CARA ITALIA, VUOI DIVENTARE LA REPUBBLICA DELLE BANANE?
di Giacomo Stucchi
Gli slogan a favore del Sì che campeggiano sui manifesti nelle strade delle
nostre città fanno il paio con il quesito referendario sulla scheda elettorale.
In entrambi i casi si stratta di pubblicità ingannevole basata su domande
retoriche, alle quali nessuna persona di buon senso, a prescindere dalla sua
preferenza politica, risponderebbe con un no; ma che c’entrano poco o nulla con
le modifiche alla Costituzione introdotte dalla riforma Renzi-Boschi. La bugia,
o se si preferisce la manipolazione della realtà, è l’ultima arma in mano al
premier e al suo governo per cercare di convincere i cittadini a votare Sì.
Sostenere, infatti, che la riforma costituzionale riduce il numero dei politici,
fa risparmiare soldi pubblici, accorcia i tempi del procedimento legislativo e,
più in generale, migliora l’efficienza del nostro sistema istituzionale, è come
dire che l’Italia ha il debito pubblico più basso al mondo! In realtà il duo
Renzi-Boschi propone un “senaticchio” dalle funzioni legislative confuse e
pasticciate che continuerà ad avere più o meno gli stessi costi per il
contribuente ma, ridotto nel numero dei suoi componenti, costituirà la foglia di
fico che serve a Renzi per dimostrare all’opinione pubblica che la sua riforma
farà risparmiare denaro pubblico. Circa i tempi del procedimento legislativo
occorre poi spiegare che essi dipendono anche e soprattutto dalla volontà
politica dei partiti di governo e del premier stesso; più che dai passaggi delle
leggi da una Camera all’altra, che comunque non sono un inutile ping-pong ma una
funzione democratica di controllo e verifica. Basti pensare del resto
all’attuale situazione parlamentare. Il destino e i tempi di approvazione di
molti provvedimenti, dalla riforma penale a quella del codice civile, dalle
norme sul nuovo codice della strada alla regole per il cyberbullismo, non
dipendono dal procedimento legislativo previsto nell’attuale Costituzione, ma
dallo stallo creatosi in Parlamento a seguito della lunghissima campagna
elettorale referendaria voluta dal premier; al solo scopo, peraltro, di
risalire la china nei sondaggi che lo danno perdente. Nel frattempo, però, il
prezzo che il Paese sta pagando per la scommessa del presidente del Consiglio è
altissimo. Abbiamo, infatti, un capo del governo che anziché preoccuparsi di
predisporre conti pubblici credibili e politiche economiche degne di questo
nome, preferisce fare i giochetti coi numeri del bilancio dello Stato al solo
scopo di poter ottenere maggiore flessibilità da Bruxelles ed impiegare soldi
pubblici in mancette elettorali. Abbiamo un capo del governo che anziché
preoccuparsi seriamente per le migliaia di persone che ogni giorno dal nord
Africa continuano a sbarcare sul nostro territorio, se ne va in giro per il
Paese a farsi dei selfie da postare sui social. Abbiamo un capo del governo che
anziché pensare davvero ad avviare la ricostruzione delle zone del Centro
Italia colpite dal terremoto dello scorso agosto, annuncia di avere i soldi per
costruire un Ponte sullo Stretto di Messina che tutti sanno non si farà mai ma
che gli serve per conquistare voti al sud. Abbiamo, infine, un capo del governo
che prima fa approvare una nuova legge elettorale e poi si dichiara disponibile,
ma solo a parole, per una sua modifica; e addossa al Parlamento la
responsabilità di cambiarla. In realtà tutti hanno capito che le modifiche
all’Italicum non dipendono né dal sistema né dal procedimento legislativo ma dai
veti incrociati che esistono nel Pd e nella maggioranza; e che, sino a oggi, il
premier non ha certo contribuito a superare. Per questo Renzi vuole la riforma
costituzionale abbinata all’Italicum: una sola Camera che dà la fiducia al
governo e costituita da parlamentari per lo più nominati, che mai e poi mai
metterebbero a repentaglio il loro destino politico contraddicendo il
segretario-premier. Insomma, ciò che il presidente del Consiglio desidera più di
ogni altra cosa è essere l’uomo solo al comando alla guida del Paese. Ma tutto
questo non migliorerebbe l’efficienza del nostro sistema istituzionale, mentre
lo renderebbe di certo più simile a una Repubblica delle banane.
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