Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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giovedì, settembre 13, 2007

Il federalismo è la risposta all’antipolitica

di Giacomo Stucchi

Fra le numerose e gravi responsabilità, oggettivamente imputabili all’Unione, una in particolare merita di essere sottolineata: il vezzo di fare di tutta un’erba un fascio relativamente all’incapacità delle forze politiche di interpretare gli umori dei cittadini e rappresentarne gli interessi. Esiste cioè, una tendenza del centrosinistra ad omologare i movimenti e i partiti, tanto dell’una quanto dell’altra parte, in una sorta di chiamata alla corresponsabilità generale. Ebbene, in questa trappola la Lega Nord non intende cadere. Se un sentimento di antipolitica ovunque sta montando, per quanto ci riguarda, non è certo imputabile al Carroccio, che sta accrescendo i propri consensi in Padania e che non si sente chiamato in causa, ad esempio, il Presidente della Camera Fausto Bertinotti dice che la “politica è sotto schiaffo dell’economia”. Noi della Lega non ci sentiamo affatto “sotto schiaffo” di niente e di nessuno per il semplice motivo che la nostra proposta, per uscire dalle secche nelle quali la prima Repubblica, da un lato, e il centrosinistra dall’altro, ci hanno portato, è sempre la stessa: il federalismo, che risolverebbe da solo gran parte dei problemi di natura costituzionale, economica e sociale oggi esistenti. Un altro fronte sul quale si tende a generalizzare è quello del lavoro. Non è vero che le soluzioni al problema della disoccupazione sono tutte uguali. Se, da un lato, è ovvio che in linea di principio sarebbe meglio poter assicurare un posto di lavoro fisso a tutti, dall’altro è altrettanto evidente che averlo promesso in campagna elettorale è stato per la sinistra un errore madornale. Con l’aggravante che, nel promettere alla gente una cosa impossibile, si sono anche lanciati ingiustificati strali contro la legge Biagi, approvata dalla Cdl nella scorsa legislatura; un provvedimento che, a detta di tutti gli osservatori con un minimo di onestà intellettuale, ha costituito invece la più concreta ed efficace soluzione degli ultimi decenni al problema della disoccupazione e del precariato. La verità è che le ragioni del mercato del lavoro, che spinge per una maggiore flessibilità ma anche per una riduzione delle tassazioni che gravano sul costo del lavoro stesso, devono conciliarsi con la centralità dell’occupazione. Ma, anche in questo caso, la realtà dei fatti (e il pragmatismo politico che una coalizione di Governo, degna di questo nome, dovrebbe avere) fa a pugni con un armamentario ideologico, da era giurassicca, che purtroppo ancora oggi sta alla base dell’identità della sinistra radicale. La quale peraltro, dopo che la FIOM ha detto no all’accordo sul welfare, adesso si trova davvero sotto schiaffo. Come faranno infatti Diliberto e Giordano, ultimi custodi al mondo (assieme a Chavez e Fidel Castro) dell’ortodossia comunista, a stare con un piede a Palazzo Chigi e con l’altro nelle piazze a protestare contro il governo Prodi? Probabilmente una risposta seria e convincente a questa domanda non esiste, ma la sinistra ormai ci ha abituato alle giustificazioni più pittoresche. Allora, a chi bisogna rivolgersi per districare la matassa? Il Presidente della Repubblica, altra carica in mano ad un’esponente dell’Unione, dice di non volersi fare coinvolgere nella mischia e di voler restare al di sopra delle parti per rappresentare tutti i cittadini. Ebbene, con tutto il rispetto per la carica istituzionale, anche in questo caso si tratta di una visione un po’ primordiale del ruolo. Perché se è vero che nello spirito costituzionale la presidenza della Repubblica deve rappresentare tutti, compito di per sé già arduo e improbo in ogni tempo, è altrettanto vero che in un clima qual quello odierno non si può certo stare a guardare e fare finta di niente. Se una coalizione, o presunta tale, sta al Governo solo per occupare i posti di potere ed è sgradita a due cittadini su tre, che volentieri la solleverebbero dal suo compito per mandarla a casa, non ci si può permettere miopia istituzionale e politica. Continuare a farlo significa solo far crescere ancor più nella gente l’avversione alla politica.