Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

martedì, febbraio 27, 2007

UN DIBATTITO SURREALE

di Giacomo Stucchi

Chissà se avrà provato il ministro degli Esteri D’Alema a spiegare alla sua collega americana Rice che il Governo italiano è caduto perché sgambettato dalla sua stessa maggioranza, che parte del centrosinistra (del quale il vice premier è un autorevole esponente) non vuole mantenere gli impegni presi col maggiore alleato occidentale e che, dulcis in fundo, la politica estera dell’Italia (voto sull’Afghanistan compreso) è nelle mani dei senatori Turigliatto e Pallaro. Già, perché al punto in cui siamo non c’è dubbio che l’Esecutivo Prodi, ancorchè dovesse ottenere una rinnovata fiducia parlamentare, sarebbe in balia dei dissidenti, dei senatori a vita e (questa è la novità!) di uno o più transfughi del centrodestra. Ovvero, dalla padella alla brace. Ma perché ci troviamo in questa situazione? Il presidente della Repubblica Napolitano, nel solco della tradizione dei suoi predecessori, ha agito secondo la Costituzione ma anche in base alla consuetudine repubblicana, secondo la quale prima di passare la parola al popolo occorre esperire tutti i tentativi possibili per vedere se un Governo è sostenuto dalla propria maggioranza in Parlamento. Ora, al di là delle decisioni presidenziali, il punto è però un altro: che li facciamo a fare i dibattiti sulle riforme istituzionali, sul bipolarismo (al quale, è bene chiarire, non abbiamo mai guardato come la panacea per risolvere tutti i problemi, anzi), se poi nei momenti topici della vita politica, quando cioè occorre dimostrare che si è veramente chiuso col passato, ci si ritrova poi coi meccanismi di sempre? Non ce l’ho col comportamento di Napolitano che, dinanzi alla richiesta di elezioni anticipate proposte soltanto dalla Lega Nord non poteva comportarsi diversamente; semmai il problema di non incaricare Prodi avrebbe dovuto porselo all’indomani del 9 aprile. Mi domando, invece, se non sarebbe stato meglio che tutta la Casa delle Libertà avesse chiesto il voto nella sede e nel luogo opportuno. Invocare le elezioni anticipate nei salotti televisivi o nelle manifestazioni di partito, equivale a non parlarne. Se invece nel luogo istituzionale adatto, il Quirinale, e nel momento opportuno, le consultazioni ufficiali col capo dello Stato, tutta la Cdl avesse avuto la fermezza e la