Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

venerdì, novembre 30, 2007

Tutti con le “mani libere”, ma per far cosa?

di Giacomo Stucchi

La fiducia approvata alla Camera sul Welfare mantiene in sella Prodi ma disintegra la maggioranza. Franco Giordano e Oliviero Diliberto annunciano, sia pur con toni e tempi diversi, una prossima resa dei conti; però non è la prima volta. L’ultimo anno e mezzo ha registrato tanti momenti di crisi nell’Unione, ma poi nessuno ha avuto la voglia o il coraggio di stoppare definitivamente il Professore. Così abbiamo sentito tante “dichiarazioni di guerra” alle quali poi non ha fatto seguito nulla. Adesso sembra ci sia una novità che potrebbe cambiare le carte in tavola, o forse lo ha già fatto, ed è quella costituita dalla piena libertà di azione politica che tutti i partiti, di entrambi gli schieramenti, rivendicano. Si tratta di una prima diretta conseguenza della decisione annunciata a Milano da Silvio Berlusconi di voler fondare un nuovo partito che superi l’esperienza della Cdl e sia libero da vincoli di coalizione. Ha detto l'ex premier durante una conferenza stampa convocata a sorpresa che “Questo partito nascerà dalle fondamenta di Forza Italia e ne sarà il completamento necessario. Non ci sono e non ci possono essere ripensamenti, titubanze, passi indietro.” A chi per anni, grazie alla politica condotta dal nostro segretario federale Umberto Bossi, ha sempre avuto le mani libere, non sorprende per niente tanta determinazione dell’ex premier nel voler andare avanti per la propria strada. Perché, in effetti, rivendicare la libertà di poter decidere del proprio destino è quanto la Lega Nord ha sempre fatto nella sua storia. Mentirebbe, però, chi oggi non riconoscesse al Carroccio di aver utilizzato questa libertà per anticipare le soluzioni a molte delle tematiche che sono all’ordine del giorno del dibattito politico. Sul fronte delle riforme istituzionali, per esempio, la Lega si è sempre battuta per il federalismo. Abbiamo incessantemente lavorato per realizzarlo, soprattutto durante tutta la XIV legislatura, facendo anche in modo che la riforma costituzionale diventasse la strada maestra per tutto il centrodestra. Al leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, va riconosciuto il merito di aver tenuto insieme la Casa delle Libertà per anni ma al segretario della Lega Nord, Umberto Bossi, va il pregio di essere stato il motore rivoluzionario di tutto il centrodestra. Adesso tutti i partiti, nel reclamare la loro libertà di avanzare proposte o indicare la ricetta per risolvere i problemi, mettono al primo posto le riforme istituzionali. Ma si tratta, più o meno, di quelle stesse soluzioni sulle quali ci siamo confrontati per ben cinque anni. Più poteri al premier, superamento del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari: innovazioni che il nostro movimento, in piena autonomia, ha chiesto per anni e, dopo l’approvazione della riforma costituzionale, la consultazione referendaria è stata boicottata dal centrosinistra. Con la sua propaganda ha fatto in modo che il progetto non andasse avanti. Questi sono i fatti. Ebbene, oggi tutti i partiti chiedono di avere le mani libere. Nessuno può contestare questo diritto, ma se per qualcuno questa libertà di movimento dovesse tradursi, con o senza la celebrazione del referendum, in una legge elettorale che penalizzi le rappresentanze più piccole per premiare solo i due partiti più grossi, allora bisogna gettare le carte in tavola e dire ai cittadini tutta la verità: si tratta di una manovra di Palazzo per eliminare i movimenti scomodi come il nostro. Ma il Carroccio ha sempre anticipato i tempi del cambiamento e quindi, anche nell’attuale circostanza, sarà all’altezza della situazione ma soprattutto delle attese della gente della Padania che vedono in Umberto Bossi l’unico leader capace di difendere i loro veri interessi.

