domenica, marzo 30, 2014
sabato, marzo 29, 2014
giovedì, marzo 27, 2014
UN'ALTRA SETTIMANA DEL GOVERNO RENZI CONCLUSA CON UN BUCO NELL'ACQUA
di Giacomo Stucchi
La visita del presidente degli Stati Uniti Obama è una di quelle occasioni che certa stampa, intenta a magnificare qualsiasi cosa faccia o dica il premier Matteo Renzi, non si lascia di certo sfuggire. Così, il presunto feeling tra i due leader, così come l’altrettanto presunta affinità tra il riformismo a stelle e strisce e quello dell’ex sindaco di Firenze, diventano la notizia del giorno. I fatti, invece, dicono che un’altra settimana politica del governo Renzi si è conclusa con l’ennesimo buco nell’acqua. La pseudo abolizione delle Province, della quale Renzi si è tanto vantato e che invece produrrà più danni che vantaggi, non è riformismo ma trasformismo istituzionale. La riforma produce risparmi talmente irrilevanti da non incidere significativamente sulla spesa pubblica, ma avrà risvolti molto negativi sulla qualità della vita dei cittadini. Sulle Province, infatti, l’unica cosa certa che si può dire al momento è che sono state abolite con una legge che ne cancella l'elezione, per disciplinare contestualmente nuove regole elettive, prima della loro naturale scadenza. Su tutto il resto, da come verranno ripartite le loro competenze, al ruolo delle nuove aree metropolitane, temiamo il peggio. Chi si occuperà, per esempio, della manutenzione delle strade provinciali, o di quella delle scuole? Il provvedimento adottato individua delle soluzioni, certo, ma è tutto aleatorio e comunque va poi sperimentato sul campo. Ma è un po’ tutta l’agenda del governo Renzi che procede all’insegna della confusione. Nessuno nega l’urgenza dei provvedimenti ma il punto è che bisogna farli bene. La stessa legge elettorale, non può funzionare, perché consegna il governo del Paese ad una minoranza e taglia fuori dal Parlamento partiti e movimenti ampiamente rappresentativi del territorio. Il caos poi è determinato dal fatto che se si dovesse andare a votare a breve dovremmo farlo con due sistemi di voto, uno alla Camera e l’altro al Senato.
martedì, marzo 25, 2014
IL "ROTTAMATORE" NON E' PIU' ALL'ARREMBAGGIO
di Giacomo Stucchi
A cambiare davvero le cose, riaffermando innanzi tutto il diritto che i cittadini hanno di scegliersi un governo in grado di agire senza i vincoli asfissianti dell’Ue, non sarà l’estemporanea politica di Matteo Renzi, fatta di annunci, battute e ammiccamenti vari. No, a cambiare davvero le cose, sarà l’impetuoso vento di libertà che sta soffiando in europa e che presto porterà al tracollo dei partiti dell’austerity a tutti i costi. Il premier ha già fiutato l’aria che tira e allora mette le mani avanti, precisando che il voto europeo non sarà un giudizio sul suo operato. Ma è vero il contrario e così l’obiettivo di Renzi diventerebbe quello di passare indenne il responso elettorale delle europee. Per riuscire nell'intento il capo del governo sta promettendo, tra l’altro, qualche decina di euro in più in busta paga ad una specifica platea di contribuenti, alla quale però non ha detto che quanto eventualmente troveranno in più nello stipendio lo perderanno su altri fronti. Sull’affidabilità del presidente del Consiglio, del resto, sono gli stessi esponenti del Pd ad avere dei dubbi, al punto da sentire la necessità di ricordargli pubblicamente, che gli “annunci hanno bisogno di risposte coerenti”. Purtroppo, però, i fatti dicono che il Documento di economia e finanza, così come il Piano di riforme, che il governo ha l’obbligo di inviare a Bruxelles entro il 15 aprile, sono ancora in alto mare. Si rimane perciò fermi agli annunci propagandistici che, sul piano dei grandi numeri, costituiscono solo una mera operazione di cassa e per di più in un clima di incertezza e confusione totale. Così la restituzione “to-ta-le” dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese, data per prossima, è slittata ai prossimi mesi, mentre i dieci miliardi per il taglio del cuneo fiscale, pronti “su-bi-to”, richiedono invece più tempo per essere reperiti. Nebbia totale, invece, se si passa alla definizione delle poste di bilancio dalle quali i suddetti soldi dovrebbero arrivare. La stessa spending review appare come una nebulosa dalla quale non si capisce bene cosa ne verrà fuori. Insomma, lasensazione è che il “rottamatore” all’arrembaggio di qualche settimana fa, che avrebbe dovuto fare sfaceli non appena arrivato nella stanza dei bottoni, più che nel fare si stia specializzando nell’aspettare.
