TORNA L'APOCALISSE
di Giacomo Stucchi
Il veemente intervento del premier nel fortino della Leopolda denota più
debolezza che forza. Renzi è in grosse difficoltà, dentro e fuori il suo stesso
partito. Dentro il Pd, perché ha da tempo capito che una sconfitta del Sì al
referendum sarebbe solo l’inizio della fase discendente della sua parabola
politica; fuori dal Pd, perché le sue parole convincono sempre meno un’opinione
pubblica molto perplessa sulle riforme ma anche sulla politica del governo in
generale. Le dichiarazioni del presidente della Commissione Ue Juncker, del
resto, la dicono lunga su quanta "fiducia" e "considerazione" il premier e il
suo governo godono perfino a Bruxelles. La sensazione è che, a meno di un mese
dal voto referendario, il presidente del Consiglio stia vivendo questi giorni
con profonda frustrazione. Constatare di aver sin qui fallito tutti i
tentativi per risalire la china, dalla manovra economica elettorale agli effetti
speciali regalatigli da Obama nella sua visita a Washington, dall’estenuante
presenza in tutte le trasmissioni televisive alle mille promesse fatte in ogni
dove, deve riuscirgli davvero difficile. Persino lo scontro generazionale
alimentato ad arte, secondo la narrazione renziana che vedrebbe il “nuovo” dalla
parte delle riforme e il “vecchio” contro, è smentito dai fatti. In primo luogo
perché ad essere contro queste riforme pasticciate sono proprio i giovani, in
secondo luogo perchè tutti hanno capito che il discrimine non è tra il
cambiamento e lo status quo ma tra il buon senso e l’insensatezza. Inoltre è
ormai evidente che se vince il Sì l'Italicum resterà così com'è, con tutte le
sue pericolose conseguenze in virtù del combinato disposto con la riforma
costituzionale. E allora ecco che la rinnovata minaccia del diluvio universale,
in caso di sconfitta dei Sì, torna ad essere la bussola politica del premier nel
disperato tentativo di invertire il trend dei sondaggi che vede consolidare il
vantaggio del No. Renzi obtorto collo si era sforzato di non personalizzare la
campagna referendaria ma non ha convinto nessuno e quindi, da qui al 4
dicembre, è verosimile che i toni apocalittici possano anche aumentare. Nel
frattempo però a rimetterci sarà il Paese, costretto a vivere un altro mese di
“sospensione” durante il quale non sarà presa nessuna decisione che conta.
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