UN RITORNO PER NIENTE RASSICURANTE
Alcuni hanno messo in comune Matteo
Renzi con Emmanuel Macron, ma
il raffronto è davvero improprio. In primo luogo perché quei partiti di casa
nostra che festeggiano per l'elezione di Macron fanno finta di
dimenticare che le forze politiche a
loro corrispondenti sono state
pesantemente punite dagli elettori francesi non arrivando nemmeno al
ballottaggio, e poi perché Renzi, a
differenza del neo presidente francese, ha già governato per un lungo periodo e
l’elenco dei suoi fallimenti è abbastanza lungo.
Dalla buona scuola, che ha lasciato
scontenti tutti (docenti, studenti, famiglie e precari), agli 80 euro, che
oltre a non essere serviti per rilanciare i consumi sono stati anche restituiti
del tutto o in parte dai contribuenti con un reddito che si discostava dalle
soglie stabilite; dalla riforma della Pa, cassata dalla Consulta, all’Italicum,
anch’esso ritenuto in parte incostituzionale, e alla sonora bocciatura della riforma
costituzionale con il referendum del 4 dicembre, la collezione dei fiaschi
renziani al governo è davvero corposa.
Per cui il fatto che l’ex premier sia tornato alla guida del Pd non è
per niente rassicurante.
Come non lo è del resto il suo
puerile tentativo di addossare alla vittoria del No al referendum la responsabilità di aver portato il Paese nella “palude”. Se oggi esiste una disomogeneità delle leggi elettorali di Camera e Senato è
solo perché più di tre anni addietro un signore venuto da Firenze, dopo
avere defenestrato da Palazzo Chigi un
suo compagno di partito, ha impegnato per tre anni il Parlamento con riforme
sconclusionate; e facendo valere la
forza dei numeri della sua raccogliticcia maggioranza tenuta insieme solo
dall’attaccamento alle poltrone. Troppo comodo adesso addossare ad altri le
proprie responsabilità.
Matteo Renzi, inoltre, dice di non voler fare
“il capro espiatorio” sulla legge elettorale, ma intanto le proposte nel suo
partito si moltiplicano e adesso spunta pure l’ipotesi di un accordo con il
M5S. Dice poi di voler sostenere il governo Gentiloni, ma poi lo mette
sotto tutela annunciando la costituzione di una cabina di regia per coordinare
i provvedimenti e dettare l’agenda a Palazzo Chigi (cosa che peraltro ha fatto
anche nei mesi in cui ufficialmente avrebbe dovuto essere un normale
cittadino). La verità è che il Pd e il
suo segretario continuano a condizionare negativamente la vita politica del Paese, guardandosi bene
dall’abbandonare la stanza dei bottoni.
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