UN BRUTTO GIORNO PER LA DEMOCRAZIA
di Giacomo Stucchi
Oggi non è un bel giorno per la democrazia. In primis perché è stato impedito
al popolo di esprimersi liberamente sul referendum promosso dalla Lega Nord
relativo alla riforma delle legge Fornero; e poi perché è davvero difficile
credere, come tiene a precisare il ministro Boschi, che la scelta del Presidente
della Repubblica sia “del tutto estranea alla questione della legge elettorale”.
L’impressione, invece, è che in entrambi i casi la democrazia ne esca con le
ossa rotte. A dodici mesi dalla nascita del patto del Nazareno, da
quell’accordo cioè tra il premier Renzi e Berlusconi che avrebbe dovuto avviare
una spedita e decisa stagione riformatrice, il Paese è impantanato nelle secche
da una politica di governo inconcludente. Con l’aggravante, rispetto a un anno
fa, che allo stallo sulle riforme oggi si aggiunge una situazione economica
molto più grave (coi consumi fermi e la disoccupazione alle stelle) e lo
scoglio, appunto, dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica
determinato dalle dimissione di Giorgio Napolitano. Uno scenario complicato che
il Pd ha la responsabilità di avere reso, se possibile, ancora più difficile.
Negli ultimi due anni infatti il partito che vanta una schiacciante maggioranza
in Parlamento, nonostante il risibile vantaggio in termini di voti e in
percentuale avuto alle Politiche del 2013, non ha mai smesso di celebrare il
suo congresso. La minoranza dem ha così presentato
il conto all’ex sindaco di Firenze abbandonando l’assemblea del gruppo al
Senato: un modo per prendere le distanze dall’Italicum, certo, ma anche per
sconfessare un governo che non ha mai digerito. Si va concretizzando, quindi, lo
scenario da noi paventato negli ultimi mesi; e cioè un’azione di governo, coi
suoi alleati più o meno ufficiali, che cincischia su premi, capilista, soglie
di sbarramento e quant’altro, con l’unico intento di rimanere il più a lungo
possibile nel palazzo.
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