LE SPREGIUDICATE MOSSE DI RENZI
di Giacomo Stucchi
Nonostante la buona volontà della Lega Nord a ritirare alcuni emendamenti al
ddl Boschi, per agevolare il dialogo sulle riforme costituzionali, governo e
maggioranza vanno avanti per la loro strada rifiutando ogni ragionevole proposta
di confronto. Questa riforma è fatta male e le conseguenze che ne deriveranno
sul nostro sistema parlamentare e legislativo, se mai dovesse entrare in
vigore, saranno disastrose. Ormai è chiaro a tutti che la maggioranza, con
l’appoggio degli scissionisti di Forza Italia guidati da Verdini, intende
approvarsi da sola la riforma costituzionale a proprio uso e consumo. Difficile
però immaginare che tale supporto sia un atto di volontariato e non invece un
accordo politico vero e proprio con il presidente del Consiglio. Il fine
giustifica i mezzi, ma a che prezzo? La stessa domanda sembra se la siano posti
i parlamentari della minoranza dem che, proprio quando pensavano di aver
raggiunto l’accordo con il premier e di essere determinanti per la sopravvivenza
del suo governo, scoprono invece che non è più così. Un trattamento, quello
riservato da Renzi all’opposizione del suo partito, che assomiglia molto a quel
“stai sereno Enrico” che fu il preludio dell’ascesa a Palazzo Chigi. Ma
l’aiuto di Verdini al Senato di certo non basta al premier per risalire la
china. Dalle amministrative di primavera in poi, infatti, i sondaggi lo hanno
sempre visto in discesa e ben lontano dalle percentuali delle elezioni europee
dello scorso anno. Si spiegano così, perciò, gli ultimi annunci in tv sul taglio
dell’Ires e sulla diminuzione del canone Rai. Ma i proclami del premier di
solito hanno delle conseguenze non proprio favorevoli per tutti i cittadini.
Come quella del bonus degli ottanta euro in busta paga a una platea di
contribuenti, che ebbe come effetto il taglio alle risorse degli enti locali con
l’inevitabile innalzamento da parte dei Comuni delle tasse locali. Sul canone
Rai è ancora peggio. Perchè inserirne il pagamento nella bolletta della luce,
sempre ammesso che ciò sia tecnicamente e giuridicamente possibile, secondo le
prime proiezioni significherebbe raddoppiare le entrate della tv pubblica.
Potrebbe spiegarsi così, allora, la fretta del premier nel rinnovare i vertici
aziendali lo scorso agosto: altro che autonomia e pluralismi, con dirigenti da
lui nominati e una pioggia di denaro pubblico a loro disposizione è facile
immaginare le conseguenze.
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