Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

domenica, ottobre 30, 2011

FONTANELLA - 30/10/11 - 1° ANNIVERSARIO SEZIONE LEGA NORD































CARAVAGGIO - 30/10/11 - CONVEGNO FAND













sabato, ottobre 29, 2011

ROMANO DI LOMBARDIA - 29/10/11 - CENA SEZIONE LEGA NORD













SERIATE - 29/10/11 - CONVEGNO "1861 - 2011: DALLO STATO CENTRALISTA ALL'UNIONE FEDERALE"














































































giovedì, ottobre 27, 2011

BOSSI E LA LEGA TENGONO IL PUNTO

di Giacomo Stucchi


Se c’è un fatto certo questo è quello che vede la Lega Nord, e le istanze che rappresenta, uscire vincenti con le proprie posizioni anche al cospetto dell’Ue. Le pensioni di anzianità non si toccano. Le Lega Nord, e il suo Segretario Federale Umberto Bossi, lo avevano garantito e così è stato. Segno evidente che il Carroccio, unito e compatto, è determinante per la definizione delle politiche economiche e sociali del governo e pone il punto anche nei confronti dei burocrati di Bruxelles che, con il pretesto del risanamento e della stabilità monetaria e finanziaria, pretendono di dettare legge a casa nostra. Adesso spetta al Parlamento, nella sua interezza, lavorare alacremente per tradurre in provvedimenti concreti le indicazioni che il presidente del Consiglio Berlusconi ha consegnato ai vertici dell’Ue. Ma se il buon giorno si vede dal mattino c’è da scommettere che le opposizioni non faranno nulla per assumersi le loro responsabilità dinanzi al Paese e, anzi, cercheranno di affossare in tutti i modi il percorso legislativo necessario per tradurre in fatti i provvedimenti annunciati. Bersani, Di Pietro e Casini, speravano che il premier non fosse neppure nelle condizioni di presentare proposte concrete a Bruxelles e quindi non vedevano l’ora di metterlo ko una volta per tutte. La responsabilità della Lega Nord, invece, ha fatto sì che tutto questo non avvenisse e anzi ha permesso di individuare un percorso verosimile per venire fuori da una situazione difficile. Questo ovviamente non significa che tutti i problemi siano svaniti di colpo ma è certo che noi non ci tireremo mai indietro dinanzi alla nostre responsabilità, ma soprattutto a difesa degli interessi dei cittadini padani e delle loro istanze ed aspettative. Sulle pensioni, se proprio si deve procedere ad un innalzamento dell’età pensionabile, si procederà gradualmente e comunque solo per quelle di vecchiaia. Su tutto il resto vedremo se la sinistra, che in passato ha sempre difeso l’inviolabilità delle regole del mercato del lavoro, quasi fossero un totem intoccabile, con a fianco una parte dei sindacati sempre pronti a scendere in piazza a fomentare lo scontro sociale, anziché contribuire a trovare soluzioni concrete a vantaggio dei lavoratori, avrà il coraggio di confrontarsi con onestà intellettuale e senza atteggiamenti precostituiti. Noi siamo pronti a lavorare nelle sedi legislative, con le nostre idee e i nostri programmi, per il bene del Paese, dei cittadini, delle imprese, che non aspettano altro che misure concrete per venire fuori da una situazione difficile, frutto di una sfavorevole congiuntura internazionale che non ha precedenti. Vedremo molto presto quindi chi gioca allo sfascio, facendo correre rischi serissimi alla nostra economia e al nostro sistema sociale, e chi invece ha davvero a cuore gli interessi di tutti.

