mercoledì, novembre 30, 2016
martedì, novembre 29, 2016
COMUNQUE VADA IL 4 DICEMBRE RENZI DOVREBBE MOLLARE LA POLTRONA
di Giacomo Stucchi
Si discute tanto su cosa accadrà al governo dopo il responso referendario, ma
l’impressione è che il premier non mollerà facilmente la poltrona. Eppure, a
prescindere dal risultato del referendum, di motivi per mandarlo a casa ce ne
sarebbero parecchi. Dalla riforma della pubblica amministrazione, bocciata dalla
Consulta proprio nei suoi punti principali, al Jobs Act, costato molti miliardi
ma incapace di creare occupazione vera, alla cosiddetta Buona Scuola, che ha
portato ad avere cattedre vuote ancora a fine novembre, il bilancio del suo
esecutivo è infatti fallimentare. Per quasi tre anni Renzi e i suoi ministri,
trascurando le vere emergenze del Paese, dal lavoro che non c’è alle tasse da
record che vanno di certo abbassate, hanno impegnato il Parlamento con delle
riforme che fanno acqua da tutte le parti. Hanno voluto giocare a fare i
riformatori, senza averne però le capacità; e i risultati disastrosi sono sotto
gli occhi di tutti. E che dire poi dell’Italicum? Definita dal premier la più
bella legge elettorale del mondo, può oggi vantare il record assoluto di essere
stata approvata e rinnegata dagli stessi proponenti. Dopo averla votata,
infatti, nessuno oggi nella maggioranza è disposto a difendere un sistema di
voto cucito a suo tempo sulle personali ambizioni del premier e legato a doppio
filo con la nuova Carta costituzionale. Sicché oggi è rimasta una legge senza
padri alla quale tutti sono disposti a dire addio senza alcun rimpianto. C’è
poi il fronte dei rapporti con l’Ue. Anche qui si tratta di un fallimento ma in
questo caso il premier, a suo modo, cerca di giocare d’astuzia. Il presidente
del Consiglio, infatti, a parole si professa contro l’Ue ma poi nei fatti si
rivela essere un preciso esecutore delle sue imposizioni; e per questo sia
Juncker sia i poteri finanziari fanno il tifo per lui. Tutto ciò premesso, il
voto referendario rimane un passaggio importantissimo. E per questo il fronte
del No in vista del voto di domenica prossima deve serrare i ranghi e convincere
quanti più indecisi possibile a votare contro la riforma. Le tenteranno tutte
per imbrogliare le carte. Agiteranno lo spettro dell’incertezza e delle mille
sciagure e disastri che deriverebbero dalla vittoria del No, da quello
finanziario a chissà quale altra diavoleria, ma sarà la loro ultima carta.
Perchè siamo certi che i cittadini non cascheranno in questo tranello; e non si
faranno ammaliare né dalle belle parole né dalle tante mance e mancette che
Renzi ha messo nella legge di stabilità per conquistare voti. Un pacco regalo
fasullo, come la sua politica in tre anni di governo.
