Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

venerdì, settembre 28, 2007

Il federalismo può dare credibilità alla politica

di Giacomo Stucchi

Che la politica abbia dei costi non si scopre certo adesso. Altra cosa è però prendere atto che questi costi, oltre ad essere fuori controllo, sono anche inutili quando i politici, di destra o di sinistra che siano, non risolvono i problemi. In altre parole, a mio modo di vedere, ciò che fa più indignare il cittadino non è solo il fatto di “scoprire” l’ammontare dei considerevoli emolumenti dei parlamentari o i rimborsi spese che vengono loro riconosciuti (peraltro pubblicati sui siti internet di Camera e Senato già da qualche anno), ma la constatazione che a questi costi non corrisponde un impegno concreto che almeno provi a mettere a posto ciò che non funziona. Per il contribuente che paga le tasse, e che giustamente pretende che a questa “tangente” fiscale ci sia un corrispettivo da parte dello Stato in termini di servizi offerti, la politica deve quindi essere efficiente. Tutto il contrario, insomma, di quanto sta accadendo nel nostro Paese, in modo particolare, da quando il Governo dell’Unione ha clamorosamente tradito le promesse elettorali. Perché se è vero che sentimenti di antipolitica sono diffusi da tempo, e ne sa qualcosa un movimento come il Carroccio, che in Padania da anni ha saputo leggere, comprendere, interpretare e rappresentare democraticamente le istanze del popolo, è altrettanto vero che nell’ultimo anno, l’esecutivo in carica ha fatto davvero di tutto per far infuriare la gente, costringendola ad assistere ad estenuanti diatribe fra le diverse componenti di una coalizione che, ad eccezione dell’aumento delle tasse, sino ad oggi non è stata in grado di prendere alcuna valida decisione. Tanto meno poi in materia di sicurezza, o di difesa delle tradizioni culturali e religiose. Tutto ciò premesso, faremmo la politica dello struzzo se non ci ponessimo il problema di tagliare pesantemente i costi della politica. A cominciare da quelle dei Palazzi romani. E’ però fuorviante pensare che il dibattito a Montecitorio, che ha preceduto l’approvazione del consuntivo 2006 e del progetto di bilancio del 2007 della Camera dei Deputati, sia stato caratterizzato dal tema dei tagli alle spese solo perché determinate pubblicazioni, o inchieste giornalistiche, hanno fatto breccia nell’attenzione e nel gradimento del pubblico. Così come lo è indurre la pubblica opinione a credere che i costi della politica dipendano solo dagli stipendi dei parlamentari. Non è così. Esistono,infatti, molte altre “voci” che incidono in modo rilevante. Mi riferisco, per esempio, agli stipendi dei dipendenti delle Camere (peraltro anch’essi oggetto di inchieste giornalistiche la scorsa estate); o il ricorso agli affitti degli edifici, strumentali allo svolgimento delle funzioni dei parlamentari e dei dipendenti, che in alcuni casi potrebbero essere dismessi e posti in vendita qualora si tratti di spazi acquisiti anni fa che oggi non risultino più utili per lo svolgimento dell’attività delle Camere. Per non parlare poi della creazione, in deroga al regolamento, di nuovi gruppi parlamentari, assunta in Ufficio di Presidenza dalla maggioranza nel maggio del 2006, o dell’incremento dei rimborsi ai gruppi parlamentari più grandi in misura più cospicua rispetto a quelli più piccoli, per le quali il Carroccio (tanto per essere chiari) ha protestato nell’Aula di Montecitorio. Insomma, l’elenco è lungo ed è per questo che come Lega Nord abbiamo presentato alla Camera alcuni ordini del giorno che vanno nel senso di un risparmio reale (il 30% in 3 anni), di interventi rigorosi e della giusta abolizione dei privilegi rimasti. Concludo con una annotazione che ritengo opportuna: nei giorni scorsi abbiamo assistito, durante la discussione del Bilancio della Camera, a scene paradossali, ad una sorta di fiera dell’ipocrisia, ad un festival in cui si gareggiava a chi la sparasse più grossa contro “Roma ladrona”. La Lega ha sempre fatto della lotta agli sprechi uno dei temi della battaglia politica; individuando nel centralismo romano una della cause della voragine della spesa pubblica: un autentico buco nero che inghiotte tutto. Per questo le forze politiche, anziché scimmiottare il Carroccio, dovrebbero darsi da fare per una rapida approvazione del federalismo, che rimane l’unica strada per risolvere molti problemi da troppo tempo insoluti consentendo ai cittadini di controllare meglio l’operato dei politici e quindi la qualità della spesa pubblica in termini di risultati ottenuti.
Tratto da LA VOCE di Bergamo - settimanale - 5 ottobre 2007