mercoledì, novembre 28, 2007

Adesso è caos

di Giacomo Stucchi

Il timore che una fase politica già complicata per tante ragioni, la prima delle quali consiste nell’ostinazione con la quale il presidente del Consiglio rifiuta di prendere atto del fallimento del suo Governo, si possa trasformare in caos generale è più che concreto. Alla fine, infatti, il Governo ha ceduto e alla Camera ha chiesto la fiducia sul ddl Welfare. Prima di arrivare a questa decisione però Palazzo Chigi ha tergiversato sino all’ultimo istante. Nemmeno un provvedimento così importante, strettamente connesso (per gli impegni economici che comporta) alla manovra economica, è riuscito a mettere d’accordo la maggioranza che resta divisa. Prodi getta acqua sul fuoco, proponendo una sorta di via di mezzo tra il Protocollo di luglio firmato dalle parti sociali e il testo elaborato dalla commissione Lavoro di Montecitorio ma il clima rimane confuso e incerto. Tanto che Rifondazione comunista ha riunito d'urgenza l'esecutivo per decidere quale comportamento tenere: "Il governo - afferma il capogruppo di Rifondazione in commissione Lavoro Augusto Rocchi - non ha dimostrato autonomia da Confindustria, questo pone un problema politico". Insoddisfatti anche Enrico Boselli e Gavino Angius che voteranno la fiducia ma che, dopo una riunione con Prodi sui contenuti del maxiemendamento, hanno dichiarato: "Da questo momento anche i socialisti avranno le mani libere". Sul piede di guerra anche il Pdci. Per Manuela Palermi, capogruppo al Senato, "è impossibile stare al governo con l'Italia dei poteri forti". Alla fine, quindi, sul tappeto ci sta l’ennesimo compromesso tra le forze politiche della maggioranza: i liberaldemocratici di Lamberto Dini contrari a ritoccare il testo originario, mentre Rifondazione Comunista preme affinché si voti sul testo modificato in Commissione. Per quanto l’Esecutivo si sia sforzato di metterci una pezza, questo provvedimento, annunciato con strilli di tromba, è stato invece affrontato in modo poco edificante, sia dal punto di vista politico che da quello istituzionale. Sul fronte delle riforme, invece, continuano le consultazioni del premier ombra Veltroni, ma poiché non si capisce se il sindaco di Roma parli a nome del Partito Democratico o del Governo, o di qualcos’altro ancora, l’impressione è che i “faccia a faccia” anziché semplificare le cose le complichino di più. Il timore dei partiti più piccoli dell’Unione è che Veltroni stia giocando con più mazzi di carte e che alla fine il suo obiettivo potrebbe essere proprio quello di tagliarli fuori con una legge elettorale che favorisca il bipartitismo. Ecco perché hanno già messo in guardia il segretario del Pd dal prendere accordi con Berlusconi in tal senso: un passo falso in questa direzione e il “ramo sul quale sta seduto Prodi potrebbe spezzarsi”. Sullo sfondo di questo dialogo tra sordi c’è, come è noto, anche il referendum. La consultazione elettorale, se celebrata, potrebbe sancire di fatto un sistema elettorale con il quale tutti i seggi vengono ripartiti tra i due partiti che ottengono il maggior numero di voti; ma questa soluzione lascerebbe irrisolti tutti gli altri problemi istituzionali: dai regolamenti parlamentari ai poteri del premier, dal bicameralismo perfetto (che ingessa il procedimento legislativo) all’eccessivo numero dei parlamentari. In questo ginepraio ci sono poi, purtroppo solo per ultimi, i problemi dei cittadini. Nei suoi primi diciotto mesi di Governo, Prodi e i suoi ministri non se ne sono curati affatto, costringendo centinaia di sindaci, soprattutto del Nord, a scendere in piazza. I primi cittadini vogliono che Roma lasci loro le mani libere per poter affrontare seriamente i problemi che rendono la vita della gente maledettamente difficile. Chissà quando, però, il Governo e la maggioranza di centrosinistra, troppo impegnati a salvaguardare le poltrone e a curare solo i propri interessi, cominceranno ad ascoltarli davvero.