lunedì, novembre 28, 2016
sabato, novembre 26, 2016
giovedì, novembre 24, 2016
SE VINCE IL SI' SAREMO ANCORA LO ZERBINO DELL'UE
di Giacomo Stucchi
Non essendo riusciti Renzi e Boschi a convincere i cittadini della bontà
della loro “schiforma”, intervengono adesso gli opinionisti contigui al
governo a tentare di persuadere gli elettori. La loro tesi è che se vincesse
il No si indebolirebbe il nostro Paese in Europa. Un’affermazione che, se non
fosse per la serietà delle sue implicazioni, saprebbe tanto di barzelletta. Con
il governo in carica, infatti, il nostro Paese è già debole in Europa,
essendosi totalmente assoggettato a tutti i suoi diktat e facendo soltanto
finta di ribellarsi per conquistare qualche voto in più alla vigilia
dell'importante appuntamento referendario. La verità è che Renzi a Bruxelles
conta davvero poco. Basta pensare, solo per citare l’ultimo caso, allo
schiaffone avuto dal premier con la promozione del vice direttore-generale del
Dipartimento Migrazione e Affari Interni Ue. Si tratta di un funzionario, Simon
Mordue, il cui nome dice poco all’opinione pubblica ma che, essendo di
nazionalità britannica, di un Paese cioè che sta per uscire dall'Ue, la dice
lunga su quale sia la considerazione che la Commissione Europea ha dell’attuale
inquilino di Palazzo Chigi. Ovviamente non si discute sulla persona scelta a
ricoprire quel ruolo ma su come, ancora una volta, l’esecutivo non sia
riuscito a imporre in sede comunitaria una posizione a noi più favorevole; e
direi anche più logica. Infatti, se è vero, com’è vero, che le nostre coste
sono l’approdo di migliaia e migliaia di immigrati, sarebbe stato opportuno che
a occuparsi di questi temi ci fosse stato un funzionario italiano. Questa
circostanza, unitamente al botta e risposta sulla manovra economica, sulla quale
peraltro l‘Ue sta solo aspettando che passi il 4 dicembre per dire fino in
fondo come la pensa sui nostri conti pubblici, dimostrano la scarsa
considerazione che il governo Renzi ha in Europa. Se vince il Sì, quindi, oltre
ad avere una pessima riforma costituzionale, che non risolve nemmeno uno dei
tanti problemi sul tappeto, continueremo ad avere un governo zerbino dell’Unione
europea e delle sue imposizioni. Una ragione in più, quindi, per votare No e per
cercare di convincere gli indecisi a fare lo stesso.
martedì, novembre 22, 2016
RENZI CERCA LO SCONTRO PER SALVARE LA "SCHIFORMA"
di Giacomo Stucchi
A pochi giorni dalla fine di una lunghissima campagna elettorale referendaria
tra le più divisive di sempre, soprattutto per volontà di Renzi, il principale
argomento a favore del Sì è sempre lo stesso: se vince il No cade il governo.
Una conseguenza che, considerato i pessimi risultati a più di mille giorni
dall'insediamento del segretario del Pd a Palazzo Chigi, sia sul piano economico
sia su quello delle riforme e del loro effetto in generale, non sarebbe di certo
la cosa più grave. Ma, conseguenze politiche a parte, la verità è che il
premier in questa campagna elettorale non ha mai voluto un serio dibattito sul
merito della riforma, preferendo invece di gran lunga la polemica politica. Al
presidente del Consiglio, infatti, è più congeniale parlare di “accozzaglia”
sul fonte del No, che sostenere un serio dibattito sui contenuti con chi non la
pensa come lui. La sensazione, però, è che non si tratti solo di un’attitudine
ma di una precisa strategia che miri a spostare l’attenzione sullo scontro
politico, piuttosto che sui temi di una riforma dallo scarso appeal
sull’opinione pubblica. Coadiuvato da una straordinaria potenza di fuoco sul
fronte della comunicazione, che spazia da un servizio pubblico televisivo a dir
poco accondiscendente, all’utilizzo spregiudicato della sua posizione di premier
che gira il Paese promettendo ai cittadini tutto e il suo contrario, Renzi tenta
di screditare il fronte del No evidenziandone la sua eterogeneità politica. Ma
chi vota No alla “schiforma” Renzi-Boschi non lo fa perché pensa che quello
stesso fronte possa poi diventare coalizione di governo, ma solo per
scongiurare che il nostro Paese abbia una Carta costituzionale pasticciata e
foriera di molte conflittualità istituzionali, oltre che pericolosa se abbinata
all'Italicum. Il fatto che sul fronte del No si siano aggregate tante forze
politiche e sociali, anche molte diverse fra loro, non deve scandalizzare
nessuno perché stiamo parlando della Costituzione; cioè di quell’insieme di
norme, condivise da tutti, che valgono a prescindere dallo scontro
politico.
