Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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mercoledì, ottobre 03, 2007

Una manovra truffaldina

di Giacomo Stucchi

Il Presidente del Consiglio e alcuni esponenti del governo, in primis quello per lo Sviluppo Economico Bersani, dichiarano in tutte le occasioni possibili che la riunione del Consiglio dei ministri durante la quale è stata approvata la legge finanziaria, si è svolta in modo “tranquillo come poche altre”. Non è difficile capire perché Prodi e compagni si sforzano di cloroformizzare la tensione che invece esiste nei Palazzi romani: si tenta in tutti i modi di sdrammatizzare una situazione pericolosa che si sta avvitando su stessa e che potrebbe avere gravissime conseguenze sul piano sociale, economico e istituzionale. Non si tratta di fare del catastrofismo a buon mercato ma di dire le cose come stanno. Sui contenuti della manovra, che il Governo si accinge a portare in Parlamento, la Padania ha cominciato a pubblicare una serie di approfondimenti tecnici che dimostrano sostanzialmente tre cose: a) con questo provvedimento il Governo incrementa la spesa pubblica, dimostrando non solo di non saperla tenere sotto controllo ma anche di non essere in grado di razionalizzarla; b) stiracchiando di qua e di là il famoso “tesoretto” che, secondo gli squilli di tromba governativi degli ultimi mesi, avrebbe dovuto essere ridistribuito ai cittadini sotto forma di sgravi, finisce in realtà col porre in essere una riduzione della pressione fiscale soltanto fittizia. Lo sgravio sull’Ici fino a duecento euro, tanto per fare esempio, che rappresenta una misura di certo condivisibile ancorché insufficiente, sarà vanificato dall’aumento della tassazione ai proprietari di immobili in virtù della prevista revisione degli estimi catastali, la cui competenza peraltro si dice dovrebbe passare ai Comuni ma con modalità ancora del tutto nebulose; c) infine, nel più classico stile dell’azione dei governi di centrosinistra, tutte improntate a rafforzare sempre più il centralismo romano, questa finanziaria (con le misure in dettaglio in essa contenute) vanifica la potestà legislativa delle Regioni e anzi la mortifica, in barba alla riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001 dal Governo Amato, e riporta lo Stato al ruolo di artefice principale della politica fiscale e tributaria dei singoli territori. Altro che federalismo, con queste misure fiscali si torna indietro almeno di un decennio e si impedisce, per i prossimi anni, di realizzare concretamente quel decentramento amministrativo con il quale, solo a parole, il Governo si riempie la bocca. Insomma, quando il nostro segretario federale Umberto Bossi, denuncia che in questo momento è a rischio la democrazia perché non si possono più fare le riforme, così come il popolo desidera, non racconta nulla di inventato. Ma c’è di più. Il Governo, infatti, con l’accordo sul welfare, attualmente al vaglio dei lavoratori con le assemblee nelle fabbriche, ha preso un impegno con le parti sociali la cui importanza, sia per la natura delle misure adottate (prime fra tutte quelle sulla previdenza), sia per l’entità dei costi (parecchi miliardi di euro nei prossimi anni), lega indissolubilmente il suo stesso destino all’approvazione del protocollo da parte dei lavoratori almeno quanto a quella della Finanziaria in Parlamento. In altre parole, in questo momento a preoccupare Prodi e i suoi ministri non è solo il dibattito parlamentare sulla manovra economica, nel quale prevedibilmente si vedranno la sinistra radicale e quella riformista recitare il gioco delle parti (più “vicina” alle istanze dei lavoratori la prima, più “attenta” alle riforme la seconda) e che alla fine potrebbe anche concludersi con un voto di fiducia (che darebbe davvero un colpo di grazia alla democrazia), ma anche l’esito del referendum sul welfare nelle fabbriche. Sul risultato delle consultazioni Palazzo Chigi ostenta ottimismo, forse rassicurato dall’azione di convincimento “a tutto spiano” sui lavoratori messa in atto della triplice sindacale; ma tutto ciò non toglie però che, qualora fossero sconfessati i punti alla base dell’accordo tra Governo e sindacati, il rischio di un corto circuito dell’intero sistema diventerebbe molto concreto.