giovedì, novembre 22, 2007

Il vallo di Romano

di Giacomo Stucchi

Non c’è stato neppure il tempo di compiacersi per la mancata spallata al suo governo che già Romano Prodi vede franare altri fronti della sua precaria coalizione. Il fatto è che la conferma della maggioranza numerica al Senato, in occasione del primo voto sulla Finanziaria, ha ringalluzzito al punto il nostro da fargli pensare di avere ormai la situazione in pugno, almeno nell’immediato periodo. Certo, rimane il problema di Lamberto Dini, e di qualche altro dissidente, che in occasione del voto al Senato non sono stati teneri nei confronti del governo, così come è tutta da districare la matassa sul welfare; tuttavia il Professore rimane ottimista perché convinto che la mancanza di un alternativa, che scongiuri un rapido ritorno alle urne, costituisce la migliore assicurazione per la sopravvivenza del suo Esecutivo. Sino ad oggi i fatti, ovvero le votazioni parlamentari, gli hanno dato ragione ma adesso la situazione potrebbe cambiare: l’apertura di Silvio Berlusconi sulla riforma elettorale potrebbe, infatti, fare una breccia nel vallo che, da un anno e mezzo, il presidente del Consiglio cerca disperatamente di tenere in piedi a difesa del suo governo. Una parte consistente di questa fortificazione è sempre stata la presenza di Bertinotti sul più alto scranno di Montecitorio, un riconoscimento che serve a tenere il leader di Rifondazione Comunista lontano da “strane tentazioni”, ma adesso la manifestazione di volontà da parte di Berlusconi di voler trovare un accordo con la maggioranza per fare insieme una nuova legge elettorale, che abbandoni il maggioritario e resusciti il proporzionale, rimette di nuovo tutto in discussione e potrebbe essere, per molti protagonisti del centrosinistra, una sirena alla quale è molto difficile dire di no. Un sistema elettorale di tipo tedesco, che preveda quindi il ripristino del proporzionale, potrebbe infatti essere una soluzione molto alettante per il presidente della Camera e per coloro che, nella sinistra radicale, già da un po’ di tempo lavorano intorno all’idea di dar vita ad una “Cosa rossa”. Anche al centro, peraltro, la proposta di Berlusconi ha già creato fibrillazioni. Nelle ultime ore, infatti, si sono moltiplicate le dichiarazioni pubbliche, soprattutto in televisione, di stima e di “affinità politica” da parte di esponenti dell’Udc, come Bruno Tabacci, che si sono detti pronti a dialogare, per esempio, con il ministro per le Infrastrutture Antonio Di Pietro. L’ex pm è prudente, dice di “tagliarsi un braccio prima di far cadere Prodi” ma non chiude le porte alla possibilità di entrare, in un prossimo futuro, in un partito di centro. Infine, non vorremmo certo essere in questi giorni nei panni di Walter Veltroni, il quale è stato scelto come segretario del Partito Democratico anche per essere considerato come il più adatto a tentare un dialogo con l’opposizione, che sino a pochi giorni fa aveva visto il suo leader Berlusconi arroccato sull’Aventino e per niente disponibile ad un confronto con la maggioranza. Oggi, il sindaco di Roma si trova nella situazione opposta di dover togliere il piede sull’acceleratore del dialogo con l’ex premier per paura di mettere in crisi la maggioranza ma soprattutto il Governo di Romano Prodi che da una accordo sulla legge elettorale non avrebbe nulla da guadagnare, anzi avrebbe tutto da temere. Insomma, da più parti nel centrosinistra si dice che Silvio Berlusconi, con l’annuncio di voler costituire un nuovo partito che superi la Cdl, abbia affossato il centrodestra; a noi pare che invece, a ben vedere, la stranbata del Cavaliere crei più problemi dall’altra parte e, soprattutto, abbia il pregio di far venire tutti allo scoperto. Ne è una prova il fatto che il segretario del Partito Democratico, facendo dietrofront rispetto alla sua iniziale disponibilità al confronto, ha deciso di prendere tempo prima di incontrarsi con Berlusconi. Forse perché un’accelerazione concreta sul fronte della riforma elettorale, toglie di mezzo l’unico alibi che il presidente della Repubblica ha avuto sino ad oggi per non sciogliere le Camere e chiamare i cittadini alle urne.