determinazione di chiedere la restituzione della parola al popolo, forse Napolitano avrebbe potuto cominciare a pensare seriamente alle elezioni anticipate già in questa primavera. Ma la politica non si fa coi se e coi ma. Si è preferito adottare i tatticismi di sempre con il risultato che adesso ci troviamo impantanati in un dibattito parlamentare surreale dove un premier, già sfiduciato dalla sua maggioranza, chiede alla stessa di rinnovargli la fiducia in nome di un presunto “rinnovato slancio”. La verità è che in cinquant’anni non è cambiato nulla e siamo ancora alle pagliacciate parlamentari della Prima Repubblica. Si dà addosso alla legge elettorale, causa di tutti i mali possibili. Non è certo la migliore e, di certo, si poteva fare di meglio quando si è deciso di cambiarla. Ma, sistema elettorale a parte, ciò che non cambia è la mentalità. Abbiamo detto degli alleati della Cdl. Di Follini, e del suo salto della quaglia, non voglio neppure parlare; se non per rimarcare come il suo annuncio di votare la fiducia a Prodi, la dice lunga sul perché nella scorsa legislatura i governi Berlusconi, con simili alleati che remavano contro e mettevano i bastoni tra le ruote, non abbiano potuto fare sino in fondo ciò che si erano prefissati. E tuttavia la transumanza politica dell’ex segretario Udc non è niente rispetto all’indecoroso spettacolo al quale hanno dato vita in questi giorni quelli dell’Unione. Mai si era arrivati ad un così vergognoso mercimonio del mandato parlamentare; si tratta della peggiore rappresentazione della politica degli ultimi decenni. Un mercato delle vacche del voto che è lo specchio della dirittura morale di Prodi e dei suoi ministri; i quali, pur di tornare in sella, non hanno esitato a fare la questua ai senatori per ottenerne la fiducia. Ecco perché, nonostante la presidente dell’Ulivo a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, si sforzi per ammantare di democrazia il dibattito in corso al Senato, l’opinione pubblica ha capito perfettamente che, se fiducia sarà, ci ritroveremo col più antidemocratico Governo degli ultimi decenni: che utilizza i voti dei voltagabbana per fare maggioranza, che se ne infischia dei problemi dei cittadini, che si arrampica sugli specchi pur di restare avvinghiato al potere che però, prima o poi (ne siamo certi), il popolo sovrano gli toglierà.
Tratto da LA PADANIA del 28 febbraio 2007