sabato, novembre 19, 2016
giovedì, novembre 17, 2016
OLTRE AL DANNO ANCHE LA BEFFA
di Giacomo Stucchi
Le promesse fatte da Renzi nel suo tour elettorale per il Paese continuano a
fioccare in ogni dove. Un giro, accompagnato da contestazioni un po’ ovunque,
durante il quale il premier sta dando il “meglio” di sé come imbonitore e come
divulgatore di false speranze. Il presidente del Consiglio continua ad
annunciare lo stanziamento di centinaia di milioni di euro come fossero
noccioline, da ultimo addirittura con l’annuncio dello sgravio totale per tutto
il 2017 per le aziende che assumeranno al sud. Una misura che sa tanto di bufala
per il semplice motivo che, ammesso che le risorse si trovino davvero, il Jobs
Act dovrebbe ormai aver insegnato che gli sgravi per un periodo servono a poco
al fine di creare occupazione stabile. Tanto più nel Mezzogiorno dove, a
cominciare dalle infrastrutture, le imprese non sono nelle migliori condizioni
possibili per operare. Ma poco importa perchè l’obiettivo del governo è solo
quello di far vincere il Sì il prossimo 4 dicembre, senza porsi tanti problemi
sulle modalità. Fra le tante sceneggiate alle quali stiamo assistendo in questi
giorni c’è pure quella di Renzi in versione verginella della politica che, in
caso di vittoria del No al referendum, il giorno dopo non sarebbe disposto a
fare pasticci; perchè lui non è “quello che si mette d'accordo con gli altri
partiti per fare un governo di scopo o un governicchio". Detto da uno che, da un
lato, si è insediato a Palazzo Chigi grazie a una congiura di palazzo, tipica
di quelle pratiche da Prima Repubblica che ha sempre detto di voler rottamare,
e dall’altro, si è fatto approvare una riforma costituzionale da una
raccogliticcia maggioranza parlamentare, suona davvero come una beffa.
Un'altra presa in giro è stata quella di aver portato i cittadini a votare su
un testo costituzionale che più pasticciato non potrebbe essere. Dalle
competenze del nuovo Senato al rapporto tra Stato e Regioni, non c’è davvero
nulla che questa riforma semplifica o migliora; e anzi su molte cose gli stessi
proponenti ammettono che, subito dopo la sua eventuale approvazione, dovranno
metterci mano per cambiarla o modificarla.
martedì, novembre 15, 2016
ALTRO CHE TRUMPISMO, QUELLO DI RENZI RIMANE IL GOVERNO DELLO "ZERO VIRGOLA"
Con un debito pubblico fuori controllo e un tasso di disoccupazione
drammatico ci vuole proprio una faccia tosta fuori dal comune per considerarsi
soddisfatti della misera crescita del Pil registrata dall’Istat. Dopo aver
alimentato una campagna elettorale referendaria divisiva, faziosa e
istituzionalmente scorretta (a cominciare dall’uso spregiudicato della
televisione pubblica), adesso Renzi si aggrappa disperatamente allo “zero
virgola” per convincere i cittadini della bontà della sua azione di governo. Ma
i fatti, non solo i numeri, sono sotto gli occhi di tutti e descrivono un Paese
che non riesce a uscire dalla crisi economica e che rimane imbrigliato da
problemi che il governo, dopo quasi tre anni di permanenza a Palazzo Chigi, non
è stato in grado di risolvere. Altro che trumpismo! Il goffo tentativo di certi
apologeti di regime, che mirano a far salire il renzismo sul carro del
vincitore, appare ridicolo. Magari Renzi avesse avuto un decimo della coerenza
di Trump. Chi pensava che il neo Presidente degli Stati Uniti si sarebbe
rimangiato i suoi impegni, o avrebbe edulcorato alcune sue posizioni espresse
durante la campagna elettorale, si è infatti sbagliato di grosso. Nelle sue
prime interviste, infatti, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha ribadito
molti punti del suo programma, come il rafforzamento del muro al confine con il
Messico (che peraltro non è una sua invenzione ma esiste già da tempo) e
l’espulsione degli immigrati illegali. Tutto il contrario, insomma, del nostro
premier che rimane un campione degli stravolgimenti di fronte. Le sue giravolte
politiche hanno infatti scandito la sua ascesa al governo e, purtroppo, anche la
sua permanenza. Basti pensare che solo qualche mese fa il presidente del
Consiglio, all’apice dello scontro politico sul referendum, annunciava un ritiro
a vita privata in caso di vittoria del No al referendum; salvo poi rimangiarsi
tutto quando i sondaggi cominciavano a prospettargli una possibile sconfitta del
Sì. Ma non è finita, perché dopo qualche giorno l'inquilino di Palazzo Chigi
ha pensato che una spersonalizzazione dello scontro politico, da lui stesso
creato nel disperato e vano tentativo di risalire in sondaggi, potesse tornargli
utile. Constatato però l’ennesimo insuccesso, il premier è quindi tornato alle
origini con una riacutizzazione del confronto.
