Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

venerdì, ottobre 31, 2008

Urgnano: cena Circoscrizione 22 presso il Castello La Rocca







mercoledì, ottobre 29, 2008

BRUXELLES DIA LA POSSIBILITA' AI GOVERNI DI AIUTARE LE FAMIGLIE

di Giacomo Stucchi

La messa a punto di un pacchetto di interventi governativi anti-crisi è opportuna e sarebbe il caso che alcuni di questi fossero soprattutto a sostegno delle famiglie che, in questo momento, sono quelle che soffrono di più. Va bene aver sostenuto le banche, anche per salvaguardare i depositi dei cittadini, così come è altrettanto utile individuare piani di intervento a favore delle imprese, soprattutto quelle medio piccole, che costituiscono l’ossatura della nostra economia e che, anche a causa della stretta al credito da parte degli istituti bancari, sono quelle che patiscono di più la crisi finanziaria, ma non bisogna dimenticare le famiglie. Se nelle imprese, infatti, crescono le richieste di cassa integrazione e la produzione industriale diminuisce, ciò avviene anche perché sul fronte dei consumi la domanda è in calo. Per avere il polso della situazione esistente, basta guardare del resto a come sono cambiate le modalità di acquisto di alcuni beni, per esempio quelle delle automobili (per comprare le quali sempre più spesso si stipulano contratti di finanziamento anche a quarantotto o sessanta rate), o della diminuzione dei consumi nei supermercati già dalla terza settimana del mese. Ecco perché, in primis, occorre che Bruxelles dia la possibilità ai governi di allargare i cordoni della spesa. Da lì, infatti, deve arrivare un segnale concreto per poter derogare alle rigide regole europee e, quindi, ai risparmi promessi dalle legge Finanziaria. In audizione al Senato, il presidente dell'Abi, Corrado Faissola, ha ipotizzato di qui al 2009 un calo del Pil dell'ordine del 2,5%. Se così fosse, è stato giustamente fatto notare, si tratterebbe di una recessione, contro la quale i suddetti decreti salva-banche potrebbero non essere sufficienti. Il governo quindi fa bene ad individuare delle misure anti-crisi, a favore di imprese e famiglie, che potrebbero servire ad alleggerire la situazione. E’ vero che, come ha ricordato il premier, “con la manovra Finanziaria triennale si è messo il cuore oltre l'ostacolo e posto in sicurezza i conti, per portare al più presto il debito sotto il 100% (si tenga conto che negli altri paesi il rapporto debito/Pil è intorno al 60%). Così come è altrettanto vero che il governo ha già preso alcune decisioni come quella, per esempio, di venire incontro agli statali, per i quali Brunetta ha promesso ai sindacati 120 euro netti di indennità alla fine dell'anno, più 120 euro al mese a partire da gennaio per il rinnovo contrattuale, ma tutto questo deve ora essere completato con gli aiuti alle famiglie in difficoltà. Penso ai pensionati, ai nuclei familiari monoreddito o ai disoccupati. I cittadini, alle ultime elezioni, hanno votato il centrodestra perché l’hanno ritenuta una coalizione in grado di venire incontro alle istanze della gente. Sino ad oggi sono state affrontate con successo alcune emergenze (vedi i rifiuti in Campania e una maggiore sicurezza nelle città), perché giustamente ritenute prioritarie, adesso però bisogna venire incontro alle esigenze dei cittadini più deboli, fortemente penalizzati da una congiuntura economica sfavorevole.