giovedì, febbraio 22, 2007

PRODI E L’EFFETTO DOMINO

di Giacomo Stucchi

E’ accaduto quello che era inevitabile accadesse. Già dallo scorso mese di aprile, risultati elettorali alla mano, avevamo pronosticato una rapida fine del Governo Prodi che, per quanto ci riguarda, avrebbe fatto meglio a non nascere neppure. Si è voluto procedere con la farsa di un esecutivo che si reggeva solo grazie ai voti dei senatori a vita e, prima o poi, la frittata doveva pure essere servita. Per cui non siamo sorpresi dalla caduta del Governo Prodi ma piuttosto dal fatto che sia potuto nascere, in primis, e che abbia potuto governare senza avere un effettiva maggioranza, poi. Abbiamo sempre detto in questi mesi, nei nostri interventi su la Padania, che l’Unione, presto o tardi, sarebbe caduta. E così è stato. Non sapevamo né quando né come ma non abbiamo mai avuto dubbi che la resa dei conti parlamentare sarebbe arrivata. Nel vedere in televisione le facce basite del ministro degli Esteri D’Alema, così come le altre dei suoi colleghi, da Mastella alla Turco (subito dopo l’annuncio del risultato del voto da parte del presidente del Senato Marini), abbiamo visto un film già noto: quello del 1998, quando Prodi per una manciata di voti venne sfiduciato dal Parlamento e fu costretto a passare la mano. E’ il destino di questa sinistra che non riesce mai a portare a termine il compito affidatogli dagli elettori. Per la verità nel 2006 questo mandato era già un po’ equivoco, nel senso che il risultato delle ultime Politiche non ha mai legittimato sino in fondo questo governo, anzi. Tuttavia siamo sempre dell’idea che in democrazia anche un voto in più fa la differenza e alla fine determina la maggioranza e la minoranza. E adesso? E’ ciò che ci chiediamo tutti da qualche ora. Perché è inutile essere ipocriti e non ammettere che se, da un lato, si sapeva che prima o poi la rabberciata maggioranza del Professore avrebbe mostrato tutti i suoi limiti, dall’altro lato, in pochi, forse nessuno, a cominciare dai diretti interessati, si pensava che questo sarebbe accaduto mercoledì pomeriggio e per giunta proprio sulla politica estera. E invece è successo tutto proprio come nel gioco del domino: prima la replica di D’Alema, che forse oggi, col senno del poi, difficilmente pronuncerebbe (per lo meno non in quei toni); poi le dichiarazioni dei dissidenti della sinistra radicale (con relativo annuncio di dimissioni di uno di essi); quindi l’astensione di Andreotti e di Pininfarina (due senatori a vita); infine la maggiorana che va sotto; il rientro a Roma di Napolitano, che si trovava a Bologna (dove peraltro Prodi avrebbe dovuto fare gli onori di casa); la salita del presidente del Consiglio al Quirinale per le dimissioni; l’inizio delle consultazioni. Si tratta di una sequenza che negli ultimi mesi abbiamo più volte sperato, immaginato, addirittura invocato. Ora tutto questo è accaduto davvero. Tutte le tessere del domino sono cadute, una dietro l’altra. Ma adesso bisogna andare avanti. Il rinvio di Prodi alle Camere è costituzionalmente corretto ma politicamente folle. Che senso avrebbe infatti continuare con un governo che non ha nulla da dire? Anche se l’esecutivo rimettesse insieme tutti i suoi pezzi, dai senatori a vita ai dissidenti della sinistra radicale (ed è possibile che li ritrovi, sia pur per un singolo voto di fiducia), il problema dell’ingovernabilità, dovuta alle divisioni interne all’ex maggioranza, si ripresenterebbe. Almeno una decina di volte, per limitarci solo alle prossime settimane, ancora sulla politica estera (con il voto sulla missione in Afghanistan) ma anche sui DICO, sulle pensioni e su molto altro ancora. Di nuove maggioranze, magari con stampelle centriste, non si può neppure parlare. A chi lo fa, ricordo che il sistema elettorale, con il quale abbiamo votato l’anno scorso, prevedeva il premio di maggioranza alla coalizione; quindi è del tutto evidente che un eventuale cambio di maggioranza, ancorché con un appoggio esterno, di fatto inficerebbe la volontà dei cittadini, il risultato elettorale e persino la rappresentanza parlamentare. Per cui, premesso che per il Carroccio sarà il segretario federale Umberto Bossi a indicare la via maestra, non resta altro da fare che andare a votare subito.
Tratto da LA PADANIA del 23 febbraio 2007