mercoledì, ottobre 26, 2011

IL PRESIDENTE DOUBLE-FACE

di Giacomo Stucchi


Adesso basta. L’atteggiamento di parte del presidente della Camera Gianfranco Fini sta provocando lesioni gravissime alle istituzioni democratiche: i fatti accaduti a Montecitorio sono stati anche una diretta conseguenza della sua inopportuna presenza in televisione a Ballarò allo scopo di creare polemica, in un clima politico già abbastanza riscaldato. Il passaggio più singolare della puntata è stato peraltro quando Fini, la cui presenza in quel salotto televisivo denotava probabilmente la sua convinzione di essere già in campagna elettorale, e quindi di dovere recuperare il grave deficit di consenso che nei sondaggi vede Fli non certo veleggiare, ha detto che l’attuale governo non è credibile perché ha i numeri risicati in Parlamento. Un osservazione politica che chiunque, avversario o meno del governo, sarebbe moralmente legittimato a fare ad eccezione di Fini, per la semplice ragione che è stato proprio il presidente della Camera , con le manovre di palazzo del 2010, a determinare tale situazione. L’uscita dal Pdl dei cosiddetti finiani ha infatti avuto come conseguenza il venire meno nella maggioranza di un certo numero di parlamentari che i cittadini avevano votato in quel partito. Il presidente della Camera sa, però, che la maggioranza parlamentare che lui ha voluto indebolire, con la speranza vana di recitarne il de profundis lo scorso 14 dicembre, è la medesima che ha determinato la sua elezione allo scranno più alto di Montecitorio! Un minimo di coerenza vorrebbe quindi che se si afferma che la maggioranza non ha più i numeri per governare, allo stesso modo il presidente della Camera non avrebbe più titolo per rimanere a presiedere l’aula parlamentare. Ma non è questo, tuttavia, il motivo principale per il quale ci soffermiamo sul comportamento istituzionale e politico del presidente della Camera, sul quale peraltro negli ultimi mesi c’era davvero ben poco da dire considerato l’oblio mediatico e politico che lo ha interessato. Il punto è che se, come parlamentari e rappresentanti delle istituzioni, non stigmatizzassimo certi comportamenti istituzionalmente scorretti rischieremmo di legittimarli, contribuendo anche a creare dei precedenti. In altre parole, il ruolo istituzionale di chi presiede l’aula di Montecitorio dovrebbe coincidere con un comportamento al di sopra delle parti, dentro e fuori l’istituzione che presiede. Una regola alla quale, in passato, tutti i presidenti si sono sempre attenuti. Al contrario di Fini che, invece, tutte le volte che lo ha ritenuto opportuno ha preso parte al dibattito politico, nella sua duplice e contemporanea funzione di presidente della Camera ma anche di leader di partito, con l’unica coerenza di essere di parte dentro e fuori l’aula parlamentare. Le perfomance televisive del presidente della Camera, infatti, fanno il paio con il suo atteggiamento ostruzionistico nei confronti del governo, del quale abbiamo avuto un esempio concreto in occasione del voto sul rendiconto di bilancio per il 2010 di qualche giorno fa.

giovedì, ottobre 20, 2011

LA SOLITA MELINA DELLA SINISTRA

di Giacomo Stucchi


Chiunque avesse ascoltato il dibattito parlamentare di questi giorni alla Camera dei Deputati avrebbe potuto constatare il clima di scontro fomentato dalla sinistra. Sappiamo bene che lo scontro politico nella fase legislativa è quanto di più normale possa esistere in tutte le democrazie e quindi anche nella nostra. Ma quando in Parlamento una parte di esso, nella fattispecie quella che sta all’opposizione, mira non al confronto, anche duro, ma alla delegittimazione dell’avversario politico, allora tutto cambia. Alla Camera, dove si è discusso, tra l’altro, delle modifiche all’articolo 41 della Costituzione, abbiamo assistito ad una melina da parte dell’opposizione davvero disarmante. Senza entrare nel merito della questione, della quale peraltro si sta ampiamente dibattendo in sede legislativa, ciò che importa sottolineare in questa sede è l’approccio ideologico della sinistra al grande tema delle riforme. I vari Bersani, Finocchiaro e Letta, in televisione sproloquiano sulla necessità di riformare le leggi dello Stato, ammettendo in alcuni casi persino la loro vetustà o non corrispondenza con le esigenze di un Paese moderno, ma poi in Parlamento alzano le barricate. “Sfregio della Costituzione” e “nefandezze” sono tra i termini più gettonati dai parlamentari della sinistra all’indirizzo della maggioranza, solo perché questa sta cercando in tutti i modi di liberare il nostro sistemo legislativo da tutti quei lacci e lacciuoli che negli ultimi tempi hanno impedito all’economia del Paese di crescere come avrebbe potuto. Da dove cominciare quindi se non dalla legge più importante, e cioè quella Costituzionale? Quando però, dopo tanti dibattiti propedeutici (fuori e dentro il Parlamento) si arriva al dunque, ovvero al momento in cui bisogna procedere ad approvare un provvedimento legislativo, la sinistra entra in trincea, comincia la sua battaglia ideologica e mette in scena una sorta di resistenza ad oltranza che fa solo perdere tempo prezioso al Parlamento e, indirettamente, al Paese. Come se non bastasse, quando poi la maggioranza di centrodestra, perché coesa e determinata, approva una revisione costituzionale ci pensa poi la “macchina da guerra” della sinistra (composta da partiti, sindacati, associazioni, giornali, televisioni, intellettuali, osservatori, e molto altro ancora) ad accendere i motori della propaganda per bloccare tutto. E’ andata esattamente così con il Referendum costituzionale del 2006. Sta avvenendo così anche in questa legislatura, cominciata con il passo giusto sulla strada delle riforme (in primis quella del federalismo fiscale), ma caratterizzata poi, purtroppo ancora una volta, dallo scontro ideologico cercato e voluto da un’opposizione sempre attenta a trovare nell’ostruzionismo parlamentare una sua ragione d’essere, ma non curante dei reali interesse dei cittadini.