Con questo Governo sempre più a rischio la democrazia

di Giacomo Stucchi

E’ passato poco più di un anno da quando, nel giugno del 2006, un centrosinistra ottuso e inconcludente, con la complicità (bisogna dirlo) di qualche alleato della Cdl poco accorto e lungimirante, ha fatto di tutto per boicottare il referendum sulla riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi. La Lega Nord è stata il padre e la madre di quella riforma che rispondeva alla duplice esigenza di un nuovo ruolo del Parlamento, con un Senato federale che non fosse solo il duplicato dell’altra Camera ma che si occupasse di specifiche materie, e di nuovi poteri al Presidente del Consiglio (compreso quello di sciogliere le Camere) che sarebbero di certo tornati utili a qualsiasi capo di Governo, di destra o di sinistra che fosse. E invece no, si è preferito darla a bere al popolo, sostenendo che quella riforma avrebbe rappresentato la catastrofe per tutti, e si è scelto di continuare a far marcire la politica e le istituzioni nel limbo di sempre portandoli sull’orlo del baratro. Come avevamo ampiamente previsto, aver convinto i cittadini ad esprimersi contro il nuovo testo costituzionale ha comportato a) l’eclissi totale sul tema delle riforme, delle quali nessuno, ad eccezione naturalmente del Carroccio, parla quasi più b) il decadimento della credibilità delle istituzioni, che alimenta l’avversione del popolo alla politica e del quale noi della Lega Nord in nessun modo e misura ci sentiamo responsabili proprio per aver indicato a suo tempo la via per scansare tutto questo. Col senno del poi, oggi sono in molti a dare ragione al nostro movimento (come ha fatto Sergio Romano sul Corsera del 24 settembre, “Riforma costituzionale: perché era meglio approvarla”) e a riconoscere che una grande occasione di rinnovamento è stata sciaguratamente buttata alle ortiche. Provate ad immaginare, anche solo per un istante, a quale straordinaria stagione avremmo vissuto se solo ci fosse stata la possibilità di cominciare a far girare davvero, e non con le chiacchiere cattocomuniste degli ultimi mesi, il motore del federalismo. Le prospettive sarebbero state completamente diverse da quelle attuali. Ci sarebbe stato fermento e aspettativa a tutti i livelli delle istituzioni e anche i cittadini (dalla Padania a Lampedusa), avrebbero finalmente constatato e apprezzato la capacità della politica di sapersi rinnovare e, soprattutto, di saper venire incontro alle loro esigenze. E invece no, guardate come siamo ridotti! Se la scorsa settimana avessero mandato in onda la diretta televisiva del dibattito al Senato sulla RAI, non mi sarei stupito se la gente fosse scesa in piazza a manifestare il proprio dissenso per il pessimo spettacolo messo in scena dall’Unione a Palazzo Madama. Prima l’intervento del ministro del Tesoro, Padoa Schioppa, in evidente difficoltà nel trovare una valida spiegazione che giustificasse il siluramento di un consigliere del CdA della RAI, reo soltanto di non aver obbedito ai diktat governativi. Poi lo sterile dibattito nel quale, ad eccezione della Lega Nord, nessuna forza politica ha detto le cose come stanno: e cioè che la RAI è un carrozzone costosissimo, del quale i contribuenti loro malgrado si fanno carico, che serve soltanto ad elargire lauti stipendi a migliaia di persone (per lo più impiegate nelle sedi di Roma) e che mortifica ogni possibile professionalità. Infine, il voto, culminato con la sceneggiata del solito Mastella che, uscendo dall’Aula insieme ai senatori dell’Udeur, ha costretto la maggioranza a ritirare le sue mozioni per evitare di ritrovarsi in minoranza. E’ inutile poi nascondere la testa nella sabbia e far finta di non aver visto che in precedenza, anche tra le fila del centrodestra, qualcuno ci ha messo del suo per non far andare sotto l’Unione. Al punto in cui siamo, con un Parlamento incapace di fare alcunché di utile per i cittadini e con un Presidente del Consiglio inerme, che fa finta di niente e continua ad occupare come se nulla fosse la sua poltrona, in uno Stato democratico l’unica soluzione sarebbe quella di tornare immediatamente alle urne per dare la parola al popolo. Ma il punto è proprio questo: dopo la sistematica occupazione del potere da parte del centrosinistra e, soprattutto, dopo le sempre più frequenti defenestrazioni di coloro che “osano” dissentire al Governo, possiamo ancora dire di vivere in uno Stato democratico?
Tratto da LA PADANIA del 25 settembre 2007

