ALTRO CHE TRUMPISMO, QUELLO DI RENZI RIMANE IL GOVERNO DELLO "ZERO VIRGOLA"
Con un debito pubblico fuori controllo e un tasso di disoccupazione
drammatico ci vuole proprio una faccia tosta fuori dal comune per considerarsi
soddisfatti della misera crescita del Pil registrata dall’Istat. Dopo aver
alimentato una campagna elettorale referendaria divisiva, faziosa e
istituzionalmente scorretta (a cominciare dall’uso spregiudicato della
televisione pubblica), adesso Renzi si aggrappa disperatamente allo “zero
virgola” per convincere i cittadini della bontà della sua azione di governo. Ma
i fatti, non solo i numeri, sono sotto gli occhi di tutti e descrivono un Paese
che non riesce a uscire dalla crisi economica e che rimane imbrigliato da
problemi che il governo, dopo quasi tre anni di permanenza a Palazzo Chigi, non
è stato in grado di risolvere. Altro che trumpismo! Il goffo tentativo di certi
apologeti di regime, che mirano a far salire il renzismo sul carro del
vincitore, appare ridicolo. Magari Renzi avesse avuto un decimo della coerenza
di Trump. Chi pensava che il neo Presidente degli Stati Uniti si sarebbe
rimangiato i suoi impegni, o avrebbe edulcorato alcune sue posizioni espresse
durante la campagna elettorale, si è infatti sbagliato di grosso. Nelle sue
prime interviste, infatti, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha ribadito
molti punti del suo programma, come il rafforzamento del muro al confine con il
Messico (che peraltro non è una sua invenzione ma esiste già da tempo) e
l’espulsione degli immigrati illegali. Tutto il contrario, insomma, del nostro
premier che rimane un campione degli stravolgimenti di fronte. Le sue giravolte
politiche hanno infatti scandito la sua ascesa al governo e, purtroppo, anche la
sua permanenza. Basti pensare che solo qualche mese fa il presidente del
Consiglio, all’apice dello scontro politico sul referendum, annunciava un ritiro
a vita privata in caso di vittoria del No al referendum; salvo poi rimangiarsi
tutto quando i sondaggi cominciavano a prospettargli una possibile sconfitta del
Sì. Ma non è finita, perché dopo qualche giorno l'inquilino di Palazzo Chigi
ha pensato che una spersonalizzazione dello scontro politico, da lui stesso
creato nel disperato e vano tentativo di risalire in sondaggi, potesse tornargli
utile. Constatato però l’ennesimo insuccesso, il premier è quindi tornato alle
origini con una riacutizzazione del confronto.
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