Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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venerdì, settembre 28, 2007

Con questo Governo sempre più a rischio la democrazia

di Giacomo Stucchi

E’ passato poco più di un anno da quando, nel giugno del 2006, un centrosinistra ottuso e inconcludente, con la complicità (bisogna dirlo) di qualche alleato della Cdl poco accorto e lungimirante, ha fatto di tutto per boicottare il referendum sulla riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi. La Lega Nord è stata il padre e la madre di quella riforma che rispondeva alla duplice esigenza di un nuovo ruolo del Parlamento, con un Senato federale che non fosse solo il duplicato dell’altra Camera ma che si occupasse di specifiche materie, e di nuovi poteri al Presidente del Consiglio (compreso quello di sciogliere le Camere) che sarebbero di certo tornati utili a qualsiasi capo di Governo, di destra o di sinistra che fosse. E invece no, si è preferito darla a bere al popolo, sostenendo che quella riforma avrebbe rappresentato la catastrofe per tutti, e si è scelto di continuare a far marcire la politica e le istituzioni nel limbo di sempre portandoli sull’orlo del baratro. Come avevamo ampiamente previsto, aver convinto i cittadini ad esprimersi contro il nuovo testo costituzionale ha comportato a) l’eclissi totale sul tema delle riforme, delle quali nessuno, ad eccezione naturalmente del Carroccio, parla quasi più b) il decadimento della credibilità delle istituzioni, che alimenta l’avversione del popolo alla politica e del quale noi della Lega Nord in nessun modo e misura ci sentiamo responsabili proprio per aver indicato a suo tempo la via per scansare tutto questo. Col senno del poi, oggi sono in molti a dare ragione al nostro movimento (come ha fatto Sergio Romano sul Corsera del 24 settembre, “Riforma costituzionale: perché era meglio approvarla”) e a riconoscere che una grande occasione di rinnovamento è stata sciaguratamente buttata alle ortiche. Provate ad immaginare, anche solo per un istante, a quale straordinaria stagione avremmo vissuto se solo ci fosse stata la possibilità di cominciare a far girare davvero, e non con le chiacchiere cattocomuniste degli ultimi mesi, il motore del federalismo. Le prospettive sarebbero state completamente diverse da quelle attuali. Ci sarebbe stato fermento e aspettativa a tutti i livelli delle istituzioni e anche i cittadini (dalla Padania a Lampedusa), avrebbero finalmente constatato e apprezzato la capacità della politica di sapersi rinnovare e, soprattutto, di saper venire incontro alle loro esigenze. E invece no, guardate come siamo ridotti! Se la scorsa settimana avessero mandato in onda la diretta televisiva del dibattito al Senato sulla RAI, non mi sarei stupito se la gente fosse scesa in piazza a manifestare il proprio dissenso per il pessimo spettacolo messo in scena dall’Unione a Palazzo Madama. Prima l’intervento del ministro del Tesoro, Padoa Schioppa, in evidente difficoltà nel trovare una valida spiegazione che giustificasse il siluramento di un consigliere del CdA della RAI, reo soltanto di non aver obbedito ai diktat governativi. Poi lo sterile dibattito nel quale, ad eccezione della Lega Nord, nessuna forza politica ha detto le cose come stanno: e cioè che la RAI è un carrozzone costosissimo, del quale i contribuenti loro malgrado si fanno carico, che serve soltanto ad elargire lauti stipendi a migliaia di persone (per lo più impiegate nelle sedi di Roma) e che mortifica ogni possibile professionalità. Infine, il voto, culminato con la sceneggiata del solito Mastella che, uscendo dall’Aula insieme ai senatori dell’Udeur, ha costretto la maggioranza a ritirare le sue mozioni per evitare di ritrovarsi in minoranza. E’ inutile poi nascondere la testa nella sabbia e far finta di non aver visto che in precedenza, anche tra le fila del centrodestra, qualcuno ci ha messo del suo per non far andare sotto l’Unione. Al punto in cui siamo, con un Parlamento incapace di fare alcunché di utile per i cittadini e con un Presidente del Consiglio inerme, che fa finta di niente e continua ad occupare come se nulla fosse la sua poltrona, in uno Stato democratico l’unica soluzione sarebbe quella di tornare immediatamente alle urne per dare la parola al popolo. Ma il punto è proprio questo: dopo la sistematica occupazione del potere da parte del centrosinistra e, soprattutto, dopo le sempre più frequenti defenestrazioni di coloro che “osano” dissentire al Governo, possiamo ancora dire di vivere in uno Stato democratico?
Tratto da LA PADANIA del 25 settembre 2007