martedì, febbraio 20, 2007

L’Unione come Dr Jekyll e Mister Hyde

di Giacomo Stucchi


Se per Rifondazione Comunista a Vicenza ha sfilato il popolo della pace contro il Governo che vuole la guerra, quelli dei Ds hanno poi corretto il tiro sostenendo che tutta la sinistra condivide la politica estera dell’esecutivo ma su alcun questioni, vedi Iraq e Afghanistan, le posizioni sono diverse. I comunisti italiani, dal canto loro, hanno detto che la manifestazione era contro la base Usa in Italia tout court (ovvero da qualsiasi parte essa fosse prevista); ma i Verdi, che non potevano perdere l’occasione per dire la loro, hanno invece precisato che si tratta solo di un problema urbanistico locale che rende l’ubicazione della nuova base incompatibile con il territorio vicentino. Infine, dulcis in fundo, Mastella ha detto che se sulla politica estera l’Unione non ha i numeri per andare avanti il Governo inevitabilmente cadrà. Insomma, come era ampiamente prevedibile, la manifestazione contro gli americani, voluta, pensata e organizzata da una parte della sinistra di governo, è diventata una coperta troppo corta che viene stiracchiata da tutte le parti in causa. Che non sono poche, anzi. Ognuna di esse rivendica una ragione specifica in nome, s’intende, del bene dei vicentini. A Vicenza non ero presente ma pare che, a parte qualche eccezione, di vicentini alla manifestazione ce ne fossero veramente pochi. Segno che, forse, non sono poi così avversi questi cittadini alla convivenza, per modo di dire (considerato che comunque gli americani vivono sempre all’interno delle loro basi e interagiscono raramente coi territori circostanti), coi soldati a stelle e strisce. Tanto è vero che il cosiddetto popolo della pace, che poi è sempre lo stesso che da Milano a Roma, da Torino a Napoli, si sposta a seconda delle necessità, era guidato dai soliti noti pacifisti a tempo pieno: dal deputato Caruso al leader dei no global Casarin. I quali, già durante il corteo, non hanno voluto perdere l’occasione per ricordare a Prodi che lui è stato eletto anche grazie ai voti dei pacifisti e che adesso non può far finta di niente se questo popolo è sceso in piazza per protestare contro gli americani. Bene, diciamo noi, è giusto che si ascoltino le richieste dei cittadini che democraticamente e pacificamente protestano contro il Governo in carica. Per cui se devono essere ascoltati i centomila di Vicenza (dando per buone le stime degli organizzatori), che non vogliono altre truppe yankee in Italia, a maggior ragione è giusto ascoltare la richiesta di un milione di uomini e donne, secondo stime più che attendibili, che invece hanno sfilato a piazza San Giovanni a Roma, lo scorso mese di dicembre, che non vogliono più essere governati da Romano Prodi. Si tratta, in entrambi i casi, di richieste legittime e democratiche che un governo serio, e con a cuore i problemi della gente, non può non prendere in considerazione. Ma il fatto è che questi dell’Unione sono come Dottor Jekyll e Mister Hyde, perché di giorno scendono in piazza nei cortei pacifisti e di notte inciuciano e tramano nei palazzi del potere, che peraltro si guardano bene dall’abbandonare. Della politica estera, e degli impegni assunti dall’Italia in campo internazionale, così come delle tasche dei cittadini, al tempo in cui vararono la finanziaria “lacrime e sangue”, non gliene importa proprio nulla. Ecco perché, ma siamo sempre ben disposti a ricrederci, non ci aspettiamo che il Governo cada né a seguito del dibattito al Senato né sulla missione in Afghanistan. Sono troppo ben piazzati i leader dell’Unione per buttare a mare tutte le poltrone e strapuntini istituzionali conquistati negli ultimi tempi. Del resto ci vuole poco ad accontentare il popolo della sinistra: qualche manifestazione pacifista qua e là, un po’ di cagnara in Parlamento, la suspance al Senato (dove ogni tanto qualche esponente della sinistra radicale fa finta di abbaiare ma poi torna manso più di prima), un pizzico di ostruzionismo in Consiglio dei Ministri e il gioco è fatto. Il giorno dopo si ricomincia: l’importante è tirare a campare e non mollare mai la poltrona.
Tratto da LA PADANIA del 21 febbraio 2007