SOTTO IL MONTE - 20/10/11 - FESTA LEGA NORD































martedì, ottobre 18, 2011

UN'OPPOSIZIONE IRRESPONSABILE

di Giacomo Stucchi


Negli episodi terroristici che hanno messo a ferro e fuoco il centro di Roma, è davvero difficile stabilire con certezza dove finisce la protesta spontanea e legittima di molti giovani, e dove comincia invece la strumentalizzazione politica. Una cosa però è sicura: dinanzi a certe forme di contestazione, e alla loro degenerazione violenta e criminale, la polemica politica non dovrebbe nemmeno esistere per lasciare spazio all’esecrazione unanime. Ma c’è di più. Tentare di mettere in croce il governo in carica, come hanno fatto diversi esponenti dell’opposizione, per presunte responsabilità di quanto accaduto è da irresponsabili. Se davvero ci fosse scappato il morto, frutto magari di un atteggiamento meno prudente da parte delle forze dell’ordine, che si sono trovate a contrastare una vera e propria guerriglia urbana, allora si che oggi la solita sinistra (la stessa che ha sempre speculato sui disordini del G8 di Genova del 2001!) avrebbe sparato a zero contro Polizia e Carabinieri. Inoltre, dopo gli scontri della scorsa settimana, è concreto il timore che, da Roma alla Val di Susa, si possano verificare nuovi e gravi episodi. Ma siamo sempre alle solite. Anche su questo, infatti, un’opposizione inconcludente e priva di scrupoli riesce a dividersi. Da un lato con Di Pietro, che invoca l’applicazione di leggi speciali, dall’altro lato con il Pd e Sel che invece non ne vogliono sapere di adottare provvedimenti d’emergenza e trovano però più comodo non fare nulla per impedire che la politica sfoci nella violenza. Una posizione che non condividiamo e che fa il paio, del resto, con quanto accaduto a Montecitorio la scorsa settimana sulla votazione per la fiducia al governo. Anche in quell’occasione l’opposizione ha dimostrato uno scarso senso dello Stato e poco rispetto per le istituzioni. Non può infatti essere definito altrimenti l’avere abbandonato l’Aula durante il discorso del premier, ma anche il maldestro e ridicolo tentativo di fare mancare il numero legale (con l’obiettivo non dichiarato, ma a tutti evidente, di far precipitare il Paese nel caos). Se di strategia politica si tratta, certo non è molto edificante né appagante in termini elettorali. Anche il risultato delle regionali in Molise dimostra infatti che la sinistra non ha convinto l’elettorato e che potrebbe continuare a rimanere all’opposizione ancora a lungo. Ecco perché Bersani e Di Pietro farebbero bene a cambiare atteggiamento: dentro il Parlamento (confrontandosi costruttivamente con la maggioranza sulle misure da adottare in favore di famiglie e imprese), ma anche fuori, stigmatizzando senza riserve ogni tipo di degenerazione violenta dello scontro politico e senza addossare inesistenti colpe al governo in carica e in modo particolare al ministro dell'interno Roberto Maroni.