lunedì, ottobre 27, 2008

VELTRONI DA' I NUMERI E NON AVANZA PROPOSTE CONCRETE

di Giacomo Stucchi

Le polemiche sul numero di persone che hanno partecipato alla manifestazione di sabato scorso del Pd, non sono una questione di lana caprina. Per quanto ci riguarda fossero state cento o un milione, quando il popolo scende in piazza merita il massimo rispetto da parte di tutti, anche degli avversari politici. Ma, in questo caso, il punto è un altro. In politica si sa, sono i numeri che contano. Nel 2006, tanto per fare un esempio, il centrodestra perse le elezioni per pochi voti, una “bazzecola” rispetto al corpo elettorale, e nei successivi due anni il centrosinistra poté governare solo perché, di volta in volta, poteva contare sui voti di qualche senatore a vita. Come si vede, quindi, i numeri a volte fanno la differenza. Comprendiamo anche la voglia del Pd, dopo mesi di cocenti sconfitte e delusioni, di voler enfatizzare il successo del Circo Massimo, ma certo che “sparare” il numero di due milioni e mezzo di persone, significa averla detta davvero grossa. Veltroni non si rende conto che quando fa queste affermazioni perde di credibilità. Chi può credere al fatto che a stare ad ascoltarlo nel pratone di Roma ci fossero queste moltitudini di persone? Crediamo proprio nessuno. Allo stesso modo il segretario del Pd non è credibile quando chiede al Governo di ritirare il provvedimento sulla scuola e di mettersi intorno a un tavolo per discuterne. Ma per favore, come si fa a chiedere una simile assurdità! L’esecutivo è nella pienezza delle sue funzioni istituzionali e politiche, ha la maggioranza parlamentare per portare avanti il proprio programma (senza, per fortuna, dover elemosinare il voto di questo o quell’altro senatore a vita, come invece ha fatto Prodi per due anni) e quindi ha il dovere di farlo, sino in fondo, anche per non tradire il mandato ricevuto dagli elettori. Dopo di che, tra cinque anni, si andrà di nuovo a votare e allora, in quella occasione, Veltroni (se mai dovesse essere ancora segretario del Pd!) avrà la possibilità di rifarsi. Ogni paragone tra la situazione di oggi e quella di qualche mese fa, quando a governare era il Professore, e a scendere in piazza era invece il centrodestra, è poi del tutto impropria. Innanzi tutto perché Fassino e compagni, come abbiamo detto, avevano vinto la competizione elettorale con un margine risicato (e per giunta dubbio) di voti, e poi perché, sempre il centrosinistra, aveva spocchiosamente rifiutato l’offerta di collaborazione fatta da Berlusconi all’indomani delle elezioni, proprio perché era a tutti evidente l’impossibilità di governare. Ebbene, dopo due anni, i fatti ci hanno dato ragione: il centrosinistra è imploso, si è restituita la parola agli elettori e, appena sei mesi fa, la Lega Nord e il Pdl hanno stravinto le elezioni. Allo stesso modo siamo certi che, passata l’onda delle proteste (strumentalizzate ad arte dalla sinistra e da chi non vuole il cambiamento ma il mantenimento dello status quo), ai cittadini e ai diretti interessati (ovvero agli insegnati, ma anche agli studenti e ai loro genitori) saranno più chiare ed evidenti le ragioni del provvedimento Gelmini. Intanto, però, sarebbe bello se, quando si parla della scuola, opinionisti e addetti ai lavori lo facessero soprattutto dal punto di vista dei fruitori di quest’ultima, e cioè dei ragazzi, e non solo da quello dei professori e dei loro problemi.

sabato, ottobre 25, 2008

Ghisalba: cena sezione


Romano di Lombardia: cena sezione


Sotto il Monte Giovanni XXIII: Umberto Bossi alla Festa della Lega Nord


Zogno: inaugurazione Nuova Via "Enio Salvi"