domenica, marzo 23, 2014
venerdì, marzo 21, 2014
martedì, marzo 18, 2014
NON DOBBIAMO "IMPRESSIONARE" LA MERKEL MA SALVARE LA NOSTRA ECONOMIA
di Giacomo Stucchi
L’ultima volta che la Cancelliera Angela Merkel restò “impressionata” dalle misure economiche di un nostro premier fu con Mario Monti e tutti sappiamo poi come è andata a finire. Il breve periodo che il Professore della Bocconi trascorse a Palazzo Chigi bastò, purtroppo, per lasciarci in eredità drammi sociali come quello degli esodati, frutto dell’improvvida riforma della legge Fornero, nonché un aggravio della pressione fiscale che si abbatté con inusitata determinazione sulla casa, bene primario di milioni di cittadini. Ebbene, tutto questo dovrebbe insegnare qualcosa all’attualepremier. Il pellegrinaggio a Berlino può forse servire a prendere del tempo ma non impedirà alla Germania di continuare ad imporre sui partner europei quella politica del rigore che li sta uccidendo. Per come sono messe le cose nel nostro Paese, soprattutto sul fronte occupazionale e della crescita, con gli ultimi dati Ocse a certificare il calo netto nel nostro Paese del reddito annuale della famiglia media di 2.400 euro tra il 2007 e il 2012 (perdita legata al ''deterioramento del mercato del lavoro, soprattutto per i giovani”), la soluzione ai problemi non consiste certo nell’utilizzo di quel poco di margine che abbiamo al di sotto del famigerato tetto del 3 per cento. L’obiettivo, molto più importante, deve essere quello di rimodulare gli accordi europei per il rientro del debito pubblico. Un impegno troppo stringente per un' economia come la nostra afflitta da sei anni di stagnazione, ma soprattutto da un sistema fiscale non più sopportabile da imprese e famiglie. Le stesse riforme del lavoro annunciate dal premier Renzi come strutturali, e non una tantum, faranno un buco nell’acqua se non supportate da coperture finanziare che non siano aleatorie. Come quelle annunciate con i tagli sul fronte della sicurezza, in particolare nella dotazione di uomini e mezzi alle forze dell’ordine, che prevedono anche la soppressione di importanti presidi di polizia sul territorio. Perché invece non si accelera nell’applicazione dei costi standard in tutti i Comuni, ma soprattutto nelle regioni a statuto speciale? Sono queste le riforme strutturali che andrebbero fatte e che darebbero, se applicate subito, quel gettito necessario a far respirare la nostra economia.
