martedì, aprile 25, 2017
venerdì, aprile 21, 2017
giovedì, aprile 20, 2017
FERMI AL PALO GRAZIE A RENZI
di Giacomo Stucchi
Che sia un gioco delle parti o un contrasto vero, quello al quale assistiamo
ormai quasi quotidianamente tra il segretario in pectore del Pd, Matteo
Renzi, e parte del governo Gentiloni, la sostanza è
che i continui “tira e molla” sulle politiche economiche non fanno bene al
Paese. Al di là della propaganda che imperversa nella campagna congressuale del
Pd, che per fortuna sta per finire, e delle lotte all’interno di questo partito,
il risultato è che i governi Letta, Renzi, Gentiloni hanno
fallito; e tutti i dati economici lo dimostrano.
A cominciare da quelli del Fondo monetario internazionale che prevede per la nostra economia la peggior performance in termini di crescita di tutta l'area euro, dietro a quelle di Germania, Francia e Spagna, ma anche dietro a quella della Grecia. Dati che la dicono lunga sull’incapacità dei governi a guida Pd di seguire il passo degli altri Paesi europei che, pur affrontando le medesime congiunture, sono riuscite però a rilanciare le loro economie. Se poi Matteo Renzi non avesse perseguito la politica dei bonus e avesse, invece, impiegato i molti miliardi spesi per elargire gli 80 euro per favorire gli investimenti, che secondo l’Istat nel 2016 hanno registrato -4,5%, in calo peraltro per il settimo anno consecutivo, forse oggi non saremmo in questa difficile situazione. E se davvero esistessero, poi, i 47 miliardi accantonati dal governo Renzi per gli investimenti pubblici, allora è da incoscienti non averli spesi prima; magari per mettere in sicurezza quei viadotti che continuano a crollare un po’ dappertutto.
A cominciare da quelli del Fondo monetario internazionale che prevede per la nostra economia la peggior performance in termini di crescita di tutta l'area euro, dietro a quelle di Germania, Francia e Spagna, ma anche dietro a quella della Grecia. Dati che la dicono lunga sull’incapacità dei governi a guida Pd di seguire il passo degli altri Paesi europei che, pur affrontando le medesime congiunture, sono riuscite però a rilanciare le loro economie. Se poi Matteo Renzi non avesse perseguito la politica dei bonus e avesse, invece, impiegato i molti miliardi spesi per elargire gli 80 euro per favorire gli investimenti, che secondo l’Istat nel 2016 hanno registrato -4,5%, in calo peraltro per il settimo anno consecutivo, forse oggi non saremmo in questa difficile situazione. E se davvero esistessero, poi, i 47 miliardi accantonati dal governo Renzi per gli investimenti pubblici, allora è da incoscienti non averli spesi prima; magari per mettere in sicurezza quei viadotti che continuano a crollare un po’ dappertutto.
La verità, purtroppo, è che nel nostro Paese la povertà assoluta colpisce 4,6
milioni di individui, i consumi non aumentano e cresce la “deprivazione
materiale” in cui vivono più di 7 milioni di persone censite dall’Istat; e, come
se non bastasse, i giovani non riescono a trovare un lavoro. Dinanzi a questo
desolante quadro cosa fa la sinistra di governo? Poco o nulla, forse perché
troppo impegnata a spendere miliardi di euro per assistere centinaia di migliaia
di immigrati clandestini. Alla luce di tutto ciò il fatto che
Renzi voglia ancora riprovare a governare, dettando le
direttive politiche ed economiche, fa sorridere e preoccupare allo stesso tempo.
Si dice che l’ex premier voglia cavalcare l’onda delle elezioni anticipate nel
Regno Unito, annunciate a sorpresa da Theresa May, per tonare al voto al più
presto, ma dimentica che in quel Paese chi aveva promesso ai cittadini di
ritirarsi a vita privata, se avesse perso il referendum, poi lo ha fatto
davvero.
martedì, aprile 18, 2017
COSA CELANO I PROVVEDIMENTI ECONOMICI VARATI DAL GOVERNO GENTILONI
di Giacomo Stucchi
Si scrivono Def e manovrina ma si leggono "probabile inganno". E' questa la migliore
sintesi per rendere bene l’idea di cosa dobbiamo aspettarci dai provvedimenti
economici varati dal governo alla vigilia delle festività pasquali. Dalle parti
di Palazzo Chigi continuano a parlare di incentivi alla crescita ma la realtà è
un'altra.