sabato, novembre 12, 2016
giovedì, novembre 10, 2016
HA VINTO IL SOGNO AMERICANO
di Giacomo Stucchi
Capita di sbagliarsi ma l’abbaglio che l’establishment a stelle e strisce,
in primis il mondo dell’informazione, ha preso sull’esito delle elezioni
presidenziali è davvero sorprendente. Oggi sono in molti a chiedersi come sia
stato possibile che ai principali media, ai gruppi di potere, e a tutto ciò che
è in grado di mettere in moto una campagna elettorale come quella per la
conquista della Casa Bianca, sia sfuggito del tutto cosa covasse davvero sotto
la cenere del voto americano. L’impressione, comunque, è che Donald Trump abbia
vinto perché in grado di interpretare meglio di chiunque altro, sia all'interno
del suo partito sia naturalmente in quello democratico, il sentimento di un
popolo che evidentemente nei grandi numeri non è rimasto per niente contento
degli otto anni di presidenza Obama. Un lungo periodo durante il quale di certo
si sono avvantaggiate alcune categorie sociali ma che ha visto concentrare la
ricchezza in quel Paese nelle mani di un numero sempre più ristretto di
persone, lasciandone indietro molte altre che non hanno più avuto modo di
riprendersi dopo la grande crisi economica. La promessa di Trump, quindi, di non
voler lasciare indietro nessuno, ribadita nel suo discorso di ringraziamento
agli elettori subito dopo la conferma del risultato elettorale, potrebbe essere
forse la pietra miliare della futura amministrazione. Se davvero il neo
presidente americano farà le cose che ha detto per tutelare la classe media, per
dare agli americani ciò che è degli americani, e per rinnovare il sogno di
questo grande Paese, allora avrà vinto due volte. Sul piano squisitamente
interno, può questa vicenda insegnare qualcosa anche nel nostro Paese? Noi
crediamo di sì. Così come la Clinton ha parlato agli americani per diciotto mesi
di questioni che non hanno appassionato il grande pubblico, tanto da averla
punita con una sonora batosta elettorale, allo stesso modo nel nostro Paese
governo e premier hanno impegnato Parlamento e opinione pubblica per più di due
anni e mezzo su un tema, quello della riforma costituzionale, che non è mai
stato in cima ai pensieri dall’opinione pubblica. Si tratta di una circostanza
che né i sorrisi ipocriti di Renzi né le sue promesse elettorali potranno
cambiare.