giovedì, ottobre 23, 2008

CHE NON PENSI VELTRONI DI RICEVERE IN REGALO LE PIAZZE


di Giacomo Stucchi

Riguardo ai fatti di questi giorni sul fronte della scuola la sensazione è che la protesta degli studenti universitari, ancorché legittima, stia sbagliando decisamente bersaglio. Dalle dichiarazioni che alcuni manifestanti rilasciano ai giornalisti televisivi, si capisce che ci sono ragazzi abbastanza informati e, altri, dai quali traspare evidente solo la voglia di non entrare in aula per seguire la lezione, ma di fare vacanza con la scusa dell’occupazione. Sin qui non ci pare che ci sia nulla di nuovo. Senza voler far paragoni con altri movimenti studenteschi, c’è sempre stata negli studenti di tutte le generazioni una voglia di contestazione contro il sistema, e quindi sarebbe strano che non ci fosse anche di questi tempi. Nessuno può negare, peraltro, che non esiste un ministro della Pubblica Istruzione nella storia della Repubblica, da Malfatti alla Moratti, che non sia stato contestato, qualche volta anche duramente. Nel caso delle contestazioni al decreto Gelmini, però, c’è forse una marcia in più di tutte le altre volte, come se dagli esiti di questa vicenda dipendessero, in parte, il destino sia del Governo sia dell’opposizione. Fors’anche perché il dibattito sul provvedimento dell’esecutivo, in materia di scuola primaria (e non di università!), sta coincidendo con i preparativi per la manifestazione del 25 ottobre, indetta dal Partito Democratico, ed è ovvio quindi che il segretario di quel partito, che nei sondaggi arretra sempre di più, ha un bisogno disperato di cavalcare la protesta e, anzi, se possibile porsene a capo. Non a caso in questi giorni Veltroni ci sembra essere addirittura più estremista del suo ex alleato Antonio Di Pietro che certo, su Alitalia ed elezione del giudice costituzionale, non ha contribuito a tenere bassi i toni della polemica politica. Tornando alla protesta, sul diritto dei giovani a dissentire non c’è neppure un fronte di discussione, per il semplice motivo che il problema non esiste. Si tratta di un diritto costituzionale che nessuno, tanto meno un movimento popolare come la Lega Nord, si sogna di ledere. Il punto, semmai, è un altro e riguarda un altrettanto sacrosanto diritto, che hanno altri cittadini, a non trovare sbarrato dai picchietti degli studenti, come è accaduto alla stazione di Milano, l’accesso ai treni. Occupare l’università, inoltre, è certo una libera scelta, ma bisogna anche tenere conto che non tutti gli studenti sono disposti ad accettarla e non tutti intendono passare la giornata urlando con un megafono. Un ultima considerazione, infine, riguarda ancora l’aspetto politico di tutta la questione. Il dato è che l’opposizione è allo sbando, soprattutto perché il Governo di centrodestra ha lavorato bene in questi mesi a Palazzo Chigi. Pertanto, che non pensi Veltroni di prendersi le piazze, perchè quando la riforma della scuola, come del resto tutte le riforme, sarà chiara a tutti, i toni strumentalizzati delle attuali polemiche si smorzeranno. I problemi sul tappeto sono ancora tanti e complessi, e la contingenza economica e finanziaria non è certo tra le migliori possibili, per cui è facile cavalcare la protesta, con la complicità di sindacati e associazionismi vari. Ma quella di Veltroni è una falsa illusione.