mercoledì, febbraio 14, 2007

BASE NATO, BASTA CON LE AMBIGUITA’

di Giacomo Stucchi

I tardivi annunci di esponenti del governo e rappresentanti della maggioranza di non partecipare alla manifestazione contro la nuova base Nato a Vicenza, promossa dalla sinistra radicale e indetta per sabato prossimo, sono positivi ma non sufficienti a tranquillizzare quanti hanno a cuore le sorti della democrazia e della pacifica convivenza. Gli arresti di gruppi terroristici, in procinto di attentare alla vita di uomini politici e giornalisti, avrebbero infatti richiesto ben altra reazione da parte di tutte le forze politiche di governo. Non occorre di certo consultare la Sibilla cumana per intuire che il semplice annuncio nei giorni scorsi della presenza alla dimostrazione di esponenti del governo e della coalizione, ha già legittimato oltre ogni misura quei gruppi di estrema sinistra la cui contiguità con il mondo dell’eversione terroristica non si può escludere. Del resto, basta consultare un qualsiasi sito internet, dei tanti presenti sulla rete, ispirato ai progetti no global, per capire che tipo di tam tam (pericolosamente antidemocratico) sia già da giorni in atto in certi ambienti della sinistra, a proposito della manifestazione nella città veneta. Un presidente del Consiglio e un governo che si rispettino, dopo essersi giustamente complimentati con magistrati e forze dell’ordine per aver sventato clamorosi attentati terroristici ad opera dei nuovi gruppi facenti capo alle Brigate Rosse, non possono poi fare finta di niente dinanzi alla circostanza che delegazioni di partito dell’Unione sfilino a braccetto coi no global per le strade di Vicenza. Qui non si tratta di politica, tanto meno di ideologia, c’è solo da avere buon senso. Il fatto che l’esecutivo Prodi da dieci mesi a questa parte continui a propinarci ogni nefandezza possibile (dall’accaparramento di tutte le poltrone istituzionali alle menzogne sullo stato dei conti pubblici ereditato dal governo Berlusconi; dalla folle e ingiustificata politica vessatoria nei confronti di cittadini e imprese alla mortificazione del ruolo del Senato, che non si riunisce quasi più per la paura costante del governo di andare in minoranza) non significa che anche in questa occasione Palazzo Chigi possa far finta di niente. Se è vero, come è vero, che nessuno in Italia oggi può permettersi di abbassare la guardia contro il fenomeno del terrorismo, allora il presidente del Consiglio ha l’obbligo morale, oltre che il dovere istituzionale, di ammonire i suoi alleati dal porre in essere comportamenti e atti che potrebbero anche minimante inficiare la dichiarata volontà del governo di voler combattere il terrorismo. In altre parole, se Prodi vuole essere preso sul serio, almeno nella lotta all’eversione armata, visto che sul fronte dell’efficacia dell’azione di governo è meglio stendere un velo pietoso, deve fugare ogni minimo dubbio e prendere le distanze pubblicamente da ogni tipo di adesione o partecipazione al corteo organizzato dai no global contro i nostri alleati occidentali. Se così non fosse il Professore non avrebbe davvero nessuna legittimazione democratica a rimanere ancora a capo del governo. Quindi, almeno per una volta, il presidente del Consiglio sia coraggioso, intimi alla sua riottosa maggioranza di comportarsi come tale e si ispiri ai suoi partner europei, non soltanto a parole ma coi fatti. In Germania l’ex cancelliere, Gerhard Schröder, ha perso le elezioni politiche per non aver voluto scendere a patti proprio con quella sinistra massimalista che magari gli avrebbe dato la Cancelleria ma non la possibilità di governare. Proprio come sta accadendo in Italia, dove l’accordo con Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani, ha portato l’Unione nella “stanza dei bottoni” ma non gli consente libertà di manovra relegandola nel limbo dell’immobilità politica ed istituzionale. Sino ad oggi non c’è un solo provvedimento governativo che non sia stato fortemente condizionato dalla sinistra radicale e non può essere considerata semplice casualità il fatto che Prodi ha adottato solo misure conflittuali ispirate alla lotta di classe. Altro che riformismo, questo si chiama comunismo. Ecco perché per il Governo condannare senza mezzi termini, e giri di parole, la manifestazione di Vicenza, diventa più un dovere che una necessità.
Tratto da LA PADANIA del 15 febbraio 2007