Basti pensare all’estensione dello split payment (ovvero il
pagamento dell'Iva direttamente all'Erario da parte dell'ente pubblico) che
dal 1° luglio 2017 varrà anche per i professionisti che
eseguono prestazioni nei confronti della Pubblica Amministrazione. Costoro
incasseranno solo l’imponibile, mentre l'Iva sarà versata all'Erario dalla
stessa pubblica amministrazione, invece che al fornitore. In parole povere si
cerca di far versare direttamente l’Iva dai soggetti pubblici che ricevono beni
e servizi pur di raschiare il fondo del barile dei conti pubblici. Se, per un
verso, infatti, questo dovrebbe comportare un aumento del gettito Iva di almeno
1,2 miliardi, dall'altro verso, la conseguenza sarà di togliere ai fornitori e
professionisti liquidità e Iva a credito, in molti casi indispensabili per
andare avanti e sopravvivere a una pressione fiscale divenuta
insopportabile.
Altro che crescita, qui siamo al ko! E non è finita. Perché nella cosiddetta
manovrina, cresciuta strada facendo nei contenuti, hanno messo un pò di tutto.
Grazie alla formula – “salvo intese” – con la quale il decreto è stato
approvato dentro il testo sono finite norme di ogni tipo: dalle piste ciclabili
all’Iva, dall’Anas ai mondiali di golf, dalle auto elettriche alla stadio della
Roma. Insomma, più che la correzione dei conti chiesta da Bruxelles, si tratta
del solito decreto omnibus, una specialità dei governi a guida
Pd.
Se poi a tutto questo aggiungiamo le dichiarazioni del ministro del
Tesoro, Pier Carlo
Padoan, che nei giorni scorsi ha
considerato l’aumento dell’Iva come qualcosa di più di una semplice ipotesi
(ancorché smentita da Renzi), ma anche le spese previste nel
Def per i costi di accoglienza agli immigrati clandestini, che nel 2017
potrebbero toccare la cifra record di 4,6 miliardi di euro, si ha l’idea di
quale futuro abbia in serbo il governo Gentiloni per i
cittadini.
giovedì, aprile 13, 2017
L'ORACOLO DI PALAZZO CHIGI
di Giacomo Stucchi
I provvedimenti approvati dal governo Gentiloni, dalla
correzione di bilancio al Def, dal Piano nazionale delle riforme alle
cosiddette misure per la crescita, non promettono nulla di buono e servono più a
prendere tempo che non a risolvere i problemi. A fronte di alcune certezze,
come la scomparsa del calo dell'Irpef, che il precedente governo aveva tanto
sbandierato come arma di propaganda, il nuovo programma nazionale delle riforme
ritiene ''cruciale il taglio del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro e
aumentare parallelamente il reddito disponibile dei lavoratori". Vedremo, per il
momento l'impressione è che se da un lato vengono ribaditi concetti aleatori,
tutti da verificare alla prova dei fatti, dall’altro, invece, è certo che nuove
tasse e balzelli sono all’orizzonte.
Il punto è che alla vigilia delle primarie del Pd, del prossimo 30 aprile,
l'esecutivo si è ben guardato dal dire con chiarezza ai cittadini che serve una
manovra da 25-30 miliardi di euro ma al contempo non ha potuto disattendere
le richieste di Bruxelles che, per evitare l’apertura di una procedura
d’infrazione, ha preteso una correzione immediata ai nostri conti pubblici. E
allora, per soddisfare l’una e l’altra esigenza, il
duo Gentiloni-Padoan , con la regia occulta forse di Matteo
Renzi, hanno pensato bene di mettere un pò di roba in un unico
calderone, compresa la piccola correzione da 3,4 miliardi. Ma la manovra più
corposa, quella che lascerà il segno, è rinviata al prossimo autunno.
Già adesso, però, è possibile intuire dove il governo andrà a parare nei
prossimi mesi. Non a caso il ministro dell'economia, Pier Carlo
Padoan, quasi come una moderna Sibilla Cumana, ha previsto che nel
2018 la crescita scenderà dall'1,3% all'1% e nel 2019 dall'1,2% all'1%, a
causa di "una politica fiscale particolarmente stringente" che "fa parte degli
accordi europei". Solo nel 2020, "ci sarà – secondo il ministro - un'impennata
verso l'alto della crescita”. Insomma, le parole del ministro significano solo
nuove tasse e una crescita inesistente, altro che “messaggio di rassicurazione”
e “conti in ordine”. Con questo governo, condizionato anche dalle scelte dell’ex
premier, c’è davvero di che stare poco allegri.
martedì, aprile 11, 2017
LE LOTTE INTERNE AL PD SONO UN MACIGNO SULLA STRADA DELLA NUOVA LEGGE ELETTORALE
di Giacomo Stucchi
Il confronto sulla legge elettorale annunciato per mercoledì alla Camera
rappresenta una nuova occasione per verificare se il Partito Democratico ha
davvero l’intenzione di affrontare l'argomento. Sono ormai in molti a ritenere
che l'ex premier, Matteo Renzi, che parla già come
segretario in pectore del suo partito, non abbia poi tanta voglia di
trovare una soluzione al problema, che lui stesso ha creato, di dare al Paese un
sistema di voto. Il pretesto, sino ad oggi, è stato l'inesistenza in Parlamento
di una maggioranza disposta a vararlo ma l'ex presidente del consiglio fa finta
di dimenticare che il suo partito detiene la maggioranza dei parlamentari e
spetta al Pd, quindi, fare la prima mossa. Invece il partito di maggioranza
relativa è rimasto arroccato sulle sue posizioni, peraltro molteplici, per molto
tempo. Vedremo adesso cosa succederà dopo le ultime aperture dello
stesso Matteo Renzi, speriamo non si tratti della solita melina
che non porta a nulla.