lunedì, ottobre 20, 2008

OPPOSIZIONE IRRESPONSABILE

di Giacomo Stucchi

Che l’intesa tra i due alleati della sinistra, Walter Veltroni e Antonio Di Pietro, sarebbe finita con una burrascosa separazione, peraltro significativa del pessimo stato di salute dei loro rapporti, era più che prevedibile. Così come lo era il fatto che i due, una volta rotto ogni tipo di convergenza politica, cominciassero a rinfacciarsi colpe reciproche. Su questo fronte, la sensazione è che se colpe ci sono queste attengono ad entrambi i segretari del Pd e dell’Italia dei Valori, che hanno sempre fatto finta di condividere un programma comune, ma che in realtà non sono mai stati d’accordo su nulla. Se un programma ci fosse stato, oggi Veltroni e Di Pietro lo avrebbero potuto rivendicare anche dai banchi dell’opposizione. Invece, come ormai tutti i cittadini hanno capito, da parte loro non viene proposto proprio nulla, che possa contribuire almeno un po’ a risolvere i tanti problemi sul tappeto, fatta eccezione per le solite argomentazioni avverso il premier, o il presunto pericolo dell’instaurazione di una dittatura. Tuttavia, se lo scontro tra i due ex alleati era prevedibile, con la conseguenza che i due segretari, prima o poi, sarebbero arrivati ai ferri corti e se ne sarebbero dette di tutti colori, altro discorso è quello relativo al ruolo dell’opposizione. La disfatta del centrosinistra, alle ultime elezioni politiche, brucia ancora parecchio ed è probabile che molto presto assisteremo ad altre “rese dei conti”, questa volta all’interno del Pd, considerato che i Fassino, D’Alema e Marini stanno già affilando le armi, anche in vista delle prossime scadenze elettorali. Tutto questo, a nostro avviso, non può e non deve però inficiare il ruolo che i partiti di opposizione devono avere in Parlamento, ma anche nella società civile, in una democrazia compiuta. Una volta si diceva che l’opposizione doveva essere “costruttiva”, nel senso che aveva l’obbligo morale di porsi come alternativa al Governo, per cercare di superarlo quanto a capacità propositiva. Adesso, invece, assistiamo all’immobilità totale, che in alcuni casi si ritorce addirittura contro l’interesse dei cittadini. Persino quando si tratta di difendere l’interesse delle nostre aziende in sede comunitaria, come sta avvenendo in questi giorni con il Governo impegnato a rivedere l’accordo sulle misure di lotta ai gas da effetto serra in Europa, l’opposizione va addosso all’esecutivo. Forse qualcuno dovrebbe spiegare ai duellanti del centrosinistra che battersi per ottenere una maggiore flessibilità dell’accordo Ue, serve alle nostre imprese, che in questo momento di crisi economica e finanziaria non hanno risorse sufficienti da investire per combattere l’inquinamento ambientale. Nessuno mette in discussione la bontà dell’accordo, ma bisogna anche avere il buon senso di capire le ragioni di chi in questo momento si trova dinanzi alla necessità di licenziare, altro che investire! Far finta di non capire questa esigenza, perché bisogna sempre e comunque dare addosso al Governo Berlusconi, è un atto irresponsabile.

giovedì, ottobre 16, 2008

LA LEGA "VOLA" NEI SONDAGGI, LE BUGIE DELLA SINISTRA HANNO LE GAMBE CORTE

di Giacomo Stucchi

Certo che l’Italia è davvero strana. Mentre tutto il mondo sta col fiato sospeso per la crisi finanziaria, i cui contorni ad oggi non sono ben definiti (e ancor meno lo sono le soluzioni) e ovunque ci si domanda, dopo i tonfi delle Borse degli ultimi giorni e le fibrillazioni dei Governi e delle economie, cosa ci riservi ancora l’immediato futuro, da noi è quasi un delirio su altre questioni. Se dovessimo spiegare ad uno straniero perché la politica italiana, ma anche il circuito mediatico, si sta avvitando sull’elezione di un giudice costituzionale, o su quella del presidente della Commissione di vigilanza, o sulla proposta della Lega Nord di istituire nelle nostre scuole classi di inserimento per i bambini stranieri, saremmo in grande difficoltà. Entrare nel merito del provvedimento in materia scolastica non serve, perché è già stato fatto con fiumi di inchiostro su tutte le pagine dei maggiori giornali, e con un diluvio di dichiarazioni su tutte le maggiori radio e televisioni, ma certo che provare a spiegare all’estero il perché di tutta questa mobilitazione è impresa davvero ardua! La sensazione è che le forze di opposizione, così come opinionisti e massmediologi, non proprio al di sopra delle parti, abbiano tutto l’interesse a soffiare sul fuoco delle polemiche, pretestuose, solo per fare bagarre. Perché, si sa, più confusione si crea, meglio è per chi, in questo momento, non avendo responsabilità di Governo, ha ben poco da perdere. Tanto vale, allora, far impantanare in Parlamento il provvedimento sulla scuola, tanto meglio se con la scusa di opporsi ad un presunto rigurgito razzista. La verità, però, è un'altra. E consiste nel fatto che il segretario del maggiore partito di opposizione, Walter Veltroni, sta pagando le conseguenze del suo più grave errore politico, quello di allearsi con Antonio Di Pietro. L’ex pm, infatti, come abbiamo già fatto notare in altri nostri interventi, non perde occasione per scavalcare il Pd nell’opposizione al Governo e per acuire al massimo lo scontro politico. Ma in questa rincorsa allo sfascio a rimetterci sono i cittadini, in generale, che potrebbero subire un rallentamento nell’efficacia dell’azione di Governo, ma anche l’elettorato del centrosinistra (non a caso, a giudicare dai sondaggi, sempre più perplesso e sempre meno convinto di votare Pd) che non capisce dove lo stia portando il suo maggiore esponente. Chi è in malafede, allora, sostiene che l’esecutivo non vuole opposizione, né disturbatori del manovratore, e che quindi la democrazia è in pericolo. Ma i cittadini sanno che non è vero, e che le istituzioni democratiche non sono né in discussione né corrono alcun pericolo, tanto meno a causa delle proposte della Lega Nord che difatti, in alcuni sondaggi, a livello nazionale vola tra il 10 e l'11%, oltre due punti sopra il risultato delle elezioni politiche. Segno evidente che la gente non abbocca alle bugie dell’opposizione, ma guarda ai risultati concreti.