PRODI ANCORA IN BILICO

di Giacomo Stucchi

Dopo il voto del Senato, la partita sulla Finanziaria non può ritenersi certo chiusa, considerato che solamente questa settimana è iniziato alla Camera il dibattito su tale provvedimento e che lo stesso dovrà necessariamente tornare a Palazzo Madama per l’approvazione finale. Però è innegabile che la mancata spallata al governo Prodi, annunciata per settimane, ha innescato delle reazioni (soprattutto nel centrodestra) dall’esito difficilmente prevedibile. La più importante tra queste è l’annuncio di Silvio Berlusconi della nascita del Partito del Popolo delle Libertà. Un’iniziativa che, per quanto improvvisi siano stati i modi e i tempi del suo clamoroso annuncio, è azzardato ritenere improvvida e priva di un’attenta valutazione delle sue conseguenze. Chi segue la politica sa che l’idea del partito unico del centrodestra, o di una parte consistente della sua fetta elettorale, non è una novità in senso assoluto e di certo è antecedente alla nascita del Partito Democratico. Altrettanto nota è però, a tal proposito, la posizione della Lega Nord che è sempre stata disinteressata al partito unico, ipotesi considerata dal nostro segretario federale Umberto Bossi né praticabile né utile ai fini di una vittoria elettorale. Il Carroccio, infatti, è per sua natura un movimento territoriale che vede nel federalismo lo strumento attraverso il quale conquistare l’autonomia e l’indipendenza della Padania. La nostra, insomma, è una battaglia di libertà che non può essere annacquata da dispute di potere di questo o di quel partito e che, appena qualche mese fa, centinaia di migliaia di uomini e donne hanno dimostrato di condividere dando alla Lega Nord il proprio voto alle elezioni amministrative. Chiunque governi a Roma, ma soprattutto chiunque intenda amministrare nelle regioni e nelle province del Nord, deve fare i conti con questo dato di fatto. Ma, al di là del partito unico del centrodestra, e della posizione della Lega Nord al riguardo, il dilemma dell’attuale quadro politico rimane sempre lo stesso: come staccare la spina al governo Prodi e, quindi, andare a votare nel più breve tempo possibile? Se dipendesse dalla volontà popolare si dovrebbe andare alle urne anche domani. Basta andare a fare la spesa in un qualsiasi mercato, o salire su un autobus, per constatare quanto Prodi sia impopolare e quanta voglia ci sia di sfrattarlo da Palazzo Chigi. L’aumento delle tasse, i litigi tra i ministri, i ricatti e i condizionamenti dei partiti dell’Unione, hanno lasciato un segno negativo indelebile nell’opinione pubblica e anche la recente crescita del consenso popolare, dal 30 al 33%, non può lontanamente mascherarlo. Ma questo esecutivo, lo abbiamo già scritto, resta in piedi perché la maggioranza che lo sostiene è consapevole che una caduta di Prodi, senza prima aver trovato un’alternativa che eviti le urne, aprirebbe una crisi che porterebbe all’inevitabile scioglimento anticipato della legislatura. Ciò detto, e chiarito che la Lega Nord continuerà a fare le sue battaglie dentro e fuori il Parlamento (compresa la grande manifestazione prevista per Domenica 16 dicembre a Milano) per mandare a casa Prodi, bisogna anche dire che, piaccia o meno, se ci saranno elezioni anticipate già nella primavera del 2008 o se ci si debba rassegnare ad assistere ancora alla lenta ma inesorabile agonia dell’esecutivo, non può che dipendere da ciò che accadrà nelle aule parlamentari. In tal senso, nel breve periodo, sarà di nuovo il voto sulla Finanziaria, ma anche quello su altri provvedimenti ad essa collegati (come il welfare), ad offrire l’occasione per mettere in difficoltà l’esecutivo. Inoltre, nei prossimi giorni, sapremo anche se l’iniziativa di Berlusconi e del suo nuovo partito darà i suoi frutti già nell’immediato periodo, magari con l’adesione alla neo formazione di qualche senatore dell’ala centrista dell’Unione che tolga la maggioranza numerica a Prodi, trasformando a questo punto una situazione di difficoltà in una crisi vera e propria.
Tratto da LA PADANIA del 21 novembre 2007