mercoledì, settembre 19, 2007

Grillo colpisce e affonda il Partito Democratico

di Giacomo Stucchi

Chi di farsa ferisce di farsa perisce: per una coalizione di Governo che ha trasformato la politica in una boutade, mettendo in piedi un teatrino con attori e replicanti impegnati a fingere di governare mentre, nella realtà, il loro vero obiettivo è il mantenimento del potere, non poteva non nascere un contraltare, rappresentato in questo caso da Beppe Grillo, un comico-capopopolo che muove le sue critiche più feroci al Governo in carica, riscuotendo consensi proprio nell’elettorato dell’Unione.
Si può dire allora che, pesantemente provati dalle conseguenze dell’esperienza del centrosinistra al Governo, l’esasperazione dei cittadini, ha portato alla ribalta nazionale Grillo e le sue frustate alla politica nostrana. E su quanto successo bisogna riflettere.
Risulta infatti singolare che, da un lato, organizzazioni partitiche complesse e dalla struttura capillare (quali sono quelle dei Ds e della Margherita) impieghino mesi e mesi per avviare un presunto processo riformatore, che veda nella nascita del Partito Democratico il momento topico, con l’intento di intercettare il consenso di un elettorato deluso, mentre, dall’altro, un singolo soggetto (che dispone solo di un blog) riesca a radunare decine di migliaia di persone nelle piazze di molte città e dicendo loro di mandare a quel paese i partiti politici, in generale, ma di diffidare, in particolare, di quello nascente nel centrosinistra.
Insomma, dopo le performance di Grillo a Bologna e al Festival dell’Unità, si può dire che il Partito Democratico è stato colpito e affondato. Perché, al di là degli improperi (giusti o sbagliati) all’intera classe politica, quelli di Grillo sono dei veri e propri siluri sganciati all’indirizzo dei vari Fassino e Rutelli, padri fondatori del neonato PD, che rischiano seriamente di vedere agonizzare la loro “creatura” prima ancora di averla messa alla prova elettorale. Sarebbe una caso senza precedenti nella storia. Dopo mesi e mesi di riunioni, comizi, convention, tempo impiegato per dire in giro alla gente che il “nuovo” partito è la risposta a tutti i problemi; dopo le tante lotte intestine tra le classi dirigenti per assicurasi un posto al sole del nuovo schieramento, ecco arrivare il Grillo guastafeste che dice a chiare lettere al popolo del centrosinistra, che questa storia del nuovo partito è una gran presa per i fondelli. Per la verità, anche noi avevamo già espresso da tempo le nostre perplessità ma, per un elettore dell’Unione, un conto sono le critiche dell’avversario politico, che si possono ritenere scontate, diverso è invece sentirsele fare da chi si ritiene vicino alla propria parte politica.
In altre parole Grillo ha messo a nudo ciò che tutti nell’Unione sanno da tempo: il Partito Democratico, con i suoi riti tipici della Prima Repubblica, non è la risposta giusta allo sfascio nel quale quasi sedici mesi di esecutivo Prodi ci hanno portato. E se lo dice lui, che un po’ di centrosinistra se ne intende, noi non abbiamo motivi per non credergli. Sbaglia del resto chi ritiene che il movimento d’opinione che si è creato intorno al comico genovese sia fine a se stesso. Noi non lo abbiamo mai creduto e, infatti, le ultime dichiarazioni del diretto interessato hanno dato il via libera alla presentazione di liste civiche alle prossime elezioni amministrative. Una decisione che nell’immediato non dovrebbe avere conseguenze, dal momento che (per fortuna dell’Unione e ancor di più del PD) non ci sono consultazioni elettorali dietro l’angolo, ma che incredibilmente trova una sponda nel ministro alle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, per il quale "invitare gli elettori insoddisfatti a mettersi insieme con delle liste civiche è un'ottima idea”. Per il già malconcio Professore, oltre al danno anche la beffa!
TRATTO DA LA PADANIA DEL 19 SETTEMBRE 2007