martedì, ottobre 14, 2008

UE, LE COSE VANNO MEGLIO QUANDO GLI STATI SONO LIBERI DI DECIDERE

di Giacomo Stucchi


Gridare allo scampato pericolo è di certo prematuro ma, come molti osservatori fanno notare, è già un enorme risultato aver invertito la tendenza dei listini che, nelle Borse di tutto il mondo, hanno finalmente ripreso a salire. Nessuno sa esattamente cosa potrà accadere nell’immediato futuro, né quali conseguenze abbia davvero avuto, soprattutto sui bilanci degli istituti coinvolti, la tempesta finanziaria degli ultimi giorni. Un punto, tuttavia, sembra essere assodato, ovvero che se gli Stati, pur coordinandosi, vengono lasciati liberi di operare, ognuno secondo le proprie esigenze, questa strategia premia. I mercati, cioè, hanno dimostrato di dare credito agli interventi predisposti dall’Eurogruppo, ma soprattutto, ai singoli Governi che li hanno poi tradotti in decisioni operative. Come ha fatto giustamente notare Oscar Giannino, su Libero, “è’ un fatto che gli eurocrati hanno perso posizioni e tocco magico, non è la Bce ad aver messo le basi per la ripresa di una fiducia possibile”. In altre parole, ciò che (al momento) ha permesso di scacciare i fantasmi della recessione globale, non sono state le istituzioni comunitarie, ma un inedito coordinamento, su scala mondiale, che ha lasciato ampi margini di discrezionalità ai singoli Governi di prendere le misure necessarie ad evitare la catastrofe finanziaria. Eppure, c’è in queste ore, soprattutto da parte di chi ha interesse (a vario titolo) a spingere il piede sull’acceleratore dell’integrazione europea, la tendenza ad esaltare il ruolo dell’Unione che, nell’ultimo fine settimana a Parigi, si dice abbia ritrovato un’unità d’intenti. Per quanto ci riguarda, questa interpretazione non ci pare del tutto corretta. Sarebbe un errore, infatti, se la comunità internazionale, ma soprattutto le istituzioni europee, che dovrebbero sovrintendere alle politiche comunitarie, non traessero un insegnamento dai fatti degli ultimi giorni, i quali a giudicare dall’euforia delle Borse, dicono che gli investitori hanno dato fiducia ai Governi. E allora, perché non si lasciano gli esecutivi liberi di agire anche sull’economia reale? Si è tanto parlato in questi giorni del pericolo che quest’ultima, soprattutto sul fronte dei consumi, possa essere influenzata negativamente dai crac finanziari. Bene, poiché è ancora presto per dire che questo pericolo è scongiurato, perché non cogliere l’occasione per “liberare”, o almeno allentare, gli Stati membri dai mille lacci e lacciuoli comunitari, che imbrigliano le loro economie? Nella nostra, per esempio, gli interventi potrebbero tradursi in una politica di sostegno alla piccola e media impresa che, in questo momento, soffre tantissimo anche a causa della contrazione dei consumi. Speriamo quindi che, almeno questa volta, i burocrati di Bruxelles capiscano che non c’è momento migliore per adottare decisioni a favore di tutti i cittadini, anziché limitarsi a salvare i “soliti noti”.

