di Giacomo Stucchi
La campagna elettorale del premier sulla riforma costituzionale è iniziata
e si sa già dove l’inquilino di Palazzo Chigi vuole andare a parare. Il chiaro
intento è quello di dimostrare ai cittadini che la riforma costituzionale
Renzi-Boschi, sulla quale gli elettori saranno chiamati a votare il prossimo
autunno, taglia le poltrone, riduce i costi della politica e rende più snella ed
efficace la struttura istituzionale. Altro aspetto della campagna del premier è
poi quello di annoverare come sostenitore del vecchio e oppositore del
cambiamento, chi è contrario alla riforma. Ma è davvero così? Il dichiarato intento
di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni è espresso addirittura
nel titolo della legge ma, come fanno notare i costituzionalisti nel loro
documento critico della riforma, “il buon funzionamento delle istituzioni non è
prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di
cariche pubbliche, bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento,
non di indebolimento, delle rappresentanze elettive”. Come Lega Nord, peraltro,
non ci siamo mai opposti a una limitazione dei costi della politica. A
condizione, però, che non si faccia il gioco delle tre carte come accaduto con
la legge sulla soppressione delle Province, che al momento ha introdotto solo
due vere novità: l'elezione degli organi (che sono diventati di secondo livello)
e la trasformazione delle dieci principali Province in Città metropolitane.
L’impressione, quindi, è che il governo Renzi sia bravissimo a “strizzare
l’occhio” al sentimento di antipolitica, tagliando quindi il numero dei
senatori, sopprimendo le Province o altri enti come il CNEL (chi non sarebbe
d’accordo a farlo!) per poi far come ai famosi 80 euro: da una parte aggiunge e dall'altra toglie. In questo caso, tutto ciò, riguarda l’architettura costituzionale, che ci auguriamo, se passasse il referendum, funzioni davvero secondo principi di efficienza, ma anche di democrazia.