martedì, novembre 13, 2007

APPESI A UN FILO

di Giacomo Stucchi

Il Governo è appeso a un filo. Non è una novità, ma almeno sapremo presto se questo filo si spezzerà. Maggioranza e governo sono stati battuti ancora una volta al Senato su un emendamento alla Finanziaria, presentato dall’opposizione, grazie al quale saranno aumentati i fondi per la ricerca universitaria. I segnali negativi che arrivano alla maggioranza da parte dei diniani si moltiplicano e, del resto, lo stesso Lamberto Dini continua a ripetere che “una decisione sul voto finale della Finanziaria non è stata ancora presa”. “Ci sono – precisa - ancora centinaia di emendamenti da esaminare. Su alcune questioni abbiamo chiesto cambiamenti. In particolare sul tetto alle remunerazioni del pubblico impiego”. Sembra inverosimile che il Governo Prodi, con tutte le profonde e importanti divisioni che ha al suo interno, possa cadere a causa del tetto agli stipendi dei manager pubblici o per i fondi della ricerca universitaria; tuttavia, nessuno può escludere che queste singole questioni possano costituire il pretesto, che forse qualcuno aspettava, per far scivolare il Professore. Del resto è ormai dai primi giorni di ottobre, da quando la Finanziaria ha cominciato il suo iter parlamentare, che nel Palazzo si respira aria di smobilitazione con la concreta possibilità di andare a votare in primavera. Sui giornali e sulle tv è già partito da tempo il conto alla rovescia sui giorni di vita che resterebbero al Governo Prodi e l’interrogativo non è mai stato se il presidente del Consiglio cadrà o meno, ma quando e su cosa ciò accadrà. Ad aggravare la situazione, ci si sono poi messi gli stessi ministri dell’Unione, soprattutto Mastella e Di Pietro, che negli ultimi tempi se le sono dette di santa ragione, con una durezza che non ha alcun precedente. Insomma, tutto lascia pensare che prima o poi Prodi si troverà costretto a prendere atto di non avere una maggioranza. Per la verità, già un mese fa l’evento era considerato talmente probabile da far avanzare da più parti l’ipotesi dell’esercizio provvisorio, poiché di certo non ci sarebbero stati né i numeri, né i tempi, per l’approvazione della Finanziaria. Prodi annaspava e la sua strategia era quella di prendere tempo, per poi manifestare la volontà di voler porre la questione di fiducia sul voto finale della Finanziaria. Così facendo il premier avrebbe aggirato le migliaia di emendamenti presentati dalle forze politiche, per lo più della stessa maggioranza, costringendo a venir fuori le componenti dell’Unione che, col passare dei giorni, si stavano sfilacciando dalla coalizione. A un certo punto però tutto questo precipitare verso il voto, enfatizzato peraltro da un Berlusconi che non stava più nella pelle per la paventata possibilità di tornare alle urne con ottime possibilità di vittoria, è sembrato interrompersi. La maggioranza ha tenuto al Senato, in qualche occasione anche con l’aiutino dei senatori dell’Udc e dei senatori a vita; molti emendamenti sono stati ritirati; e così, il Governo ha deciso di non porre la fiducia sul voto finale della Finanziaria. Adesso, siamo alla resa dei conti. Il presidente del Consiglio resterà in sella? Alla vigilia del voto finale sulla Finanziaria è davvero difficile azzardare una previsione. La stessa decisione di non porre la fiducia potrebbe, peraltro, avere una duplice lettura: o Prodi è talmente sicuro di avere i numeri dalla sua parte da non sentire la necessità di porre l’aut aut ai parlamentari della sua maggioranza; oppure non si fida e allora, nel caso in cui il Governo vada sotto al Senato sul voto finale, non avendo posto la fiducia sulla Finanziaria, spera di potersi giocare ancora qualche possibilità. In ogni caso, comunque vada a Palazzo Madama, ci sarà da sudare, freddo. Se, infatti, Prodi supera lo scoglio della Finanziaria avremo davanti un lungo periodo di inconcludenza politica durante il quale l’Unione tirerà a campare, come ha fatto sino ad oggi, e i cittadini ne pagheranno le conseguenze. Se, invece, Prodi cadrà dovremo ugualmente prepararci a combattere una battaglia contro i soliti camaleonti che cercheranno di dilazionare il più possibile la data del voto. Mi permetto però di fare una previsione. Il testo della Finanziaria che uscirà (se uscirà) dal Senato, alla Camera verrà profondamente modificato e, quando tornerà a Palazzo Madama per l’approvazione finale, allora sì che la fiducia verrà certamente posta.

