LE "DIMENTICANZE" DELL'EX PREMIER
di Giacomo Stucchi
Il tentativo dell'ex premier, Matteo Renzi, di continuare a
dettare l'agenda di governo, nonostante lui stesso sia rimasto al governo per
quasi tre anni senza aver dato prova di sapere fare grandi cose, è davvero
surreale.
Forse è necessario che gli si rinfreschi la memoria. Dalla riforma
costituzionale (sonoramente bocciata dai cittadini) a quella elettorale
(bocciata dalla Consulta), dall’economia ferma ancora allo 'zero virgola' ai
milioni di poveri esistenti nel nostro Paese, dai centri di accoglienza per gli
immigrati al collasso ai clandestini che bighellonano in ogni dove nelle nostre
città ( e che solo l’abnegazione di tutti gli operatori del comparto sicurezza
ha impedito, sino ad oggi, che potessero creare gravi problemi alla sicurezza
dei cittadini), l’elenco dei fallimenti è lungo e variegato.
Così come, del resto, quello delle bugie. Quando, per esempio, l’ex
presidente del Consiglio rivendica la sua capacità di aver saputo conquistare
giorno per giorno la flessibilità sui conti pubblici, attraverso un continuo
contenzioso con Bruxelles, omette di ricordare le conseguenze economiche che
negli ultimi anni ha avuto la politica del quantitative easing promossa
dal presidente della Bce, Mario Draghi.
Senza gli effetti di questa politica, che ha tra l'altro impedito allo spread
di salire, il buon Renzi non avrebbe potuto utilizzare un
centesimo né per dare incentivi alle imprese che assumevano (le quali, però,
tolti gli incentivi hanno smesso di farlo) né per il famoso bonus di 80 euro
a una vasta platea di contribuenti (parte della quale, però, è stata costretta
a restituirli).
Insomma, alle favole non crede più nessuno. Così come alle rassicurazioni sul
governo in carica. Quando Renzi dice che Paolo
Gentiloni non ha più l’alibi del voto anticipato a giugno, perché il
calendario congressuale del Pd lo rende di fatto improbabile, e quindi deve
‘fare le cose’, allunga inevitabilmente un’ombra sinistra sulla vita
dell’esecutivo. In molti, infatti, ricorderanno che le stesse parole, ‘fare le
cose’, furono utilizzate nei confronti di Enrico Letta nel
2014, prima di defenestrarlo da Palazzo Chigi. Ma la differenza fondamentale,
rispetta ad allora, è che oggi a Renzi non crede più
nessuno.
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