L’ultima volta che la Cancelliera Angela Merkel restò “impressionata” dalle misure economiche di un nostro premier fu con Mario Monti e tutti sappiamo poi come è andata a finire. Il breve periodo che il Professore della Bocconi trascorse a Palazzo Chigi bastò, purtroppo, per lasciarci in eredità drammi sociali come quello degli esodati, frutto dell’improvvida riforma della legge Fornero, nonché un aggravio della pressione fiscale che si abbatté con inusitata determinazione sulla casa, bene primario di milioni di cittadini. Ebbene, tutto questo dovrebbe insegnare qualcosa all’attualepremier. Il pellegrinaggio a Berlino può forse servire a prendere del tempo ma non impedirà alla Germania di continuare ad imporre sui partner europei quella politica del rigore che li sta uccidendo. Per come sono messe le cose nel nostro Paese, soprattutto sul fronte occupazionale e della crescita, con gli ultimi dati Ocse a certificare il calo netto nel nostro Paese del reddito annuale della famiglia media di 2.400 euro tra il 2007 e il 2012 (perdita legata al ''deterioramento del mercato del lavoro, soprattutto per i giovani”), la soluzione ai problemi non consiste certo nell’utilizzo di quel poco di margine che abbiamo al di sotto del famigerato tetto del 3 per cento. L’obiettivo, molto più importante, deve essere quello di rimodulare gli accordi europei per il rientro del debito pubblico. Un impegno troppo stringente per un' economia come la nostra afflitta da sei anni di stagnazione, ma soprattutto da un sistema fiscale non più sopportabile da imprese e famiglie. Le stesse riforme del lavoro annunciate dal premier Renzi come strutturali, e non una tantum, faranno un buco nell’acqua se non supportate da coperture finanziare che non siano aleatorie. Come quelle annunciate con i tagli sul fronte della sicurezza, in particolare nella dotazione di uomini e mezzi alle forze dell’ordine, che prevedono anche la soppressione di importanti presidi di polizia sul territorio. Perché invece non si accelera nell’applicazione dei costi standard in tutti i Comuni, ma soprattutto nelle regioni a statuto speciale? Sono queste le riforme strutturali che andrebbero fatte e che darebbero, se applicate subito, quel gettito necessario a far respirare la nostra economia.
sabato, marzo 15, 2014
giovedì, marzo 13, 2014
CON GLI ANNUNCI DI RENZI NON ANDIAMO DA NESSUNA PARTE
di Giacomo Stucchi
Mancavano solo gli effetti 3D e Dolby Surround per completare la spettacolarizzazione mediatica della conferenza stampa con la quale Matteo Renzi ha annunciato le misure economiche che il suo governo intenderebbe attuare nei prossimi mesi. Il condizionale è d’obbligo poiché di immediato non c’è proprio niente. Spenti i riflettori e le telecamere, di quanto detto dal presidente del Consiglio non rimane quasi nulla di concreto. Non è certo un caso, infatti, se fra gli strumenti legislativi per mettere in pratica quanto annunciato il giovane premier non abbia scelto subito per le sue riforme solo il decreto legge, ovvero l’unico mezzo per poter passare nell'immediato dalle parole ai fatti. Non è una circostanza di poco conto, come si è subito affrettato a sottolineare Renzi, perché dopo la sbornia di numeri e parole della conferenza stampa ciò che è sembrato probabile è che l’inquilino di Palazzo Chigi nella sua enfasi riformatrice, ricca di frasi ad effetto ma povera di contenuti, deve avere avuto un razionale invito alla prudenza. Forse dal titolare del Tesoro, oppure da ambienti del Quirinale, potrebbero essere arrivati espliciti inviti a non giocare con il fuoco. Non si spiegherebbe altrimenti come mai, ad eccezione di alcuni provvedimenti, sia stato scelto un percorso legislativo più lungo e probabilmente più incerto. Ma c’è di più. Premesso che al momento l’unica certezza è quella di una patrimoniale sulle rendite finanziarie, le probabilità che il presidente del Consiglio stia davvero procedendo senza bussola, scommettendo su andamenti finanziari congiunturali che nessuno ha gli strumenti per prevedere, sono altissime. In altre parole, le coperture finanziarie alla riforme annunciate dall’ex sindaco al momento non sembra che esistano, o ci sono in minima parte. Tutto si basa su previsioni, come quella che lo spread non aumenti di nuovo o che il commissario alla spendig review Cottarelli riesca nel miracolo di recuperare diversi miliardi dai tagli alla spesa pubblica. Troppo poco, davvero troppo poco per poter dormire sonni tranquilli. La sensazione netta è che si tratti dell’ennesima presa in giro della sinistra, e di un suo leader, a danno dei cittadini, che potrebbero ben presto vedere vanificate le loro speranze di un futuro migliore.