lunedì, ottobre 13, 2008

Bergamo: inaururazione nuovo sottopasso ferroviario




domenica, ottobre 12, 2008

Caravaggio: Convegno Anmil





mercoledì, ottobre 08, 2008

L'UE INCESPICA SULLA CRISI FINANZIARIA

di Giacomo Stucchi

C’è in atto una sorta di tiro al piccione, soprattutto dalle parti dell’opposizione e in taluni organi di informazione ad essa contigui, contro i presunti responsabili della crisi finanziaria che sta investendo gli Stati Uniti, con ripercussioni anche in Europa.
Sul banco degli imputati, soprattutto, il sistema economico a stelle e strisce che, si dice da più parti, ha fatto vivere i cittadini americani troppo al di sopra delle loro reali possibilità favorendo, per esempio, l’elargizione del prestito su larga scala senza le necessarie garanzie. In questa situazione, ci si chiede quando e in che misura i crolli finanziari d’Oltreoceano incidano in Europa ma, soprattutto, in che modo gli stati membri dell’Ue possano cautelarsi.
Al di là delle responsabilità della crisi in atto, a dire il vero, in questa circostanza, ciò che preoccupa di più è la constatazione che l’Unione europea, ancora una volta, continua a dimostrare tutti i suoi limiti. Resi palesi anche dal fatto che le borse europee sono precipitate proprio nel giorno del summit finanziario, tra Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna. Al primo punto dell’ordine del giorno del vertice c’era, soprattutto, la ricerca di una soluzione al problema di come mettere in cassaforte i risparmi dei cittadini, in caso di assalti speculativi alle banche europee. Ma, come già altre volte in passato, Bruxelles non è stata in grado di trovare una linea univoca e si è andati in ordine sparso. Così, alla proposta del premier Berlusconi di istituire un fondo comune europeo, a garanzia dei depositi dei correntisti, gli altri partner hanno risposto picche e ognuno ha detto la sua: chi voleva continuare a dare soldi alla banche a rischio, dando luogo così ad una sorta di nazionalizzazione, per annullare le eventuali disastrose conseguenze di un loro fallimento; chi invece proponeva di immettere liquidità per salvare titoli spazzatura. Alla fine, per rispondere alla crisi, la misura più significativa per la tasche dei cittadini è stata quella dell’'innalzamento della soglia minima di garanzia per i depositi bancari da 20 a 50 mila euro (in Italia, comunque, è già a 103 mila). Insomma, la montagna ha partorito il topolino, e la sensazione è che, nell’immediato, non ci sia una vera soluzione al problema di come mettere a riparo il sistema da eventuali crolli finanziari. Intanto, le borse di tutto il mondo vanno avanti, a prescindere dalle decisioni dei governi, figuriamoci poi delle istituzioni che latitano, come quelle comunitarie, e al momento, sul fronte dei rischi concreti, nessuno può prevedere “quanti titoli spazzatura” ci siano nelle pieghe dei bilanci degli istituti di credito europei, e quindi nessuno è in grado di sapere cosà accadrà nell’immediato futuro.
In Italia la situazione sembra essere più sicura che altrove, ma resta alta l'allerta del Governo. Così come del presidente americano George W. Bush, che ha chiamato al telefono il francese Nicolas Sarkozy, il premier britannico Gordon Brown e il presidente del Consiglio Berlusconi, per discutere della crisi finanziaria. Bush ha lanciato l'idea di un summit mondiale, la convocazione di un G-8 straordinario per coordinare gli interventi sulla crisi internazionale. Il meeting potrebbe essere in Italia, a cui spetta la presidenza di turno del G-8 nel prossimo anno. Che il summit possa riuscire là dove l’Ue, sino ad oggi, ha fallito? E’ ancora presto per dirlo.