giovedì, ottobre 13, 2011

LA CAMERA COME UN BUCO NERO

di Giacomo Stucchi


L’assenza dall’Aula parlamentare dei deputati dell’opposizione durante l’intervento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è solo l’ultimo atto di una sceneggiata che Pd, Idv, Fli e Udc, stanno portando avanti da tempo e della quale a pagarne le conseguenze saranno solo i cittadini. Se c’è una certezza nell’attuale quadro politico questa consiste nel fatto che nel nostro Paese, oltre alla congiuntura internazionale sfavorevole, bisogna fare i conti con un’opposizione irresponsabile e assoluta protagonista di un’azione politica, dentro e fuori il Parlamento, priva di senso dello Stato e dell’interesse comune. In altre parole, i vari Bersani, Di Pietro, Casini e Fini, pur di vedere soccombere il Governo e il premier, sono davvero disposti a tutto. Non importa quali siano le conseguenze per il Paese, non importa la circostanza che l’alternativa all’Esecutivo in carica sia il nulla, non importa la priorità delle misure economiche da adottare: niente di tutto questo può scalfire il disegno di vecchi e nuovi oppositori del governo che rimane quello di farlo cadere prima della scadenza naturale della legislatura. Il mandato parlamentare, che la Costituzione stabilisce essere di cinque anni, è infatti un periodo troppo lungo per certe forze politiche da molto tempo fuori dalla stanza dei bottoni per volontà degli elettori. Bastava vederli in questi giorni i deputati dell’opposizione: felici e contenti, ma non per avere contribuito a risolvere un problema dei cittadini, o magari per avere approvato una riforma che può tornare utile a tutti, ma solo per essere riusciti (grande soddisfazione!) a tendere un’imboscata parlamentare alla maggioranza. I giochetti dei guastatori della democrazia, sabotatori dei lavori d’Aula in servizio permanente, ma anche il comportamento, istituzionalmente scorretto, del presidente della Camera Gianfranco Fini, stanno di fatto trasformando, in questo scorcio di legislatura, un ramo del Parlamento da organo legislativo in un buco nero nel quale può davvero accadere di tutto. Si dirà che l’opposizione fa il suo mestiere e che compito della maggioranza è quello di serrare le fila in ogni circostanza. E’ vero, ma solo in parte. Perché le partite vanno giocate ad armi pari e con un arbitro imparziale. Una condizione che alla Camera dei Deputati, da quando il suo presidente ha abbandonato il suo ruolo di arbitro istituzionale, per ricoprire quello di capo di un partito, non esiste più. In occasione del voto alla Camera sul rendiconto di bilancio per il 2010, tanto per citare solo l’episodio di questa settimana, il presidente Fini prima ha tergiversato sulle decisioni da prendere e poi si è attaccato ai cavilli regolamentari pur di creare le peggiori condizioni possibili per il Governo e per il presidente del Consiglio. Questa non è più democrazia ma partigianeria! Un vecchio retaggio che, purtroppo, certi uomini politici e rappresentanti delle istituzioni, pur vivendo ormai nel ventunesimo secolo, non riescono proprio ad abbandonare.