martedì, marzo 11, 2014
RENZI E LA POLITICA DELLO SPOT
di Giacomo Stucchi
Il dibattito alla Camera dei Deputati sulla nuova legge elettorale ha dimostrato, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il partito azionista di maggioranza del governo non ha per niente le idee chiare su dove portare il Paese. Quote rosa, voto di preferenza o quant’altro, sono solo foglie di fico utili a nascondere le profonde divisioni che allignano nel Pd e che non possono essere che foriere di guai. L’Italicum, al momento, non garantisce né governabilità, né rappresentatività. Si tratta solo di uno spot che serve a magnificare la presunta efficienza del giovane premier alla guida del governo. In realtà Renzi potrà pure esibire il trofeo della nuova legge elettorale agli occhi dell’opinione pubblica, peraltro sempre più perplessa per le modalità e le fumosità dell’azione di governo, ma di certo non avrà reso un buon servizio ai cittadini. Al Senato si riproporranno con maggiore vitalità le divisioni e le contraddizioni di un partito che non ha mai cessato di celebrare il suo congresso, facendone pagare gli altissimi costi, in termini politici, sociali ed economici, alle famiglie e alle imprese. Dopo lo spot sulla nuova legge elettorale (che al momento come unica conseguenza pratica avrà quella di determinare un sistema di voto alla Camera e un altro al Senato) sarà la volta delle misure economiche. Sino ad oggi su questo fronte il premier, ad eccezione di qualche applauso ad effetto nella trasmissione televisiva del compiacente Fabio Fazio, è riuscito nella straordinaria impresa di mettersi tutti contro: dalla Confindustria alla gran parte dei sindacati, da numerosi esponenti politici ad alcuni del suo stesso partito o facenti parte dell’ex governo Letta. In pillole, e stando a quanto annunciato sino a questo momento, il punto è che il governo Renzi dovrebbe tagliare 10 miliardi di euro di spese che andrebbero a compensare una riduzione di pari importo della pressione fiscale. Se questo avverrà sul fronte dell’Irpef o dell’Irap al momento non si sa, di certo però, nell’una o nell’altra ipotesi, ci sarà una coperta troppo corta che non permetterà di accontentare tutti. Ma poco importa perché, nel frattempo, l’ennesimo spot di Renzi avrà comunque avuto il suo effetto.
venerdì, marzo 07, 2014
DAL BICAMERALISMO PERFETTO AL SISTEMA DI VOTO IMPERFETTO
di
Giacomo Stucchi
Il dibattito a
Montecitorio sulla nuova legge
elettorale la dice lunga sull’aria che tira dalle parti dei
palazzi romani. La sensazione è che non si tratti, come probabilmente il
premier avrebbe voluto, di un passaggio epocale ma piuttosto dell’ultima
spiaggia di un partito, il Pd, consapevole di rischiare di chiudere bottega se,
dopo Bersani e Letta, dovesse fallire anche con Matteo Renzi. Del resto la
decisione di votare la nuova legge elettorale solo per la Camera,condizione
imposta all’ex sindaco da una parte del suo stesso partito per poter andare
avanti, non ha più nulla del patto originario con il Cavaliere e l’annunciata
stagione di riforme si è trasformata in un accordo al ribasso. Tutto questo
dimostra quanto siano fragili gli equilibri all’interno del Pd, ma soprattutto
quanto sia debole la leadership di Renzi. Una condizione, quest’ultima, che fa a
pugni con le ambiziose riforme economiche e sociali che il premier annuncia,
ormai quotidianamente, di voler fare ma che richiederebbero da parte del Pd
un appoggio parlamentare ben più convinto di quello che stiamo vedendo alla
Camera. La sicumera con la quale il capo del governo continua a ripetere che
la riforma del sistema del voto anche al Senato è secondaria, perché tanto nelle
sue intenzioni questo ramo del Parlamento andrà eliminato, appare poi fuori
luogo e rischiosa. Fuori luogo perché se è vero che le ragioni che stavano alla
basedel bicameralismo perfetto, per cui ogni legge deve essere approvata nel medesimo
testo da entrambi i rami del Parlamento
, sono ormai superate, non è altrettanto
scontato che la risposta migliore sia quella di eliminare tout court il Senato.