La questione della nuova legge elettorale, comunque, riguarda certo il merito ma anche il metodo. Se da un lato, infatti, nei mesi intercorsi dal referendum del 4 dicembre ad oggi, si è sempre detto che l'esigenza fondamentale è quella di rendere omogenei i sistemi elettorali per le due Camere, considerato che sciaguratamente l'Italicum è stato pensato solo per un ramo del Parlamento nella presunzione che la riforma costituzionale Boschi-Renzi fosse approvata, dall'altro lato non si può ricadere nello stesso errore di approvare una legge elettorale con la forza dei numeri; e senza che la stessa venga condivisa quanto più possibile dalle forze politiche rappresentate in Parlamento.
La questione della nuova legge elettorale, comunque, riguarda certo il merito ma anche il metodo. Se da un lato, infatti, nei mesi intercorsi dal referendum del 4 dicembre ad oggi, si è sempre detto che l'esigenza fondamentale è quella di rendere omogenei i sistemi elettorali per le due Camere, considerato che sciaguratamente l'Italicum è stato pensato solo per un ramo del Parlamento nella presunzione che la riforma costituzionale Boschi-Renzi fosse approvata, dall'altro lato non si può ricadere nello stesso errore di approvare una legge elettorale con la forza dei numeri; e senza che la stessa venga condivisa quanto più possibile dalle forze politiche rappresentate in Parlamento.
In ogni caso, se la legislatura dovesse concludersi con un nulla di fatto
sulla legge elettorale sarà soprattutto per responsabilità del Pd e delle sue
diverse anime che non trovano l'accordo su nulla. Basta vedere del resto le
diversità programmatiche dei tre aspiranti segretari per capire come lo scontro
tra i dem non si chiuderà nelle prossime settimane, con la proclamazione del
nuovo segretario, ma andrà avanti verosimilmente nei mesi futuri coinvolgendo
la legge elettorale ma anche la politica economica del governo. Per questo
motivo Renzi mette le mani avanti nell’attribuire ad altri
l’impossibilità di varare un nuovo sistema di voto e nello stesso tempo, più o
meno consapevolmente, continua sulla strada dell’uomo solo al comando che lo ha
già portato alla disfatta referendaria.
venerdì, aprile 07, 2017
PD E GOVERNO LITIGANO SULLA PELLE DEI CITTADINI
di Giacomo Stucchi
Il cuneo fiscale (ovvero la somma delle imposte che gravano sul costo del
lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro sia per i dipendenti e gli
autonomi) è in Italia di "ben 10 punti" superiore a quello che si registra
mediamente nel resto d'Europa: il 49% viene infatti prelevato "a titolo di
contributi e di imposte". E’ quanto riferisce la Corte dei Conti nel Rapporto
2017 sulla finanza pubblica. Basterebbe questo dato per mettere a tacere tutti
coloro che nel Pd, in particolare tra i renziani, sostengono che con il
governo Renzi le cose sono cambiate.
Eppure, dalle parti del Nazareno e di Palazzo Chigi, non sembrano essere
questi i problemi in cima ai pensieri di ministri, dirigenti di partito e
parlamentari. Per costoro le vicende congressuali del partito contano di più
dei tanti problemi del Paese e di un governo (voluto dal Pd solo poco più di
tre mesi fa!) che dovrebbe assolvere ad alcuni importanti adempimenti: dalla
correzione dei conti pubblici chiesta dall’Ue all’approvazione del Def e della
legge di Bilancio. Sui contenuti di questi provvedimenti, però, regna una
totale incertezza.
La confusione deriva anche dallo scontro tra l’ex premier Matteo
Renzi e il ministro Pier Carlo Padoan. Il primo, già
preoccupato da sondaggi poco rassicuranti che vedono il Pd arrancare nelle
scelte degli elettori, teme che le misure lacrime e sangue annunciate dal
Tesoro possano mettere una pietra tombale alle sue aspirazioni di tornare a
Palazzo Chigi; il secondo, invece, impegnato a mettere una pezza agli squilibri
sui conti pubblici provocati dalla politica renziana dei bonus, paventa
l’avvio di una procedura di infrazione se non saranno soddisfatte le richieste
di correzione fatte da Bruxelles.
