della presenza di decine di migliaia di cinesi regolari nelle sole regioni padane, non un decesso, anche solo per cause naturali, e quindi non un funerale venga celebrato da anni? Senza scomodare la legge dei grandi numeri, mi chiedo come sia possibile non capire che qualcosa di illegale avviene quotidianamente sotto i nostri occhi senza che il governo faccia nulla per evitarlo.
Altra questione. Non è forse vero che la concorrenza sleale nel settore manifatturiero avviene non solo con la vendita di prodotti importati illegalmente dalla Cina, ma anche con la produzione di oggetti e merci in laboratori siti nei quartieri cinesi delle nostre città?
Non è forse vero che ogni giorno ne vengono scoperti alcuni ove lavoratori cinesi clandestini prestano la loro opera i condizioni di semi schiavitù?
Tutto questo naturalmente è vero, ma Prodi e Amato questi problemi non li vedono e quindi non impiegano il loro tempo a risolverli.
Figuriamoci, loro hanno ben altro in testa, devono pensare a come galleggiare per i prossimi quattro anni.
Ma in loro vece parlano i compagni meneghini, per i quali la colpa non è certamente di chi vìola le leggi che regolamentano la nostra vita quotidiana, ma di quei razzisti e xenofobi della Cdl, peggio ancora se leghisti, che governano Milano, e che alla polizia locale chiedono di far rispettare il divieto di parcheggio in doppia fila non solo ai meneghini (cosa da loro condivisa) ma anche ai poveri cittadini extracomunitari che già soffrono perché costretti a vivere lontano da casa.
E allora via, tutti i nipotini di Stalin subito pronti a lapidare i ghisa, a sputare volgarità contro chi, dipendente del Comune o suo amministratore, ritiene di dover sempre difendere la propria gente dalle vessazioni degli ultimi arrivati. Tutto ciò naturalmente, e ci mancherebbe altro, questi grandi campioni di democrazia lo propongono nel nome della tolleranza, della solidarietà o, peggio ancora, della fratellanza tra i popoli. Di fronte a queste farneticazioni mi verrebbe quasi naturale chiudere qui, per carità cristiana, questo mio intervento rivolgendo a questi personaggi un bel “tèchèss al tram”, ma farei un grave errore.
Credo, infatti, sia opportuno svolgere un’ultima considerazione che non riguarda tanto ciò che è accaduto ieri a Milano ma quanto potrebbe accadere nel prossimo futuro in una qualsiasi città caratterizzata dalla presenza di una o più comunità straniere. Vi ricordate quanto è successo nelle periferie francesi nei mesi scorsi? Vi ricordate come interi quartieri abitati da cittadini anche francesi, ma di origine africana o asiatica, si siano rivoltati per settimane intere con una violenza estrema contro lo Stato per alcuni progetti dell’allora Ministro dell’interno Sarkozy mirati come direbbero i miei avi contadini a “ripulire la stalla” cioè a ripristinare la legalità in zone da troppo tempo fuori controllo?
Quanto accadde in Francia, quelle rivolte violente, non furono null’altro che la “naturale” reazione, al processo di ripristino della legalità, di gente abituata da anni a vivere in enclave – di fatto tollerate dallo Stato - ove le leggi e le norme in vigore nel resto del Paese venivano tranquillamente ignorate.
E quello che è successo ieri a Milano, è certamente uno dei frutti avvelenati della tolleranza, ma, temo anche, sia solo una prima avvisaglia di quanto ci toccherà vedere nei prossimi mesi in molte realtà comunali se non si interverrà subito con provvedimenti adeguati.