venerdì, novembre 09, 2007

Sicurezza, Prodi si rimangia le promesse ma salva la poltrona

di Giacomo Stucchi


Un governo che si rimangia gli impegni assunti in materia di sicurezza pubblica non ha più nessuna credibilità! Il decreto legge sulle espulsioni, varato in tutta fretta dall’esecutivo sull’onda emozionale suscitata dalla tragica morte di Giovanna Reggiani, barbaramente uccisa da un rumeno in un quartiere periferico di Roma, contenente misure appena sufficienti ad impedire che cittadini stranieri, poco inclini all’integrazione e più propensi a delinquere, continuassero indisturbati a rendersi artefici di atti criminosi creando così angoscia e insicurezza nella gente, dopo le ultime concessioni alla sinistra radicale, è ora carta straccia!
Se questi delinquenti agissero allo stesso modo nei loro Paesi d’origine, marcirebbero in prigione per anni ed anni. Da noi, invece, grazie al governo Prodi, non solo vengono accolti e lasciati liberi di fare ciò che vogliono, ma rimangono anche impuniti.
L’assassinio della Reggiani non è un caso isolato, ma è solo l’ultimo di una lunghissima serie di crimini: si va dalle rapine in villa, triste fenomeno ricorrente soprattutto nel nordest, al maltrattamento di anziani per opera di badanti senza scrupoli, ai pirati della strada che mietono vittime circolando per le nostre strade ubriachi e tante volte anche senza la patente di guida, alle rapine ai negozianti. Insomma, ce ne abbastanza per proclamare lo stato di emergenza, altro che ronde! Ma questa volta il Professore, i suoi ministri e i sottosegretari, hanno davvero toccato il fondo. Dopo l’adozione del decreto legge sulla sicurezza, non c’è stato neppure il tempo di prendere visione delle misure contenute nel provvedimento, tanto meno di discuterlo, che subito la sinistra radicale ha ricattato il governo e lo ha costretto a fare l’ennesimo dietrofront. Con le nuove disposizioni si sono legate le mani ai prefetti, restringendo al massimo i criteri in base ai quali questi possono decretare l’espulsione dell’immigrato e viene coinvolto, per la conferma dei provvedimenti di espulsione, il giudice monocratico anziché quello di pace, mettendo così l’autorità giudiziaria nell’impossibilità pratica di adempiere urgentemente all’ulteriore compito richiestole. Insomma, si tratta di rimedi che alla fine si riveleranno peggiori del male perché, ancora una volta, nella testa degli stranieri prevarrà l’idea che da noi potranno venire a fare ciò che vorranno, perché nessuno si preoccuperà di arrestarli e tanto meno di espellerli. Sul piano politico è facile constatare come, anche in questa circostanza, l’attaccamento alle poltrone governative abbia prevalso sul buon senso. Facendo fare, peraltro, una figuraccia al neo segretario del Partito Democratico, Walter Veltroni, che si era illuso di aver cominciato a dettare l’agenda delle priorità di Palazzo Chigi e, invece, ha dovuto ricredersi e prendere atto dell’incapacità del centrosinistra di poter adottare una qualunque decisione senza dover subire il continuo ricatto delle sue numerose componenti. E’ il destino riservato a chiunque voglia cimentarsi nel compito improbo di governare con una colazione che va da Diliberto a Mastella, da Dini a Pecoraro Scanio, da Giordano a Rutelli. Ma a noi, e crediamo anche alla maggioranza dei cittadini, di tutto questo non importa un granché. La cosa preoccupante è, invece, il fatto che il Presidente del Consiglio prima dica che si deve provvedere all’espulsione degli immigrati che commettono gravi crimini e poi, ricattato per l’ennesima volta da una componente della sua coalizione, torni su suoi passi. Non solo, tutto questo ci ha anche fatto perdere la faccia anche a livello internazionale: E’ bastata una visita a Roma del primo ministro rumeno, Colin Popescu Tariceanu, il quale non ha gradito il “paventato” giro di vite del Governo ed ha energicamente difeso i suoi concittadini, a far rimangiare a Prodi tutte le sue promesse, facendolo ritornare a Palazzo Chigi con la coda tra le gambe.

