IL VOTO DELLE CITTA' METTE IN CRISI LA LEADERSHIP DI RENZI
di Giacomo Stucchi
Il voto nelle città è sostanzialmente una disfatta per Matteo Renzi,
l’affabulatore per eccellenza, il rottamatore che avrebbe dovuto “far cambiare
verso” al Paese. Dopo questo voto, quindi, niente è più come prima. In primo
luogo perché gli elettori non credono più né alla narrazione renziana di un
Paese che sta uscendo dalla crisi né alle mirabolanti promesse del premier che
poi vengono smentite nell’arco di pochissimo tempo; in secondo luogo perchè
l’imprimatur elettorale delle europee del 2014, che ha in qualche modo
legittimato la permanenza di Renzi a Palazzo Chigi, non esiste più. Ad essersi
accorto per primo di questo nuovo quadro politico è probabilmente lo stesso
presidente del Consiglio che, infatti, non a caso ha subito cambiato registro
modificando la sua strategia di comunicazione da aggressiva a conciliante,
riconoscendo la sconfitta elettorale e offrendo collaborazione istituzionale a
tutti i neo sindaci a prescindere dalla loro appartenenza politica. Un passo,
quest’ultimo, non scontato per il Renzi arrogante di appena qualche giorno
prima. Tuttavia l’impressione è che questa nuova versione “soft” del premier non
sarà sufficiente ad evitare che nei prossimi giorni da più parti ci si cominci a
chiedere in nome di cosa e perché egli rimanga a Palazzo Chigi. Si dice che il
vero banco di prova per il governo sia il referendum del prossimo autunno ma il
dato politico del voto amministrativo è che la maggioranza parlamentare
rabberciata che tiene a galla l’esecutivo non ha alcuna corrispondenza nel voto
popolare. Renzi può anche fare finta di niente e continuare a stare al suo posto
in attesa della celebrazione del referendum ma, dalla Brexit alla prossima
legge di stabilità, dalle pensioni al taglio dell’Irpef, ci aspettano eventi e
decisioni da prendere molto importanti e non possiamo proprio permetterci un
governo che galleggi in attesa del risultato referendario.
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