CON IL SISTEMA RENZI-BERLUSCONI UN PARLAMENTO PER POCHI
di Giacomo Stucchi
Da forze politiche che, con la scusa del governo di emergenza, sono state in grado di approvare la più assurda tassazione sulla casa che esista al mondo, c’è da aspettarsi di tutto. Ma una cosa è la vessazione, per quanto ingiusta e odiosa, cui sono stati soggetti i possessori di immobili, un’altra le gravi conseguenze che deriverebbero al Paese se andasse in porto la riforma della legge elettorale targata Renzi-Berlusconi. Per quanto i sostenitori dei due leader si diano un gran da fare nel ribadire che qualsiasi modifica al testo di legge, depositato in Commissione Affari Istituzionale della Camera dei Deputati, non può che passare con il loro consenso (ma allora il Parlamento che ci sta a fare?). E' un fatto che la legge elettorale non è, e non potrà mai essere, ad uso e consumo di Tizio o di Caio. Si tratta, infatti, dell’insieme di regole con le quali un sistema istituzionale democratico mira a dare la più ampia rappresentanza parlamentare possibile ai cittadini che vivono su un territorio. Il progetto alla base dell’accordo Renzi-Berlusconi va invece nella direzione opposta, mirando cioè a limitare l’ingresso in Parlamento a pochissime forze politiche. Le soglie di sbarramento (quella toppo bassa di coalizione e l’altra troppo alta per i singoli partiti), e l’aggravante della possibilità di uno spareggio tra i due partiti più forti, per far sì che alla fine uno solo (a prescindere dal numero dei voti che ottiene) conquisti il numero di seggi necessari a governare, sono tecnicismi che fanno a pugni con il concetto stesso di democrazia parlamentare. Tanto più se dovessero restare le liste bloccate. Con un siffatto sistema, al massimo si può determinare l’elezione del sindaco di un Comune di ventimila abitanti, ma non certo il governo centrale. Qui non si tratta di tutelare la Lega Nord, che non ha bisogno di aiuti da parte di nessuno, e che comunque farà sempre le sue battaglie per difendere gli interessi del territorio che rappresenta, qui si vuole cancellare dalla rappresentanza parlamentare una fetta considerevole di cittadinanza.
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