Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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giovedì, settembre 21, 2006

Nella Cina comunista, il Prof ha scordato cos’è la democrazia

di GIACOMO STUCCHI

Il viaggio in Cina del presidente del Consiglio, fatto anche per ricambiare ad una parte degli industriali l’aiuto elettorale dello scorso aprile, non è andato come previsto soprattutto a causa dell’inevitabile intreccio con l’affaire del piano Rovati. Sul piano economico, al di là dei discorsi ufficiali sulla disponibilità dei cinesi ad aprire alle aziende italiane, solo nel medio e lungo periodo si vedrà quanto delle parole di questi giorni si trasformerà in affari. Inoltre, bisogna considerare che tutte le città visitate dal presidente del Consiglio viaggiano ad un ritmo di sviluppo di oltre il dieci per cento annuo e quindi è molto probabile che chi doveva fare gli affari (come il gruppo Fiat) li ha già fatti da tempo senza aspettare il viaggio della speranza di Romano Prodi. Ma sono state le rivelazioni sul piano Rovati, pubblicate fra l’altro sul quotidiano di Confindustria, a trasformare, dal punto di vista politico, la missione del presidente del Consiglio da strategica a vera e propria via crucis. Ad ogni conferenza stampa infatti, nuovi risvolti dell’intricata vicenda mettevano in croce il capo del governo. Poche le domande dei giornalisti sull’esito degli incontri a Pechino, Shangai o Nanchino. Ovunque Prodi sia andato, il quesito postogli è stato sempre lo stesso: «Sapeva del piano di dismissione di Telecom?» Secondo Tronchetti Provera, Prodi sapeva e come. Tant’è vero che il suo braccio destro Angelo Rovati, il consigliere più ascoltato per le questioni economiche, aveva inviato alla presidenza di Telecom, su carta intestata di Palazzo Chigi, un vero e proprio piano di dismissione. Ma Prodi ha continuato a dire di non sapere e, pur di salvare la sua poltrona, conquistata per una manciata di voti, ha offerto la testa del suo consigliere ai suoi alleati, che per placarsi avevano bisogno di una vittima sacrificale.Tutto risolto quindi? Ma nemmeno per idea. Il caso Rovati, per l’importanza degli argomenti in gioco e per le conseguenze politiche, non può dirsi concluso senza un necessario passaggio in Parlamento. Capisco che dopo tanti giorni passati in uno Stato comunista, Prodi sia in deficit di democrazia ma sarà bene che egli recuperi in fretta questo gap perché il dibattito parlamentare non è fine a se stesso ma serve a far assumere al presidente del Consiglio le proprie responsabilità. Troppo facile infatti trincerarsi dietro la presunta ingenuità di Rovati, serve invece spiegare ai cittadini, prima che alla classe politica, come mai un governo che si proclama liberista, e che in nome di questa politica ha messo in difficoltà tassisti, farmacisti, notai e avvocati, si dimostra invece statalista quando in ballo ci sono gli interessi che contano. Che la fortuna del Professore, che sin qui ha caratterizzato tutti i passaggi politici degli ultimi mesi, sia giunta al capolinea? Un campanello d’allarme potrebbe venire dal fallimento degli obiettivi che Prodi si era posto con il suo viaggio in Cina: un prestigioso riconoscimento alle sue comprovate doti di sponsor principale dell’azienda Italia, ma anche un rinnovato consenso da parte degli industriali, rivelatisi determinanti per la vittoria elettorale, e ritenuti preziosi alleati alla vigilia di un difficile passaggio come quello della prossima finanziaria. Ma così non è andata e il risultato della “missione strategica” è stato a dir poco disastroso. In primo luogo, perché le rivelazioni sul piano Rovati hanno contribuito a rendere ancor più palesi le profonde contraddizioni che caratterizzano la maggioranza di centrosinistra (in tal senso, il dibattito parlamentare su Telecom potrebbe essere anche un occasione per spiegare all’opinione pubblica come Prodi intenda conciliare la posizione statalista di una parte della sua maggioranza, che fa riferimento a Prc, Verdi e Pdci, con quella presunta liberista dei Ds e Margherita); in secondo luogo, perché è sempre più evidente a tutti l’esistenza di un filo conduttore tra la notte elettorale dell’11 aprile 2006, quando Fassino e Prodi decisero di annunciare la tanto agognata vittoria salendo sul palco di piazza SS. Apostoli, e le vicende di questi giorni: quello della menzogna e dell’inganno.Fu una menzogna quella notte annunciare al popolo che l’Ulivo aveva vinto le elezioni, quando invece lo spoglio era ancora in corso e l’esito molto lontano dall’essere scontato; è stata una menzogna affermare ai giornalisti, al seguito della missione in Cina, di non essere al corrente di alcun piano di dismissione di Telecom, essendo questa un’azienda privata, quando poi è venuto fuori che Angelo Rovati, il tesoriere di Prodi, aveva persino inviato a Tronchetti Provera un “super pizzino”, come lo ha definito il segretario dei Radicali Daniele Capezzone, con tanto di “suggerimenti” su come fare per trasformare una azienda privata in una nuova Iri.Alla faccia della politica della trasparenza, tanto decantata in campagna elettorale da Prodi e dai suoi alleati.
Tratto da LA PADANIA [Data pubblicazione: 21/09/2006]