COME IL REFERENDUM PUO' AFFOSSARE RENZI
di Giacomo Stucchi
Da sempre Renzi sostiene che la riforma costituzionale è la panacea di tutti
i mali del Paese; e per questo motivo più la vittoria del Sì al referendum si
allontana nei sondaggi più il premier sente scivolare il terreno del consenso da
sotto i piedi. E' possibile perciò che la fase costituente, tanto decantata da
Palazzo Chigi e già cominciata male, finisca nel peggiore die modi. Cominciata
male perché non è mai esistito da parte del governo un riconoscimento del ruolo
costituente al Parlamento. Anzi, pur di approvare le riforme con la forza dei
numeri, l'esecutivo non ha esitato a farsi sostenere da una maggioranza
raccogliticcia, tenuta insieme solo dal comune intento di occupare quanto più a
lungo possibile le poltrone. Nel peggiore dei modi perchè, nonostante il
diuturno impegno del premier a caccia di voti e di consensi a favore del Sì,
nonostante una manovra economica tutta improntata alla ricerca del consenso
elettorale, nonostante le reiterate promesse a questa e a quell'altra categoria
sociale, tutti questi sforzi non sembrano sortire gli effetti sperati. Sicché
oggi, con la scusa delle difficoltà connesse al terremoto, che pure esistono ma
che non hanno niente a che fare con il regolare svolgimento della consultazione
referendaria, al governo Renzi non resta altro che appigliarsi a un rinvio della
consultazione referendaria pur di non affogare. Ufficialmente il presidente del
Consiglio ha smentito di volere posticipare il referendum, ma è una dato di
fatto che con il concretizzarsi della vittoria del No la strada dell’esecutivo
si fa sempre più stretta e tortuosa. Terremoto e referendum, peraltro, non sono
di certo gli unici elementi di scenari molto complessi che potrebbero
riguardare, direttamente o indirettamente, il nostro Paese nell'immediato
futuro. Dalle turbolenze mai sopite dei mercati finanziari al futuro dell'Unione
europea, da ridisegnare anche alla luce degli effetti della Brexit, ce n’è
abbastanza per augurarsi di avere un governo forte e capace alla guida del
Paese. Ma l’impressione è che quello in carica non sia né l’uno né
l’altro.
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