venerdì, aprile 06, 2007

I voltafaccia di Prodi

di Giacomo Stucchi
Nei giorni scorsi si è fatta strada la proposta portata avanti dal Carroccio di un sistema di voto che prenda spunto da quello regionale ma con un premio di maggioranza che garantisca la governabilità. Su questo, e su un altra proposta della maggioranza, che si rifà anch’essa al sistema regionale, i partiti hanno cominciato un confronto sul quale si sta discutendo. Tuttavia, al di là dei sistemi elettorali, siano essi di casa nostra (come quello regionale) o modelli di altri Paesi (per quanto ci riguarda andrebbe bene quello spagnolo ma ci sono altre forze politiche che si rifanno al sistema tedesco), l’intesa sulla riforma della legge elettorale, senz’altro il tema al centro del dibattito politico in questi giorni che precedono la Pasqua, non può far passare in secondo piano i risultati disastrosi dell’azione di governo su tutti i fronti. Dall’economia alla sicurezza, dalla sanità al fisco, dalle riforme alla lotta all’immigrazione clandestina, non c’è un settore nel quale non si registri un peggioramento della qualità della vita dei cittadini. Cominciamo dagli immigrati. Oltre alla battaglia della Lega Nord in Parlamento contro il dimezzamento da dieci a cinque anni del periodo di permanenza necessario ad avere il diritto alla cittadinanza, si è molto parlato (spesso anche a sproposito) nelle ultime settimane di una revisione della legge sull’immigrazione, meglio conosciuta come Bossi-Fini. Ora, saremmo disposti ad ascoltare una simile campana soltanto se le modifiche proposte fossero in senso restrittivo e non, come invece fanno gli esponenti dell’Unione, nel senso opposto. Eliminare l’obbligo del contratto di lavoro, per reintrodurre lo sponsor, significa lasciare entrare in Italia chiunque, allargando oltre ogni misura le maglie dei controlli che ai nostri confini fanno già acqua da tutte le parti. E proprio dall’acqua, ovvero da quel fronte meridionale che costituisce il nostro punto debole e dal quale arrivano la maggior parte degli immigrati clandestini, ne potrebbero sbarcare molti di più. Quando la Cdl era al Governo non passava giorno senza che non la si accusasse, tra l’altro, di non saper far fronte al problema degli sbarchi sulle nostre coste. Ebbene, ora che a Palazzo Chigi ci sta l’Unione, e che gli sbarchi anziché diminuire sono aumentati, vorremmo sapere che cosa sta facendo l’Esecutivo per affrontare il problema. Liberalizzazioni. Ecco un altro punto sul quale vale la pena soffermarsi. Dopo la definitiva approvazione in Parlamento delle misure contenute nel decreto Bersani, l’effetto negativo delle stesse è già sotto gli occhi di tutti. O meglio, nelle tasche di tutti. Perché se da un lato è vero che una norma, tra le tante contenute nelle lenzuolate del ministro dello Sviluppo economico, ha fatto si che fosse eliminato il costo di cinque euro per ogni ricarica del telefonino, dall’altro lato le compagnie telefoniche per recuperare la perdita disposta per decreto hanno già aumentato (o “rimodulato”, come molto diplomaticamente i gestori definiscono la nuova strategia) i canoni dei contratti. Non sfugge a nessuno come, nel tempo, tutto questo costerà ai cittadini-utenti molto più del risparmio previsto dal Governo. Che peraltro è ormai abituato a togliere con la mano destra ciò che con la sinistra fa finta di dare. E’ accaduto, per esempio, con la Finanziaria. Spacciata da Prodi come a favore delle famiglie e dei ceti meno abbienti e invece rivelatasi una vera e propria stangata per tutti i cittadini, anche a causa dell’aumento delle addizionali Irpef comunali cui sono stati costretti gli enti locali dopo gli sconsiderati tagli del Governo ai loro bilanci. Passiamo alle riforme e ne citiamo una per tutte, quella sui Dico. Anche qui un fallimento annunciato. Il Governo prima ne ha fatto un affare di Stato, ma si trattava solo di fare solo qualche apparente concessione alla sinistra radicale (la quale a sua volta, anche se si è ormai abituata a prendere fischi dalla piazza, dovrà pur trovare qualcosa da dire ai suoi elettori per convincerli a ridarle il voto), e poi ha deciso di lasciare al suo destino sia le ministre Pollastrini e Bindi sia il loro tanto chiacchierato quanto inutile disegno di legge sulla regolamentazione delle coppie di fatto. Anche qui Prodi prima ha dato agli omosessuali l’illusione di poter mettere su famiglia, con la “benedizione” dello Stato, e poi invece si è rimangiato tutto lasciando il provvedimento nelle agitate e pericolose acque parlamentari dove è molto probabile che affonderà. L’elenco dei disastri del Governo, così come quello dei voltafaccia del Professore, potrebbe continuare a lungo. Ma speriamo che una nuova legge elettorale, e nuove rapide elezioni politiche, possano permettere di interromperlo al più presto.
Tratto da LA PADANIA del 6 aprile 2007