GOVERNO VIRTUALE ADDIO, APRE L’ASSISE DI VICENZA

di Giacomo Stucchi

Lieti e lusingati che il nostro intervento “Il vero rivoluzionario si chiama Umberto Bossi”, ancorché interpretato come un “ossimoro adulatorio”, sia stato notato da il Riformista: un giornale che ha già nel nome l’oggetto del contendere. Perché il punto è proprio questo: per fare le riforme bisogna essere rivoluzionari e chi, se non Umberto Bossi, negli ultimi anni ha dimostrato di esserlo più di tutti gli altri? Il parlamento del Nord, nelle sue diverse esperienze storiche, è solo un mezzo per raggiungere l’immutato obiettivo del federalismo. Ora, io non so quando questo accadrà ma è un fatto che oggi nel Nord l’anelito di autonomismo è più forte di prima e quindi l’idea di Bossi, rivoluzione-federalismo, è quanto mai valida. In questa commedia dell’assurdo, che è però diventata la politica italiana, a fronte di tutto questo il rimedio di Prodi è quello del governo virtuale. Ogni giorno ascoltiamo le tesi più strane, vediamo uomini della maggioranza esprimersi in senso opposto ad altri uomini della stessa maggioranza, assistiamo allo sforzo del presidente del Consiglio, e dei suoi ministri, per collegare fra di loro entità eterogenee e contraddizioni macroscopiche. Assistiamo così ad uno spettacolo che forse è pregevole dal punto di vista del funambolismo politico, ma non certo dal punto di vista della serietà legislativa. Che continua ad essere menata per l’aia parlamentare, ormai da dieci mesi, senza che nulla di buono venga condotto in porto. Ci stanno però coprendo di ridicolo davanti ai maggiori alleati occidentali, ai quali peraltro se da un lato è pur vero che non dobbiamo prostrarci, dall’altro è anche giusto che gli si parli chiaro una volta per tutte. Delle due l’una: o siamo alleati degli Stati Uniti o non lo siamo. Ma non si può fare il tira e molla, su Afghanistan e Iraq, in base agli umori di Pecoraro Scanio e Diliberto. E invece, siccome Verdi, Rifondazione comunista e Comunisti italiani devono protestare contro la base Usa a Vicenza (per dimostrare al loro elettorato che l’eskimo non lo hanno ancora messo in naftalina) bisogna dare un colpo al cerchio (l’alleanza atlantica) e un altro alla botte (la coalizione di Governo). Ma come, e la risposta agli ambasciatori che adottano procedure ‘irrituali’? Quella può aspettare. Nel frattempo, per uscire dall’impasse dei Pacs che si fa? Si approva il disegno di legge sui Dico. Un provvedimento il cui nome (forse in ossequio al nuovo linguaggio da sms molto in voga tra i giovani) è già tutto un programma e che rappresenta un machiavellico tentativo di Prodi per eludere la questione dei matrimoni tra gay e impegnare il Parlamento nei prossimi sei mesi in sterili discussioni che non porteranno a nulla. E che dire poi dello sciagurato aumento delle tasse, proprio quando era in atto una tiepida congiuntura favorevole, che ha tolto dalle tasche di cittadini e delle imprese oltre un terzo del loro reddito. E la sicurezza degli stadi? Anche qui decisioni quanto meno tardive. Esiste da tempo un provvedimento, adottato dal precedente governo Berlusconi, derogando al quale l’attuale ministro dell’Interno Amato ha fatto regolarmente aprire al pubblico tutti gli stadi d’Italia. Ma soltanto dopo i tragici fatti di Catania, che hanno suscitato nell’opinione pubblica e nel mondo del calcio una forte emozione (finita la quale però alle società di calcio, che premono per una riapertura totale degli impianti, ha cominciato a palpitare di più quella parte del cuore più vicina al portafoglio) si prova a fare sul serio. Vogliamo allora parlare dell’ultima lenzuolata di Bersani, che questa volta, tra l’altro, ha preso di mira i benzinai? Come al solito il ministro ha dichiarato di non avercela con la categoria ma di voler la liberalizzazione del settore solo per il bene dei cittadini. Ma allora, si sarà pure chiesto l’autorevole esponente dell’Unione, come mai sino ad oggi di tutte le liberalizzazioni adottate non ce ne una che abbia portato concreti e reali vantaggi al popolo mentre, di contro, ha creato solo problemi alle categorie interessate? Secondo alcuni sondaggi, nel Nord due cittadini su tre vorrebbero che Prodi e compagni rassegnassero le dimissioni. Non hanno uno straccio di programma condiviso né alcuna determinazione per assemblarlo. Non hanno più dalla loro, e forse mai l’hanno avuta, né l’approvazione del popolo né i numeri del Parlamento. E per questo, anche con l’apporto del parlamento del Nord di Vicenza, saranno mandati a casa molto presto.
Tratto da LA PADANIA del 10.02.2007

