Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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martedì, luglio 08, 2008

Di Pietro fa più male al Pd che al Governo

di Giacomo Stucchi

Al centrodestra conviene che ritorni in piazza, oltre che in Parlamento, un armamentario politico e ideologico da inizi anni Novanta? Se dovessimo giudicare dagli ultimi sondaggi, che registrano un aumento del gradimento popolare dell’azione del Governo (grazie anche ai consensi della Lega Nord), direi proprio di si. Nel senso che più si estremizza lo scontro, per esempio sui temi della giustizia, più cresce il consenso verso l’esecutivo in carica. Forse perché l’opinione pubblica ha ormai capito che certe battaglie sono strumentali, che oggi non esiste alcun rischio per la tenuta della democrazia e, soprattutto, che certi atteggiamenti barricadieri dell’opposizione servono solo a dilazionare la stagione delle riforme. O forse perché i cittadini hanno già sperimentato l’inconcludenza della sinistra che, tutte le volte che gli è capitato di vincere le elezioni, non ha fatto altro che litigare, senza aver mai messo mano seriamente ad uno solo dei tanti problemi sul tappeto. Con queste premesse potremmo dormire sonni tranquilli, senza agitarci più di tanto per le manifestazioni di piazza contro il Governo. Ma c’è un altro aspetto che va tenuto in considerazione e che, crediamo, possa mettere tutti d’accordo: nessuna riforma istituzionale sarà possibile senza una larga condivisione delle forze politiche. In caso contrario, infatti, si ripeterebbero gli errori del passato, ultimo dei quali fu lo sciagurato “no” della sinistra al referendum di riforma costituzionale approvato nella XIV legislatura dall’allora maggioranza di centrodestra. Tuttavia, c’è qualcuno nell’opposizione che, nonostante l’esperienza degli ultimi anni, mira cinicamente a sfasciare tutto solo per portare acqua al proprio mulino. E’ ormai chiaro, infatti, che Antonio Di Pietro, e i suoi compagni di partito dell’Italia dei Valori, danno voce a quella parte di elettorato (per la verità sempre più risicato) che non si rassegna alla vittoria elettorale della Federazione delle Libertà ma che, soprattutto, non vuole che si avviino quei processi di rinnovamento che il Governo ha già cominciato. L’ex pm, con la scusa di contrastare alcuni provvedimenti governativi, mira invece ad ostacolare il dialogo sulle riforme affinché determinati assetti istituzionali, per come li abbiamo conosciuti negli ultimi cinquant’anni, restino immutati. Ci riferiamo, in primis, al rapporto tra Governo e Magistratura. A pagare le conseguenze di questa strategia è però soprattutto il Partito Democratico, ovvero l’artefice (sino ad oggi) delle fortune di Di Pietro, che si trova costretto ad inseguire ogni giorno le “sparate” del suo scomodo alleato, col quale deve contendersi sia la scena mediatica sia quella politica. “Avessimo vinto – ha ammesso in un intervista il segretario del Pd Veltroni - sarebbe rimasto dove doveva stare: avendo perso, ha cominciato col non rispettare il patto sulla formazione di un unico gruppo parlamentare. Poi ha proseguito con gli insulti e il resto, pensando di riempire il vuoto lasciato in Parlamento dalla sinistra radicale…”. Quella di Walter “volemosebene” Veltroni è senz’altro una constatazione, una volta tanto, condivisibile, ma tuttavia rimane fine a se stessa se poi le conseguenze di questa situazione sono quelle di portare il Pd ad erigere le barricate anche sul calendario dei lavori parlamentari, o di abbandonare i lavori delle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera. Si tratta di decisioni che ancora una volta, sul piano concreto, si traducono nell’ennesimo regalo del PD a Di Pietro.