sabato, ottobre 04, 2008

Vedeseta: Festa del ritorno





venerdì, ottobre 03, 2008

Brignano Gera d'Adda: inaugurazione manifestazione Brignano che produce



giovedì, ottobre 02, 2008

CASO CATANIA, IN BALLO C'E' MOLTO DI PIU' DEI 140 MILIONI

di Giacomo Stucchi

L’annunciata elargizione di fondi straordinari per salvare il Comune di Catania dal crac finanziario, che secondo notizie di stampa è nell’ordine dei 140 milioni di euro, stride fortemente con quanto ci accingiamo a discutere in Parlamento nei prossimi giorni, e cioè il federalismo fiscale. Non ce ne vogliano i Catanesi, nei confronti dei quali non abbiamo assolutamente nulla, ma sta di fatto che il finanziamento al loro Comune, così come quello di 500 milioni di euro, fatto a suo tempo alla città di Roma, non va nella direzione auspicata dalla Lega Nord, tanto sul piano del rigore dei conti pubblici quanto su quello amministrativo. Su questa questione, però, ci sono due fronti di discussione. Uno è di natura strettamente tecnica, è riguarda il fatto che in futuro, una volta approvata la riforma sul federalismo fiscale, sarà praticamente impossibile per qualsiasi ente locale fare ricorso a “elargizioni” straordinarie da parte dello Stato per mettere a posto i propri conti. Ogni Comune dovrà pensare per sé, perché avrà gli strumenti, primo fra tutti quello della leva fiscale, per poterlo fare. Abbandonare “la spesa storica”, per adottare quella standard, significa infatti ottimizzare i bisogni di ogni Comune, ma anche responsabilizzare la classe dirigente che amministra. E veniamo, così, al secondo aspetto del problema, che consiste nell’adozione di un principio, purtroppo in disuso, ma che tuttavia adesso deve diventare basilare, e cioè che chi sbaglia paga! I cittadini di Catania, così come quelli di Roma, o di qualsiasi altra parte si dovessero verificare dissesti di questo tipo, dovrebbero essere i primi a pretendere giustizia, amministrativa e, ove occorra, anche penale. Non è più possibile, infatti, consentire che amministratori incapaci, dopo aver sperperato il denaro dei contribuenti e causati danni in qualche caso irreparabili, restino impuniti, o peggio si ripropongano per ricoprire altri incarichi istituzionali. Chi manda in dissesto un Comune non deve più amministrare, né ricoprire altre cariche pubbliche, è questo il punto. Viceversa, passerebbe il principio, pericoloso e sbagliato, che tanto a pagare è sempre il solito cittadino, sulle spalle del quale si scarica poi sempre tutto. Il Governo, peraltro, non è più nelle condizioni di consentire “salvataggi” di questo tipo. Nelle ultime settimane, infatti, ma direi anche in queste ore, si sta proprio discutendo di cosa dare, e come, ai Comuni in termini di gettito Irpef. Si tratta, cioè, di stabilire regole che valgono per tutti, da Catania a Milano, da Napoli a Bergamo. Non ci si può quindi confrontare con le associazioni che rappresentano gli Enti locali, per discutere di federalismo fiscale, e quindi di autonomia impositiva , e poi agire con interventi straordinari mediante delibere del Cipe. Rischiamo di fare cento passo indietro proprio in un momento in cui, dopo decenni di lotta, la Lega Nord sta riuscendo a portare in Parlamento il provvedimento sul federalismo fiscale, per approvarlo e farlo diventare legge dello Stato. Ecco perché, dietro al caso Catania, c’è molto di più dei 140 milioni di euro.