Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

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giovedì, luglio 02, 2009

IL DDL SULLA SICUREZZA E' LEGGE, MA IL SISTEMA LEGISLATIVO DEVE CAMBIARE

di Giacomo Stucchi

Alla vigilia del voto finale in Senato sul decreto sicurezza, la presidente del gruppo Pd a Palazzo Madama Anna Finocchiaro, esercitandosi in una sorta di scioglilingua dalla dubbia efficacia, aveva detto che la maggioranza “poneva la fiducia al provvedimento per mancanza di fiducia”. Parole che, ventiquattrore dopo l’approvazione definitiva del testo, suonano un po’ come resa finale di un’opposizione sempre più a corto di validi argomenti e sempre meno in grado di incidere sull’agenda politica. Di sicurezza si era cominciato a parlare già all’indomani dell’inizio di questa legislatura e non solo perché si trattava di un tema ampiamente dibattuto in campagna elettorale, ma perché su questo argomento il governo, e la maggioranza che lo sostiene, avevano preso un impegno preciso con gli elettori. I quali peraltro ricorderanno che, oltre alle iniziative per disseppellire Napoli dalla spazzatura lasciata dal governo Prodi, le misure legislative sulla sicurezza sono state le prime adottate da Palazzo Chgi. Da allora è passato un anno. Dodici mesi durante i quali il decreto è diventato un provvedimento di legge definitivo grazie alla compattezza della maggioranza di centrodestra; la stessa alla quale la senatrice Finocchiaro, forse con un po’ di invidia pensando all’ultima esperienza governativa del Professore e all’armata Brancaleone che lo tenne in piedi per un paio d’anni scarsi, non ha mai arretrato di un millimetro rispetto ai propositi iniziali. Il periodo occorso per l’approvazione definitiva della legge deve però servire a far riflettere su quanto sia lungo e farraginoso il nostro sistema legislativo. Il sistema bicamerale perfetto, introdotto in tempi in cui era forte la preoccupazione di garantire la massima garanzia al Parlamento in un sistema equilibrato ma complesso di bilanciamenti di poteri, mostra oggi tutta la sua vetustà e ci convince oltre ogni misura dell’impellente necessità di cambiarlo. L’opposizione si lamenta per il presunto eccessivo ricorso dell’esecutivo allo strumento della fiducia ma, a parte la discutibile (dati alla mano) osservazione, cosa dovrebbe fare un governo per stare al passo con le necessità del Paese, sia di carattere ordinario che straordinario? Come affrontare le sfide, economiche e sociali, che il nuovo millennio ci ha già posto con prepotente incombenza negli ultimi tempi, avendo a disposizione degli strumenti legislativi che risalgono ad un contesto storico e politico morto e sepolto? Qualcuno dirà che anche altrove è così. Negli Stati Uniti, per esempio, ci sono delle regole istituzionali centenarie che sono ancora valide, mentre in Gran Bretagna, oltre ad essere alcune norme ancora più antiche, in alcuni casi ci si rifà addirittura alla consuetudine. Tutto vero, ma l’Italia è diversa. Da noi non esiste una tradizione secolare di Nazione ma semmai di territori, in seguito chiamati Regioni, ognuno con le proprie caratteristiche e peculiarità. Inoltre i sistemi parlamentari degli altri Paesi sono bilanciati da forti poteri nelle mani dei capi di Stato o dell’Esecutivo. Da noi, invece, il presidente del Consiglio è istituzionalmente “ingessato” e le Camere “ingolfate” dalla continua melina parlamentare alla quale devono sottoporsi i provvedimenti legislativi. Per il bene dei cittadini tutto questo deve cambiare e sarebbe ora che anche la sinistra se ne facesse una ragione.