Rischiosa perché la valutazione che
accomuna la maggior parte dei deputati del Pd, così come dei loro alleati del
Nuovo Centrodestra, sul tema delle riforme non è sulla necessità di cancellare
l’assemblea di Palazzo Madama, ma sull’eliminazione della doppia approvazione e
appunto della navetta parlamentare. Ne consegue che ammesso che la
maggioranza approvi la nuova legge elettorale, il risultato sarà quello di avere
due diversi sistemi di voto: uno per la Camera dei Deputati, con l’Italicum, e
l’altro per il Senato, come modificato dalla sentenza della Consulta. Per
quanto tempo questa situazione si possa protrarre, in attesa che arrivi la
riforma anche del Senato, nessuno è in grado di prevederlo. Ma nel frattempo,
però, avremmo già fatto ridere il mondo intero.
martedì, marzo 04, 2014
IL CAOS RENZIANO
di Giacomo Stucchi
La politica del doppio binario del presidente del Consiglio, ovvero un’intesa con Forza Italia per fare la legge elettorale e un’alleanza con il Nuovo Centrodestra per governare, fa acqua da tutte le parti e rischia di far precipitare il Paese nel caos. Non solo perché ad essere in gioco ci sono gli interessi contrapposti di Berlusconi e Alfano, ma anche perché è lo stesso Pd, ovvero l’azionista di maggioranza dell’esecutivo, a non essere unito sulle scelte da fare. Tra rinvii e soluzioni pasticciate, al momento la nuova legge elettorale rimane ancora un cantiere aperto, così come molte altre questioni. Le famiglie e le imprese, nelle quali il giovane premier ha creato enormi aspettative con le sue promesse di riforme a ritmo mensile, aspettano intanto le misure a sostegno della ripresa economica, ma la loro attesa è destinata a rimanere tale. Renzi infatti, contraddicendo tutte le dichiarazioni ufficiali che lo hanno sempre visto a favore di una diminuzione della pressione fiscale, non ha tardato molto a scoprire le sue carte. Dopo Monti e Letta anche con lui a Palazzo Chigi rappresenta lo stato vessatore e centralista (come ha fatto con l’aumento dello 0,8 per mille sulla Tasi), che toglie al Nord che produce per elargire a chi spreca (come accaduto con l’approvazione dell’ennesimo decreto Salva-Roma), non ha tardato a materializzarsi. Peraltro l’ulteriore incremento della tassazione immobiliare, ancorché maggiormente concentrato sulla seconda casa e sui capannoni industriali, sembra una patrimoniale camuffata da pseudo riforma. Il fatto che l’ex sindaco abbia scelto di continuare sulla strada delle tasse è quindi sintomatico di cosa aspetta ai cittadini nell’immediato futuro. A quanto pare non va meglio sul fronte delle iniziative a favore dell’occupazione, o del Jobs Act, come ama definirlo il capo del governo, visto che anche in questo caso non solo si annuncia una dilazione nei tempi di approvazione dei provvedimenti ma addirittura uno sdoppiamento. Sembra infatti che la tanto pubblicizzata riduzione del cuneo fiscale arriverà, forse, in un secondo momento lasciando spazio prima ad altre misure che non necessitano di coperture finanziarie. Insomma, alla fine la rivoluzione renziana potrebbe consistere nell’approvare le solite norme rivolte a platee molto ristrette di lavoratori e per questo destinate ad incidere davvero poco sul dramma della disoccupazione.