martedì, ottobre 11, 2011

LA SINISTRA AL GOVERNO? SOLO UN AUSPICIO DEI DIRETTI INTERESSATI

di Giacomo Stucchi


Certe analisi giornalistiche sul nostro movimento fanno davvero sorridere. Ma siccome in ballo c’è la rappresentanza politica di milioni di cittadini padani si può sorridere sino ad un certo punto perché poi bisogna pensare alla cose serie. La strategia dell’opposizione è ormai chiara da tempo: non essendo riuscita negli ultimi mesi a dare la spallata al governo né in Parlamento, con i vari voti di sfiducia, né nel Paese, dal momento che tutti i sondaggi confermano che il Pd non riscuote poi una così grande fiducia negli elettori, ora provano con le campagne mediatiche contro la Lega. Così tra gli osservatori e intellettuali, soprattutto di sinistra, si concentrano sul Carroccio per cercare di depotenziarlo mediaticamente. Ma chi segue questo percorso si rassegni o si inventi qualcos’altro. La Lega Nord, qualunque cosa accada nel breve o nel medio periodo, continuerà per la sua strada sotto la guida del suo Segretario Federale Umberto Bossi. Il nostro programma politico e l’approccio alle questioni sul tappeto sono la nostra forza. Mentre gli altri continuano, dopo anni di diatribe, a ragionare ancora oggi in termini ideologici (la sinistra contro il berlusconismo, i sostenitori del Cavaliere contro il ritorno del comunismo), la Lega Nord (già prima di diventare forza di governo) ha sempre guardato alle questioni da risolvere con pragmatismo ma anche con il rispetto della Costituzione. Abbiamo da tempo scelto la via democratica per realizzare le riforme e siamo determinati a portarle a termine. Il governo è in carica sino a quando ha la maggioranza in Parlamento, tutto il resto sono solo chiacchiere. Come quelle che vorrebbero la sinistra pronta a governare questo Paese. Più che una possibilità concreta a noi pare solo un auspicio dei diretti interessati. Il Pd infatti, prima ancora che con i suoi alleati di Sel e Idv, deve trovare al suo interno l’accordo sulle cose da fare. Bersani, dopo le difficoltà avute in Parlamento per l’elezione di Mattarella a componente della Consulta, ha dovuto di nuovo penare per far eleggere il presidente dell’Anci Graziano Delrio. L’elezione, infatti, è arrivata dopo una lunghissima trattativa tra i delegati del Pd, che addirittura hanno dovuto ricorrere alle primarie interne per sciogliere il dilemma delle candidature. E che dire poi della manifestazione di Firenze nella quale il sindaco Matteo Renzi, ha rilanciato l’azione dei cosiddetti “rottamatori” mandando a dire a Bersani:”Non chiediamo spazi, non vogliamo posti, andremo a prenderceli”. Sarebbe questa l’alternativa all’asse Bossi- Berlusconi? Altro che sinistra di governo, qui siamo al delirio della sinistra nel suo complesso. Ecco perché, oggi più che mai, il pragmatismo della Lega Nord, costituisce un’arma vincente. Avanti quindi, senza indugi, con i provvedimenti in favore di famiglie e aziende, ma anche con le riforme che servono al Paese.

domenica, ottobre 09, 2011

BERGAMO - 09/10/11 - DEPOSIZIONE CORONA ANMIL













BRACCA - 09/10/11 - 45° FESTA DELLE CASTAGNE































venerdì, ottobre 07, 2011

STRASBURGO - 07/10/11 - CONSIGLIO D'EUROPA
































































giovedì, ottobre 06, 2011

I "FRATELLI COLTELLI" DELLA SINISTRA SEMPRE ATTIVI

di Giacomo Stucchi


Basta soffermarsi sulle votazioni per l’elezione del nuovo giudice della Corte Costituzionale per avere un esempio nel nostro Paese se a governare fosse la sinistra. Sergio Mattarella, candidato del Pd, è stato infatti eletto dopo ben quattro votazioni del Parlamento in seduta comune e solo dopo che, alla quarta chiamata, il quorum si è abbassato. Durante le votazioni se ne sono viste davvero di tutte i colori con i vari esponenti del Pd ad accusarsi l’uno contro l’altro di non rispettare gli accordi, visto che ad un certo punto sono spuntati addirittura 65 voti a favore dell’ex presidente della Camera Luciano Violante. Ma anche con i presunti alleati del Pd, Italia dei Valori e Radicali, che hanno fatto mancare i loro voti creando non pochi problemi al segretario Bersani. Insomma, pur immaginando che la gente non si appassioni a questi giochetti di Palazzo (che peraltro la sinistra ha sempre praticato!) è impossibile non farvi riferimento. Serve a far riflettere sul modus operandi dell’opposizione che, tutte le volte che si trova a dover prendere delle decisioni di rilievo, non riesce mai ad essere unita. Come nel caso della sfiducia al ministro Saverio Romano, quando il presidente del Pd Rosy Bindi lanciò il suo anatema politico ai deputati Radicali, in quota Pd, che non la votarono:”Un comportamento inqualificabile. Il gruppo e il partito ne traggano le conseguenze”. Come è andata a finire? Più o meno come tutte le cose dalle parti del Pd: a tarallucci e vino! Anche perché nel frattempo nel Pd hanno trovato il modo e la voglia di litigare anche fuori dal Parlamento, in occasione della raccolta delle firme per il referendum sull’abrogazione della legge elettorale attualmente in vigore. A tal proposito è eloquente l’intervento alla Direzione del partito di Arturo Parisi, esponente di primo piano del Pd e promotore del referendum, pubblicato sul suo sito internet, il cui titolo è già emblematico: “Sul referendum grave errore di valutazione politica. In un partito serio il segretario si presenterebbe dimissionario”. Parisi, pur con il linguaggio della diplomazia politica, non usa mezzi termini nei confronti di Bersani che non avrebbe in un primo momento sposato la via referendaria, per avallare invece quella della riforma della legge elettorale con un’iniziativa parlamentare. Insomma, sono fatti interni al Pd, ai quali non ci appassioniamo di certo, ma che la dicono lunga su cosa potrebbe accadere se i cittadini, tra qualche mese o tra un anno e mezzo, dovessero malauguratamente scegliere di riportare a Palazzo Chigi l’armata Brancaleone di prodiana memoria. Nella migliore delle ipotesi si aprirebbe per il Paese una nuova stagione di forte instabilità politica, l’ultima delle cose di cui abbiamo bisogno in questo momento.