martedì, novembre 08, 2016
TORNA L'APOCALISSE
di Giacomo Stucchi
Il veemente intervento del premier nel fortino della Leopolda denota più
debolezza che forza. Renzi è in grosse difficoltà, dentro e fuori il suo stesso
partito. Dentro il Pd, perché ha da tempo capito che una sconfitta del Sì al
referendum sarebbe solo l’inizio della fase discendente della sua parabola
politica; fuori dal Pd, perché le sue parole convincono sempre meno un’opinione
pubblica molto perplessa sulle riforme ma anche sulla politica del governo in
generale. Le dichiarazioni del presidente della Commissione Ue Juncker, del
resto, la dicono lunga su quanta "fiducia" e "considerazione" il premier e il
suo governo godono perfino a Bruxelles. La sensazione è che, a meno di un mese
dal voto referendario, il presidente del Consiglio stia vivendo questi giorni
con profonda frustrazione. Constatare di aver sin qui fallito tutti i
tentativi per risalire la china, dalla manovra economica elettorale agli effetti
speciali regalatigli da Obama nella sua visita a Washington, dall’estenuante
presenza in tutte le trasmissioni televisive alle mille promesse fatte in ogni
dove, deve riuscirgli davvero difficile. Persino lo scontro generazionale
alimentato ad arte, secondo la narrazione renziana che vedrebbe il “nuovo” dalla
parte delle riforme e il “vecchio” contro, è smentito dai fatti. In primo luogo
perché ad essere contro queste riforme pasticciate sono proprio i giovani, in
secondo luogo perchè tutti hanno capito che il discrimine non è tra il
cambiamento e lo status quo ma tra il buon senso e l’insensatezza. Inoltre è
ormai evidente che se vince il Sì l'Italicum resterà così com'è, con tutte le
sue pericolose conseguenze in virtù del combinato disposto con la riforma
costituzionale. E allora ecco che la rinnovata minaccia del diluvio universale,
in caso di sconfitta dei Sì, torna ad essere la bussola politica del premier nel
disperato tentativo di invertire il trend dei sondaggi che vede consolidare il
vantaggio del No. Renzi obtorto collo si era sforzato di non personalizzare la
campagna referendaria ma non ha convinto nessuno e quindi, da qui al 4
dicembre, è verosimile che i toni apocalittici possano anche aumentare. Nel
frattempo però a rimetterci sarà il Paese, costretto a vivere un altro mese di
“sospensione” durante il quale non sarà presa nessuna decisione che conta.
domenica, novembre 06, 2016
giovedì, novembre 03, 2016
COME IL REFERENDUM PUO' AFFOSSARE RENZI
di Giacomo Stucchi
Da sempre Renzi sostiene che la riforma costituzionale è la panacea di tutti
i mali del Paese; e per questo motivo più la vittoria del Sì al referendum si
allontana nei sondaggi più il premier sente scivolare il terreno del consenso da
sotto i piedi. E' possibile perciò che la fase costituente, tanto decantata da
Palazzo Chigi e già cominciata male, finisca nel peggiore die modi. Cominciata
male perché non è mai esistito da parte del governo un riconoscimento del ruolo
costituente al Parlamento. Anzi, pur di approvare le riforme con la forza dei
numeri, l'esecutivo non ha esitato a farsi sostenere da una maggioranza
raccogliticcia, tenuta insieme solo dal comune intento di occupare quanto più a
lungo possibile le poltrone. Nel peggiore dei modi perchè, nonostante il
diuturno impegno del premier a caccia di voti e di consensi a favore del Sì,
nonostante una manovra economica tutta improntata alla ricerca del consenso
elettorale, nonostante le reiterate promesse a questa e a quell'altra categoria
sociale, tutti questi sforzi non sembrano sortire gli effetti sperati. Sicché
oggi, con la scusa delle difficoltà connesse al terremoto, che pure esistono ma
che non hanno niente a che fare con il regolare svolgimento della consultazione
referendaria, al governo Renzi non resta altro che appigliarsi a un rinvio della
consultazione referendaria pur di non affogare. Ufficialmente il presidente del
Consiglio ha smentito di volere posticipare il referendum, ma è una dato di
fatto che con il concretizzarsi della vittoria del No la strada dell’esecutivo
si fa sempre più stretta e tortuosa. Terremoto e referendum, peraltro, non sono
di certo gli unici elementi di scenari molto complessi che potrebbero
riguardare, direttamente o indirettamente, il nostro Paese nell'immediato
futuro. Dalle turbolenze mai sopite dei mercati finanziari al futuro dell'Unione
europea, da ridisegnare anche alla luce degli effetti della Brexit, ce n’è
abbastanza per augurarsi di avere un governo forte e capace alla guida del
Paese. Ma l’impressione è che quello in carica non sia né l’uno né
l’altro.