I cittadini temono, giustamente, le conseguenze dell’una e dell’altra scelta
politica. Tra le misure già annunciate che preoccupano di più ci sono il taglio
alle deduzioni e detrazioni fiscali e la riforma del catasto. In entrambi i
casi si tratta di provvedimenti che inciderebbero in maniera sostanziale sui
bilanci familiari, già messi a dura prova dalla crisi economica degli ultimi
anni e dall’inerzia di governi a guida Pd, più inclini a salvare le banche che
non ad aiutare i più deboli.
giovedì, aprile 06, 2017
martedì, aprile 04, 2017
ECONOMIA FERMA AL PALO, ALTRO CHE EFFETTO RIFORME
di Giacomo Stucchi
Sui dati economici diffusi dall’Istat c’è poco da essere soddisfatti. A
cominciare dal lieve aumento del potere d’acquisto delle famiglie nel 2016,
considerato dai renziani un effetto delle riforme, ma che di certo non può far
dimenticare il gap che ci separa dai livelli pre-crisi. Non a caso dal Codacons
parlano subito di una "illusione ottica" e attribuiscono il progresso
"unicamente alla deflazione e al crollo dei prezzi al dettaglio avvenuto nel
corso del 2016, quando l'inflazione ha fatto segnare una media del -0,1%".
Per quanto riguarda poi i dati sul lavoro del mese di febbraio 2017, la
soddisfazione espressa dal presidente del Consiglio, Paolo
Gentiloni, è davvero fuori luogo. La disoccupazione scende un pò,
peraltro con percentuali ancora da zero virgola, ma questo dato, purtroppo, va
letto unitamente a quello relativo alla diminuzione del numero dei cittadini che
cercano un lavoro. Guardando i dati senza la lente deformante della
propaganda, infatti, si può constatare come nel mese di febbraio è in
crescita il numero degli inattivi, di coloro cioè che non risultano né occupati
né in cerca di lavoro, rispetto a gennaio, dello 0,4%, pari a +51 mila unità; a
fronte degli 83.000 disoccupati in meno.
In parole povere l’entusiasmo del premier non ha motivo di esistere perché, in realtà, sempre meno persone si offrono sul mercato del lavoro e questo spiega perché diminuisce il tasso di disoccupazione. La rilevazione mensile dell'Istat, quindi, fotografa un dato fallimentare direttamente connesso alle politiche sul lavoro portate avanti negli ultimi anni dai governi a guida Pd e il “grande” risultato rivendicato da Palazzo Chigi appare perciò del tutto incomprensibile.
Così come appare fuori luogo, del resto, la soddisfazione di Matteo Renzi per le molte richieste di rottamazione delle cartelle esattoriali. Secondo i dati forniti da Equitalia sono già 600mila i contribuenti che hanno deciso di aderire alla rottamazione delle cartelle. Un dato che l’ex premier ha commentato con grande entusiasmo. Tanta manifestazione di giubilo farebbe pensare che con la rottamazione si sia risolto il problema di un fisco opprimente per i cittadini. Invece no, anzi è vero esattamente il contrario.
In parole povere l’entusiasmo del premier non ha motivo di esistere perché, in realtà, sempre meno persone si offrono sul mercato del lavoro e questo spiega perché diminuisce il tasso di disoccupazione. La rilevazione mensile dell'Istat, quindi, fotografa un dato fallimentare direttamente connesso alle politiche sul lavoro portate avanti negli ultimi anni dai governi a guida Pd e il “grande” risultato rivendicato da Palazzo Chigi appare perciò del tutto incomprensibile.
Così come appare fuori luogo, del resto, la soddisfazione di Matteo Renzi per le molte richieste di rottamazione delle cartelle esattoriali. Secondo i dati forniti da Equitalia sono già 600mila i contribuenti che hanno deciso di aderire alla rottamazione delle cartelle. Un dato che l’ex premier ha commentato con grande entusiasmo. Tanta manifestazione di giubilo farebbe pensare che con la rottamazione si sia risolto il problema di un fisco opprimente per i cittadini. Invece no, anzi è vero esattamente il contrario.
Il fatto che ogni giorno migliaia di contribuenti siano alle
prese coi loro debiti con il fisco è indicativo di quanto pesante sia nel nostro
Paese la pressione fiscale e di quanto sia difficile conviverci. Il ricorso alla
rottamazione da parte di molti cittadini, perciò, non è un risultato del quale
andare fieri, perché significa solo che c’è ancora moltissima strada da fare per
avere finalmente un fisco più giusto ed equo; e non può certo consolare il fatto
che nella manovra che si appresta a varare
l’esecutivo Gentiloni si presume che buona
parte delle entrate arrivino dal recupero di evasione.