Il Senato cloroformizzato

di Giacomo Stucchi
E’ veramente singolare che la maggioranza di centrosinistra (con la complicità dei soliti osservatori, che sui quotidiani contigui all’Esecutivo si distinguono per le loro analisi a senso unico) gioisca perché l’opposizione ha votato distintamente al Senato sul rinnovo delle missioni all’estero dei nostri soldati. Non preoccupandosi invece dei voti che anche in questa circostanza gli sono venuti a mancare e che la pongono al di sotto di quella fatidica soglia di “autosufficienza” che lo stesso Capo dello Stato Napolitano, in occasione della crisi di governo di qualche settimana fa, aveva indicato come il punto al di là del quale questo governo non avrebbe più avuto la legittimità democratica per restare in carica. E’ come se una squadra di calcio per vincere un campionato, anziché pensare a giocare e fare la sua partita, guardi soltanto ai risultati degli altri campi. Certo anche quelli possono essere utili alla bisogna ma uno scudetto non si vince soltanto con gli errori delle altre squadre. La strategia di Prodi e compagni appare ormai chiara ed è quella di “cloroformizzare” i propri senatori impedendogli di esercitare liberamente, senza vincoli e condizionamenti di sorta, il mandato che gli elettori hanno loro conferito. Facendo peraltro credere all’opinione pubblica normale ciò che normale non è, ovvero che un Governo continui a restare in sella senza avere i numeri per farlo. Tutti sanno che, dallo scorso aprile, soprattutto al Senato dove l’Unione non ha mai avuto una maggioranza consolidata (che non dipendesse cioè dai raffreddori dei senatori a vita, dalle crisi di coscienza di qualche dissidente della sinistra radicale o dagli umori di qualche parlamentare eletto nelle circoscrizioni all’estero) la politica italiana è diventata una sorta di bazar dove succede di tutto. Siamo ormai abbastanza grandi per non scandalizzarci più di molte cose ma è davvero difficile non restare allibiti dinanzi a ciò che da qualche mese a questa parte accade a Palazzo Madama. Dove, tra intimidazioni, precettazioni, minacce e quant’altro, dire che le prerogative dei parlamentari sono calpestate è quasi un eufemismo. Il fatto è che con l’Unione al governo stiamo assistendo alla peggiore mortificazione possibile della democrazia parlamentare nella storia repubblicana. Ma c’è di più. Di questo passo si corre il rischio che con il tran-tran quotidiano, a questa incertezza del risultato delle votazioni al Senato, e quindi della schizofrenia dell’azione di Governo, ci si possa anche abituare. D’altra parte lo stesso Prodi, un po’ per dissimulare la tensione e un po’ per scaramanzia, almeno in pubblico cerca di non tradire più alcuna emozione. Tanto è vero che, infischiandosene un po’ persino del monito presidenziale, che lo aveva messo in guardia nel tenere a bada la sua traballante maggioranza durante il voto al Senato, non è neppure rimasto a Roma e ha preferito invece continuare nel suo tour per il mondo, di certo più stimolante e gratificante che non la spasmodica attesa a Palazzo Chigi inchiodato davanti alla tv per avere il responso del voto. Del resto, come biasimarlo. Sa benissimo che sotto la sua poltrona c’è un timer che potrebbe segnare in qualsiasi momento l’ultimo giro d’orologio della sua permanenza sulla tolda di comando della nave, che fa acqua da tutte le parti. E quindi, finché può, ne approfitta. Meglio un giro al caldo del Brasile che farsi venire le traveggole con quei puntini colorati del tabellone elettronico dell’aula di Palazzo Madama. Ma mentre Prodi si compiace per l’ennesimo scampato pericolo, la sua maggioranza (soprattutto per opera del suo principale azionista di riferimento, Piero Fassino) non si da pace e cerca di guardare verso nuovi orizzonti che possano rendere meno perigliosa la navigazione del Governo. A noi pare invece un viaggio in piena tempesta, che trova ristoro solo nell’occhio del ciclone.
Tratto da LA PADANIA del 30 aprile 2007