giovedì, settembre 13, 2007

Il federalismo è la risposta all’antipolitica

di Giacomo Stucchi

Fra le numerose e gravi responsabilità, oggettivamente imputabili all’Unione, una in particolare merita di essere sottolineata: il vezzo di fare di tutta un’erba un fascio relativamente all’incapacità delle forze politiche di interpretare gli umori dei cittadini e rappresentarne gli interessi. Esiste cioè, una tendenza del centrosinistra ad omologare i movimenti e i partiti, tanto dell’una quanto dell’altra parte, in una sorta di chiamata alla corresponsabilità generale. Ebbene, in questa trappola la Lega Nord non intende cadere. Se un sentimento di antipolitica ovunque sta montando, per quanto ci riguarda, non è certo imputabile al Carroccio, che sta accrescendo i propri consensi in Padania e che non si sente chiamato in causa, ad esempio, il Presidente della Camera Fausto Bertinotti dice che la “politica è sotto schiaffo dell’economia”. Noi della Lega non ci sentiamo affatto “sotto schiaffo” di niente e di nessuno per il semplice motivo che la nostra proposta, per uscire dalle secche nelle quali la prima Repubblica, da un lato, e il centrosinistra dall’altro, ci hanno portato, è sempre la stessa: il federalismo, che risolverebbe da solo gran parte dei problemi di natura costituzionale, economica e sociale oggi esistenti. Un altro fronte sul quale si tende a generalizzare è quello del lavoro. Non è vero che le soluzioni al problema della disoccupazione sono tutte uguali. Se, da un lato, è ovvio che in linea di principio sarebbe meglio poter assicurare un posto di lavoro fisso a tutti, dall’altro è altrettanto evidente che averlo promesso in campagna elettorale è stato per la sinistra un errore madornale. Con l’aggravante che, nel promettere alla gente una cosa impossibile, si sono anche lanciati ingiustificati strali contro la legge Biagi, approvata dalla Cdl nella scorsa legislatura; un provvedimento che, a detta di tutti gli osservatori con un minimo di onestà intellettuale, ha costituito invece la più concreta ed efficace soluzione degli ultimi decenni al problema della disoccupazione e del precariato. La verità è che le ragioni del mercato del lavoro, che spinge per una maggiore flessibilità ma anche per una riduzione delle tassazioni che gravano sul costo del lavoro stesso, devono conciliarsi con la centralità dell’occupazione. Ma, anche in questo caso, la realtà dei fatti (e il pragmatismo politico che una coalizione di Governo, degna di questo nome, dovrebbe avere) fa a pugni con un armamentario ideologico, da era giurassicca, che purtroppo ancora oggi sta alla base dell’identità della sinistra radicale. La quale peraltro, dopo che la FIOM ha detto no all’accordo sul welfare, adesso si trova davvero sotto schiaffo. Come faranno infatti Diliberto e Giordano, ultimi custodi al mondo (assieme a Chavez e Fidel Castro) dell’ortodossia comunista, a stare con un piede a Palazzo Chigi e con l’altro nelle piazze a protestare contro il governo Prodi? Probabilmente una risposta seria e convincente a questa domanda non esiste, ma la sinistra ormai ci ha abituato alle giustificazioni più pittoresche. Allora, a chi bisogna rivolgersi per districare la matassa? Il Presidente della Repubblica, altra carica in mano ad un’esponente dell’Unione, dice di non volersi fare coinvolgere nella mischia e di voler restare al di sopra delle parti per rappresentare tutti i cittadini. Ebbene, con tutto il rispetto per la carica istituzionale, anche in questo caso si tratta di una visione un po’ primordiale del ruolo. Perché se è vero che nello spirito costituzionale la presidenza della Repubblica deve rappresentare tutti, compito di per sé già arduo e improbo in ogni tempo, è altrettanto vero che in un clima qual quello odierno non si può certo stare a guardare e fare finta di niente. Se una coalizione, o presunta tale, sta al Governo solo per occupare i posti di potere ed è sgradita a due cittadini su tre, che volentieri la solleverebbero dal suo compito per mandarla a casa, non ci si può permettere miopia istituzionale e politica. Continuare a farlo significa solo far crescere ancor più nella gente l’avversione alla politica.