mercoledì, novembre 07, 2007

GIA’ SMENTITE LE PREVISIONI DELLA FINANZIARIA

di Giacomo Stucchi

E’ la seconda Finanziaria del governo dell’Unione ed anche questa volta i cittadini si trovano nell’incertezza totale. Già l’anno scorso avevamo assistito allo scandaloso andazzo di una maggioranza che di giorno tesseva la tela dell’accordo tra i partiti, sulle singole poste del bilancio, e di notte rimetteva tutto in discussione, dopo minacce di crisi e pressioni di questo o di quel gruppo. Adesso siamo alla solita domanda: ce la farà Prodi a reggere l’onda d’urto degli scontenti del centro e della sinistra radicale presenti nella sua riottosa coalizione? Dai primi passi che il provvedimento sta muovendo al Senato pare di capire che, almeno per il momento, i numeri sembrano essere favorevoli al Professore. Ma da più parti si dice che questa settimana non ci saranno colpi di scena e che tutto, ovvero lo scivolone del Presidente del Consiglio su un voto fondamentale, magari quello sulla fiducia, dovrebbe accadere non prima della prossima. Vera o falsa che sia questa previsione, ci limitiamo solo ad osservare come questa situazione non abbia davvero nessun precedente. Pressioni dei partiti e attività lobbistiche sono sempre esistite, ma il punto è che, all’interno della maggioranza, si verificano repentinamente autentici capovolgimenti di fronte. Così è stato, per esempio, con il ministro Di Pietro che sembrava sul punto di rompere con il governo e poi invece ha addirittura chiesto pubblicamente scusa, con un articolo su l’Unità, per aver “disturbato il manovratore”. Non è che la cosa ci abbia meravigliato più di tanto. In un recente articolo pubblicato su la Padania avevamo, infatti, ampiamente previsto che l’ex pm, a breve, non avrebbe lasciato la sua poltrona istituzionale; tuttavia non possiamo fare a meno di chiederci che cosa abbia mai potuto convincere il segretario dell’Italia dei Valori a tornare su suoi passi e a riconoscere, addirittura, di aver commesso degli errori? Ammetto di essere rimasto sorpreso, soprattutto dal modo in cui Di Pietro ha estrinsecato il suo “pentimento”: evidentemente il neo segretario del Partito Democratico, che di sicuro avrà fatto pesare il suo ruolo in questa vicenda, ha delle doti di persuasione extraterrestri. Tuttavia, solo nel prossimo futuro, sarà possibile conoscere l’entità del dazio che Veltroni ha contrattato per ottenere il disco verde alla Finanziaria da parte di Di Pietro. Su un altro fronte rimangono un mistero le mosse dei senatori che fanno riferimento a Lamberto Dini. Ufficialmente hanno dichiarato di “volersi lasciare le mani libere”, ma in questi casi si sa che dietro l’ufficialità ci sono sempre dei retroscena. La capogruppo dell’Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro, sulla fedeltà dell’ex premier mette la mano sul fuoco e le prime votazioni in aula a Palazzo Madama sembrano darle ragione; ma il traguardo è ancora lungo e la strada è irta di ostacoli. Infine, ci sono i dissidenti Bordon e Manzione. Il primo ha persino dichiarato di volersi dimettere dopo il dibattito sulla Finanziaria ma, al di là delle parole, non si capisce ancora se sia davvero intenzionato a dar seguito ai suoi propositi. Staremo a vedere. Intanto, cominciato il dibattito sul documento economico, Palazzo Chigi snocciola i numeri. “La Finanziaria 2008 – afferma il Governo - è di circa 11 miliardi di euro ed ha un doppio obiettivo: non togliere risorse, ridurre la pressione fiscale”. A noi pare, invece, che queste previsioni debbano essere già corrette. Sul fronte delle risorse, per esempio, bisognerà trovarne subito di nuove, se si vuole davvero dare seguito al decreto legge sulla sicurezza (n. 181 del 1 novembre 2007) varato dal Governo nel Consiglio dei ministri del 31 ottobre scorso, che prevede "il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di pubblica sicurezza”, mentre sul fronte più caldo, quello della pressione fiscale, l’introduzione dello sconto ICI sulla prima casa rischia di essere del tutto vana, atteso che i Comuni (messi con le spalle al muro) sono già all’opera per la revisione degli estimi catastali che, temiamo, annullerà del tutto l’effetto della riduzione ICI.