martedì, ottobre 04, 2011

STRASBURGO - 04/10/11 - CONSIGLIO D'EUROPA









































































OCCORRE RIFLETTERE SUL RUOLO DI CONFINDUSTRIA

di Giacomo Stucchi



Confindustria, con la presidenza di Emma Marcegaglia, implacabile ‘fustigatrice’ del governo e sempre sulle prime pagine dei giornali più per le sue entrate a gamba tesa nel dibattito politico che non per le proposte a favore degli industriali, ha perso il più importante gruppo industriale del Paese. La decisione della Fiat di uscire da Confindustria è una di quelle azioni che devono fare riflettere e che legittima la richiesta della Lega Nord di far uscire anche le aziende statali. Approfondiamo la questione perché soffermarsi su alcuni aspetti della vita politica ed economica può aiutare a capire i fatti di tutti i giorni, ma anche cosa a volte si cela dietro le dichiarazioni di Tizio o di Caio. Il fatto è che in politica quasi nulla accade per caso ed i continui attacchi al governo da parte di Confindustria, in un momento di forti turbolenze economiche e finanziarie mondiali, unitamente alle difficoltà endemiche del nostro sistema ad intraprendere con fermezza la via delle riforme strutturali, sono stati in molte occasioni quanto meno fuori luogo. Proprio quando cioè bisognava fare quadrato, soprattutto sulle manovre varate la scorsa estate per mettere in sicurezza l’economia del Paese, Confindustria, anziché preoccuparsi concretamente dei problemi delle categorie che rappresenta, ha preso parte a pieno titolo allo scontro politico. Una strategia non certo produttiva per una categoria che di tutto ha bisogno fuorché esacerbare i rapporti con il governo. In alcune occasioni lo scontro della Marcegaglia con Palazzo Chigi è sembrato andare ben oltre la normale dialettica politica ed istituzionale per diventare scontro diretto tra parti in causa, intenzionate ad occupare il medesimo spazio. Ecco perché nessuno può negare che oggi l’uscita di Fiat da Confindustria, ancorché annunciata a suo tempo e quindi prevista, sia un fatto molto grave. Al di là del merito della questione, e cioè dei motivi che hanno spinto Marchionne ad assumere la decisione, la riflessione che oggi bisogna fare è sul ruolo, in generale, di Confindustria. Anche perché, sarà un caso ma la decisione della Fiat di non volersi più fare rappresentare da Confindustria è stata ufficializzata pochi giorni dopo la presentazione dei cinque punti contenuti nel “Manifesto delle imprese per l’Italia”, redatto anche da Confindustria e illustrato proprio dalla Marcegaglia. Ovvero dopo quell’atto che, più di tutti gli altri, ha determinato la trasformazione di Confindustria in attore politico vero e proprio. Più che rivendicazioni di una categoria, che deve fare i conti con enormi problemi sia interni sia esterni al nostro sistema economico: i cinque punti sono sembrati un programma politico. Adesso, dopo l’uscita di Fiat, né la Marcegaglia né i vertici di Confindustria possono fare a meno di trarre delle conseguenze.

lunedì, ottobre 03, 2011

STRASBURGO - 03/10/11 - CONSIGLIO D'EUROPA