martedì, settembre 11, 2007

Chi tiene alla democrazia ponga fine a questo governo

di Giacomo Stucchi

Dopo Moretti, Celentano e Benigni, mancava solo Beppe Grillo ad interpretare il ruolo di fustigatore della politica, in generale, e della sinistra in particolare. Forse dallo scorso fine settimana, c’è in lizza un nuovo candidato alla guida del partito Democratico! Staremo a vedere. Per il momento ci limitiamo ad osservare che se le persone accorse in Piazza Maggiore a Bologna, mobilitate dal comico su internet, e tutte le altre scese in strada nelle altre città, testimoniano un avversione alla politica, di certo non si può dire che il governo in carica sia avulso dall’aver contribuito a creare questo stato d’animo. In altre parole, se la gente non ne può più della politica è soprattutto perché, da un anno e mezzo a questa parte, assiste impotente alla rappresentazione del peggio che la politica può dare di se. Quando una coalizione non decide nulla, perché se lo facesse rischierebbe di far cadere il governo in ogni istante; quando i ministri dell’esecutivo dicono ognuno una cosa diversa dall’altro, smentendo di continuo gli stessi annunci che in pompa magna il capo del governo, o chi per lui, dà ai cittadini; quando non c’è una rotta da seguire e nessuno, tanto meno il presidente del Consiglio, ha la forza (ma direi anche la capacità) di indicarla; quando il cittadino vede nelle istituzioni solo la rappresentazione della vessazione e del sopruso; quando le famiglie vedono compromesse la loro serenità perché lo Stato non le aiuta a mandare i figli a scuola, non le protegge dai delinquenti (che anzi vengono messi in libertà da inopportuni provvedimenti di clemenza), non tutela neanche le proprie tradizioni religiose e culturali; quando tutto questo, per mesi e mesi, accade ogni giorno; allora, altro che avversione alla politica: c’è da stupirsi come mai non ci sia stato ancora l’assalto al Palazzo. La coscienza democratica è un conto, altra cosa è il fatto che una parte politica, nella fattispecie quella dell’Unione, la calpesti spudoratamente ogni giorno, infischiandosene delle più elementari regole della convivenza civile che vogliono, prima di tutto, che ogni popolo si scelga il governo che vuole. Se è vero (come è vero) che neppure i soliti quotidiani vicini al centrosinistra possono più stemperare la crudezza dei numeri alla base dei sondaggi che, più o meno, dicono tutti che due cittadini su tre non ne possono più di Prodi e dei suoi ministri, è decisamente giunto il momento di dimostrare che le istituzioni democratiche, non solo esistono, ma sono al servizio dei cittadini, che dicono in tutti i modi di non volere più questo governo e questa tendenza peraltro si consolida con il passare dei giorni. Si tratta di un dato che deve essere seriamente preso in considerazione da chi costituzionalmente è chiamato a verificare se in Parlamento, che è espressione del corpo elettorale, continua ad esistere una maggioranza effettiva a sostegno del Professore. Per maggioranza effettiva si intende una coalizione di governo che voti e approvi provvedimenti legislativi che affrontino i problemi e migliorino la vita delle persone. A cosa sono servite infatti le votazioni sulla fiducia al governo, se non a mantenere lo status quo? Votare ed approvare inutili ordini del giorno non serve a nulla, se poi questi atti parlamentari non si tramutano in decisioni concrete. Il nostro sistema legislativo è già abbastanza farraginoso e lungo e l’ostruzionismo che la sinistra radicale fa al governo, su gran parte delle questioni all’ordine del giorno, non può che complicare le cose. Ecco perché, per il bene dei cittadini, sarebbe ora che in Parlamento quanti nell’Unione hanno ancora a cuore le sorti della democrazia, si tirino fuori da questa irresponsabile maggioranza decretandone la sua fine.
Tratto da LA PADANIA dell' 11 settembre 2007