SOLO BOSSI VERO RIVOLUZIONARIO

di Giacomo Stucchi

Per poter fare le riforme, quelle vere, bisogna essere dei rivoluzionari; come lo è il nostro segretario federale Umberto Bossi. Ora, in vista dell’apertura del parlamento del Nord a Vicenza, a chi si pone il problema se restare o meno nella Cdl vorrei chiedere quanti altri uomini disposti a battersi per le riforme, oltre a Bossi, vedete in giro? Cominciamo dal fronte governativo. Anche questa settimana Prodi ci propina lo strazio dell’ennesima inutile verifica. Assistiamo così ad un altro vertice che, come al solito, aggiunge confusione al caos esistente e produce nuove spaccature all’interno della maggioranza di centrosinistra; tanto che non si capisce proprio perché ministri, sottosegretari e segretari di partito dell’Unione, continuino a riunirsi. Il rimedio infatti è peggiore del male. Dal canto suo il Professore si sforza di limitare i danni, cercando di volta in volta di circoscrivere gli argomenti da porre all’ordine del giorno delle riunioni, ma il suo è però un tentativo inutile perché tra i riformisti e la sinistra radicale il pomo della discordia non è rappresentato solo dalla politica estera, o da singole questioni, ma dall’intera agenda degli interventi del Governo. Né servono alla bisogna le dichiarazioni di Pecoraro Scanio o di Franco Rizzo, quando dicono, solo per citare un esempio, che “l’allargamento della base americana in Italia non rientrava nel programma di governo” e quindi non andava approvato. Anche un bambino intuisce che un accordo elettorale, per quanto esteso, come lo è stato quello tra i partiti dell’Unione, non può contenere tutte le decisioni, molte delle quali non prevedibili, che qualsiasi Governo si trova a prendere nell’arco di una legislatura. Nell’azione dell’esecutivo infatti c’è sempre qualcosa di imprevisto ed è allora che una coalizione vera fa quadrato intorno al suo leader e lo coadiuva, lo sostiene. Il fatto è che questi del centrosinistra, dopo solo dieci mesi al governo, hanno davvero perso la bussola. Anzi, è ormai evidente a tutti che non hanno mai avuto una rotta e che hanno mirato solo alla conquista delle poltrone istituzionali dalle quali adesso non intendono schiodarsi. Al di là di questo obiettivo, nel quale comunisti e neocentristi hanno dimostrato di essere come il lupo, e cioè di perdere il pelo ma non il vizio dell’attaccamento al potere, non c’è nient’altro. Tanto meno il federalismo. Ecco perché il Carroccio ha fatto bene a presentare l’ordine del giorno al Senato, sul quale è scivolata la maggioranza. Bisogna continuare su questa strada per rendere evidente al capo dello Stato, ma soprattutto al popolo, che non esiste altra possibilità se non quella di mandare a casa Prodi e i suoi accoliti. Sul fronte degli alleati, sono invece senz’altro positive le dichiarazioni di Berlusconi circa la sua indisponibilità a un governo tecnico, nel caso in cui Prodi dovesse scivolare a breve; ma anche di apertura alla Lega Nord per fare insieme una legge elettorale che non penalizzi nessun partito. Tuttavia sappiamo che nella Cdl c’è chi, segnatamente l’Udc di Casini, da un lato continua a stare nel centrodestra quando si tratta di fare gli accordi elettorali per la prossima tornata di elezioni amministrative e dall’altro lato si tiene le mani libere per un eventuale appoggio, organico o esterno poco importa, ai centristi dell’Unione. Magari per fare un nuovo Governo che tiri a campare per chissà quanto altro tempo ancora. In questo modo l’Udc a parole si dichiara tra i più fervidi sostenitori del matrimonio, nei fatti della politica è invece per la bigamia. A casa mia l’atteggiamento assunto dall’ex presidente della Camera si chiama opportunismo, e per giunta di quello tra i più sfacciati. I recenti sondaggi dicono che, se si votasse domani mattina, la Cdl, a quanto pare anche senza l’Udc, vincerebbe le elezioni. E’ vero che ormai abbiamo imparato a prendere queste previsioni con tutte le cautele possibili ma il fatto che istituti e osservatori politici, tradizionalmente vicini al centrosinistra, siano della stessa opinione ci fa essere molto ottimisti. Tuttavia siamo certi che, proprio perché le previsioni non sono favorevoli all’Unione, Fassino, Rutelli e quelli della sinistra radicale ingoieranno tutti i rospi che serviranno ad evitare il ricorso alle urne, anche perché una volta capitolati Palazzo Chigi lo vedrebbero solo col binocolo. Ed è anche per questo che nessuno nella Cdl dovrebbe prestarsi al loro gioco, aiutandoli a rinviare sine die il giorno della resa dei conti elettorale.

Tratto da LA PADANIA del 7.02.2007