mercoledì, novembre 02, 2016
MOMENTO DIFFICILE, GOVERNO RENZI DIMOSTRI DI ESSERRE ALL'ALTEZZA DELLA SITUAZIONE
di Giacomo Stucchi
Il mostro che ormai da mesi attanaglia in una morsa di angoscia e paura una
vasta aria del Centro Italia non accenna a placarsi; e i suoi nefasti effetti,
non ultimo lo scoramento delle popolazioni coinvolte da questo interminabile
terremoto, continuano a dispiegarsi. L’unico sollievo è il lavoro degli uomini e
delle donne della Protezione civile, delle Forze dell’Ordine, dei Vigili del
Fuoco e dei tanti volontari, che cercano di venire incontro per quanto possibile
alle esigenze dei terremotati. Come fare? Di certo le reiterate promesse di una
totale ricostruzione di paesi sepolti dalle macerie, simulacri degli antichi
borghi che tutto il mondo ci invidia, non bastano a tranquillizzare le
popolazioni colpite se poi alle parole non seguono fatti concreti. Stare vicino
agli sfollati, anche fisicamente, è di certo importante; ma lo è altrettanto
dare, per quanto possibile, delle certezze alle famiglie e alle imprese locali
coinvolte dal sisma. L’attività del governo Renzi, posta in essere già
all’indomani della prima tragica scossa dello scorso 24 agosto, temiamo serva,
invece, più a far vedere all’opinione pubblica che l’esecutivo opera in qualche
modo, che non a prendere il toro per le corna e affrontare i problemi sul
tappeto. Tende sì o tende no, container sì o container no, casette di legno sì o
casette di legno no, alloggi in albergo sì o alloggi in albergo no, questa
parodia tragica va avanti ormai da più di due mesi e non fa altro che aggravare
la situazione. Siamo poi rimasti basiti nel sentire il premier chiedere al
Parlamento di fare presto nell’approvare il decreto legge per la ricostruzione
nelle aree del terremoto, prima della forte scossa di domenica scorsa, quando
è stato lo stesso governo Renzi a tergiversare per settimane. Ancora più
basiti, però, siamo rimasti oggi nel sentire il ministro dell’Interno Alfano
utilizzare il terremoto come pretesto per non andare a votare il prossimo 4
dicembre, per la consultazione referendaria sulle riforme. E’ giusto che la
società civile e politica lavorino all’unisono per affrontare questo momento, ma
anche il premier e il suo governo devono dimostrarsi all’altezza della
situazione. Lascino stare la data del referendum, quindi, e pensino piuttosto a
togliere subito di mezzo per decreto tutte quelle procedure amministrative e
burocratiche, tipicamente accentratrici, che impediscono ai sindaci dei
territori colpiti dal terremoto di operare al meglio per venire incontro ad
alcune esigenze. Penso, per esempio, alle parole del sindaco dell'Aquila,
Massimo Cialente, non certo della nostra parte politica, che ha detto di aver
visto le pene dell'inferno per avere deciso di sua sponte di puntellare con
impalcature edifici pubblici in bilico, che altrimenti sarebbero di certo
crollati. Inoltre, diano subito ai comuni colpiti la certezza (non solo a
parole!) dell'esenzione fiscale, già con gli anticipi Irpef e Iva di novembre.
Facciano, insomma, ciò che qualsiasi governo, degno di questo nome, farebbe per
dare delle risposte concrete alle amministrazioni locali e ai primi cittadini
che si trovano, tra l'altro, a dover fare i conti con 200mila case lesionate. Il
terremoto è certo una tragedia, ma lo sarebbe ancor di più un governo incapace
di affrontarla.