La Lega più avanti degli altri

di Giacomo Stucchi

L’accordo Bossi-Fini-Berlusconi sulla riforma della legge elettorale, o se si preferisce sui principi cardine che secondo la Cdl la stessa deve necessariamente avere, è anche figlio di una centralità politica che nessuno può disconoscere alla Lega Nord e al suo segretario federale Umberto Bossi. L’azione politica del Carroccio, che ha sempre avuto una linearità di comportamento (sia quando si stava al Governo e sia oggi che si sta all’opposizione), non a caso premiata alle elezioni amministrative della scorsa primavera, si è concentrata soprattutto sulla soluzione di quei problemi che i cittadini avvertono come prioritari, in primis la riduzione delle tasse e una maggiore sicurezza. A livello locale, provvedimenti da sempre cavalli di battaglia della Lega (come quelli per arginare il fenomeno dei lavavetri o dei “vu’ cumprà”) vengono oggi adottati dai sindaci di sinistra di grandi città, come Firenze, e nessuno si sogna di tacciarli come “razzisti”. Segno evidente che le nostre idee e la nostra politica, lungi dal voler discriminare qualcuno, è in realtà l’unica strada da seguire per poter far si che ogni cittadino possa sentirsi padrone a casa propria. Ecco perché è quanto mai importante che, oggi più di ieri, sindaci e presidenti di province in Padania, continuino ad essere uomini e donne della Lega. Perché noi abbiamo dimostrato di essere più avanti degli altri, di averci visto giusto e di aver individuato per tempo dove e in che modo bisognava intervenire. Lo stesso è successo a livello centrale, dove la riforma costituzionale fortemente voluta dal Carroccio rimane l’unico esempio portato a termine in Parlamento e, purtroppo, non approvato in tutte le Regioni con il referendum solo perché una falsa informazione, e la propaganda della sinistra, ne ha minato la credibilità. Tanto è vero che le linee guida della riforma (dalla riduzione del numero dei parlamentari ai maggiori poteri al premier) sono le stesse cose sulle quali oggi la galassia dei partiti del centrosinistra discute, ma forse sarebbe meglio dire fa finta di discutere, che tuttavia è certo non diventeranno mai realtà. Per questo motivo, l’unico modo per cambiare le cose a livello centrale, è quello di andare a votare al più presto, per mandare a casa Romano Prodi, invertire la rotta dell’azione di governo dell’Unione (che oltre a prosciugare le tasche dei cittadini sta anche facendo a pezzi la fiducia delle famiglie), riprendere il cammino delle riforme della Cdl, là dove queste sono state interrotte a causa dello sciagurato (e ancora controverso) esito del voto per le Politiche del 2006. In tal senso l’incontro di Gemonio, e la conseguente intesa della Cdl sulla nuova legge elettorale, è di certo servito ad accelerare questo processo di avvicinamento alla scadenza elettorale. Poiché la riforma del sistema di voto è stata presa a pretesto da parte del centrosinistra per non andare a votare, adesso non ci sono più scuse. I punti alla base della bozza approvata a Gemonio sono assolutamente di buon senso e per questo condivisibili da buona parte delle forze politiche di entrambi gli schieramenti. Tanto più che, fermo restando il principio della salvaguardia della governabilità, Lega Nord, Forza Italia e An hanno manifestato l’ampia disponibilità a confrontarsi con la maggioranza per una rapida intesa che consenta, nel volgere di un paio di mesi al massimo, di andare a votare in Parlamento un testo condiviso e quindi tornare alle urne. Adesso non ci sono più scuse. L’appello del presidente della Repubblica Napolitano, che invitava le forze politiche a trovare un’intesa sulla riforma della legge elettorale, è stato accolto dalla Cdl. La proposta è stata avanzata, l’aspettativa è che la maggioranza l’accolga con senso di responsabilità, senza tatticismi e manovre dilazionatorie, per il bene di tutti i cittadini.
Tatto da LA PADANIA dell' 8 settembre 2007

giovedì, settembre 06, 2007

Di nuovo all’opera il circo dell’Unione

di Giacomo Stucchi

Che quelli della sinistra siano specialisti nel “governo ombra” è cosa nota, ma che alla ripresa dell’attività politica i cittadini si trovano costretti a confrontarsi non solo con Prodi, attuale premier in carica, ma anche con chi mira ad essere il suo successore, è veramente troppo. Ci eravamo lasciati nei primi giorni di agosto con il tormentone delle primarie nel partito Democratico, con relative proteste degli esclusi Di Pietro e Pannella, e ci ritroviamo oggi con la querelle tra il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e l’aspirante tale, Walter Veltroni, sull’opportunità di tagliare o meno le tasse. Insomma, non si può certo dire che le vacanze, almeno per chi le ha fatte, siano servite a rasserenare gli animi e chiarire le idee. Qui c’è più confusione di prima. Il Professore sostiene infatti che “prima bisogna fare i conti e poi ridurre le tasse”, mentre il primo cittadino di Roma vuole abbassarle subito. Ma come, non si era detto che il candidato alla guida del Pd doveva contribuire a rafforzare il governo? A noi pare che, dalle parti del centrosinistra, a non capirci più nulla siano proprio i protagonisti. I quali, dopo la pausa estiva, perdendo una buona occasione per rimanere in silenzio, hanno subito dato fuoco alle polveri nel maldestro tentativo di anticiparsi l’un l’altro nelle dichiarazioni ad effetto. Sicché per i cittadini non c’è stato neppure il tempo di riporre le valigie nell’armadio che il circo dell’Unione si è subito rimesso in moto per dare il peggio di sé. Cominciando proprio a Telese, luogo caro al ministro Mastella che vi celebra ogni estate la festa dell’Udeur, che in questi giorni sembra essere diventato l’ombelico della politica. Da lì, oltre che con alcuni interventi (pubblicati sui giornali fiancheggiatori del centrosinistra sotto forma di lettere aperte o di interviste), è partita la campagna d’autunno di Veltroni che ha subito rassicurato l’attuale inquilino di Palazzo Chigi di non volerlo sostituire senza prima passare dal voto popolare. Insomma, è il succo del ragionamento del sindaco di Roma, caro Romano non ti devi preoccupare per il futuro del tuo governo perché io non sono mica D’Alema che orchestra le manovre di Palazzo; no, io nel Palazzo entro dalla porta d’ingresso principale, ovvero con il consenso del voto popolare. Già, il voto. In effetti, l’unica cosa giusta da fare sarebbe proprio quella di andare al votare al più presto. Lo auspica di certo la Lega Nord, che peraltro non ha mai accettato il verdetto elettorale della primavera del 2006, quando un tuttora discutibile computo dei voti ha portato ad una frettolosa ed incauta proclamazione del vincitore, ma l’impressione è che più le si invoca queste elezioni più si tiene unita una maggioranza che è divisa su tutto tranne che sulla vocazione a tenersi ben strette le poltrone istituzionali. In altre parole, andiamoci cauti con queste aspettative di elezioni al più presto, che qualcuno addirittura pronostica per la prossima primavera, perché per l’Unione il collante del potere e la certezza matematica di perderlo, se si dovesse andare alle urne a breve, sono delle ottime ragioni per rinviare sine die il momento della resa dei conti elettorale. Certo, dall’altro lato, è sotto gli occhi di tutti il fatto che questi incoscienti del centrosinistra ormai da un anno e mezzo giocano col fuoco. Al Senato non hanno i numeri per governare ma, con la stampella dei senatori a vita, sino ad oggi sono riusciti a rimanere a galla; non hanno uno straccio di programma di governo condiviso, nonostante le quasi trecento pagine presentate a suo tempo agli elettori, ma con bizantinismi di ogni tipo e il costante rinvio della soluzione ai vari problemi, hanno di fatto messo con le spalle a muro il Parlamento convocandolo solo per il disbrigo degli affari correnti. Insomma, i motivi per sciogliere le Camere, e andare a votare già nel 2008, sarebbero veramente moltissimi; ma nelle more che questo accada il centrodestra non può certo stare a guardare. Ecco perché è quanto mai opportuna la battaglia per la protesta fiscale difesa dal nostro segretario federale, Umberto Bossi. Che, considerata la legittima rabbia dei cittadini, per l’incompetenza dimostrata da chi ci governa, non ha di certo bisogno di essere né invocata né sollecitata in quanto esiste già nei fatti. In questa situazione il Carroccio, che da sempre lotta per la libertà della Padania, non può certo far finta di niente e aspettare gli eventi ma ha il dovere di stare con il popolo per difendere le sue legittime richieste.
Tatto da LA PADANIA del 6 settembre 2007