venerdì, luglio 29, 2016
giovedì, luglio 28, 2016
SE PIL VA GIU' NON E' SOLO PER COLPA DELLA BREXIT
di Giacomo Stucchi
Dire che il governo si trova in una fase di stallo è quasi un
eufemismo. Dalle amministrative in poi, quando Renzi ha visto ridimensionati i
suoi sogni di gloria elettorali, tutto è cambiato sulla scena politica. Sia che
il premier parli di referendum (anche se ultimamente non la fa quasi più) sia
che parli di economia o di politica estera, l’opinione pubblica sembra
intenzionata a dargli sempre meno credito. Persino nel bilaterale con la neo
premier inglese Theresa May è apparso evidente l’abisso esistente tra le due
leadership: la prima, la nuova inquilina di Downing Street, impegnata
nell’avviare un processo che, piaccia o meno, sarà storico sia per il Regno
Unito sia per l’Unione europea; la seconda, invece, molto più modestamente,
affaccendata nel tirare a campare il più possibile per rimanere incollata alla
poltrona in attesa di un responso elettorale, quello sul referendum
costituzionale, che verosimilmente determinerà il suo destino. Il punto è che,
nel frattempo, tutte le questioni sul tappeto rimangono irrisolte e né il
governo né la maggioranza parlamentare sembrano avere la capacità di venirne a
capo. Anzi, dal referendum sulla Brexit in poi, la nuova tendenza di Palazzo
Chigi e del Tesoro è quella di attribuire i pessimi risultati dell’economia
italiana non certo all’incapacità del governo, che non ne ha azzeccata una, ma
all’incertezza determinata proprio dall’uscita del Regno Unito dall’Europa
sancita con il referendum di giugno. Per giustificare la revisione al ribasso
dei parametri economici il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha infatti
tirato in ballo la debolezza delle economie dei mercati emergenti e il
nervosismo pre e post Brexit. Insomma, tentano di scaricare su fattori
congiunturali, che pur esistono ma che di certo si faranno sentire ancor di più
nei prossimi mesi, la loro incapacità a far uscire il Paese dalla crisi. Secondo
le stime più accreditate, infatti, quest’anno la crescita del Pil si fermerà
sotto la soglia dell’1%, due o tre decimali in meno di quanto previsto dal
governo nel Def dello scorso aprile.
martedì, luglio 26, 2016
RIFORMA CHE DIVIDE E MILIARDI CHE MANCANO, QUESTI I RISULTATI DEL GOVERNO RENZI
di Giacomo Stucchi
Che il governo in carica non sia all’altezza della
situazione lo sosteniamo da tempo ma adesso che i risultati della sua azione si
stanno rivelando straordinariamente disastrosi, e nonostante questo una parte
del Parlamento preferisce occuparsi di questioni come il divieto di cannabis,
c’è davvero di che essere preoccupati. In primis per quanto riguarda le tanto
decantate riforme. E’ inutile che a Palazzo Chigi si continui a menare il can
per l’aia in attesa di stabilire una data per il referendum costituzionale, che
sia la più favorevole possibile ai desiderata del governo, veniamo al dunque!
Una settimana o un mese in più non cambieranno di certo pregi, pochi, e difetti,
moltissimi, di una riforma costituzionale che sembra avere sempre meno padri.
Più passano le settimane, più sono evidenti a tutti i limiti della nuova carta
costituzionale e più si ingrossa il numero di coloro che non la voteranno;
soprattutto, poi, alla luce del combinato disposto con l’Italicum. Se è vero,
com’è vero, che la Costituzione deve essere considerata la “legge delle leggi”,
in quanto fonte di diritto, e come tale pensata per durare decenni e accomunare
quanto più possibile tutti i cittadini, la riforma Renzi-Boschi è invece già
vecchia, perché soggetta a molte critiche, anche autorevoli, ed è inoltre fonte
di divisioni nel Paese. Altro versante che preoccupa è poi quello economico. Al
governo servono diversi miliardi per scongiurare l'aumento dell'Iva, alcuni dei
quali si rendono necessari anche a causa di previsioni e di scelte sbagliate.
Soldi che, però, al momento mancano e che rendono quindi verosimile una manovra
in autunno o con una cancellazione degli impegni già assunti dal governo o con
un aumento delle tasse. In entrambi i casi si tratta di prospettive che, com’è
evidente, non potranno che deprimere ulteriormente un’economia che non si è mai
ripresa davvero dalla crisi. Famiglie e imprese continuano a essere in forte
difficoltà ma anche molto arrabbiate dopo le notizie su alcuni scandalosi e
ingiustificati stipendi in Rai, venuti fuori peraltro proprio nel mese in cui ai
cittadini è arrivato il canone da pagare in bolletta. Un fatto che la dice
lunga sulla volontà del governo Renzi di attuare una seria spending review.
venerdì, luglio 22, 2016
GARANZIE FUNZIONALI, STRUMENTO INDISPENSABILE PER L'INTELLIGENCE
di Giacomo Stucchi – Presidente del Copasir
‘La speciale causa di giustificazione’: in poche righe, l’espressione che definisce le garanzie funzionali per gli operatori del Comparto Intelligence è scandita quattro volte nell’art. 17 della Legge 124 del 3 agosto 2007, istitutiva del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. Non sono punibili gli agenti di AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e AISI (Agenzia informazioni e sicurezza interna) che, in presenza di determinati presupposti e in base a una specifica procedura posta a garanzia dei cittadini, pongano in essere condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate dal Presidente del Consiglio o dall’Autorità delegata. Una articolata e necessaria griglia di regole è finalizzata a esentare gli operativi di AISE e AISI da responsabilità penale per condotte che possono configurare ipotesi di reato. Prima della Legge 124, l’inchiostro del legislatore – la Legge era la 801 del 1977, per trent’anni la ‘Magna Carta’ dei Servizi – non aveva previsto questo tipo di tutele. Qualcuno obietta che per le ‘spie’ esisteva lo ‘scudo’ del segreto di Stato, ma la svolta – che dice indirizzo politico e strategico per uno strumento non convenzionale come l’Intelligence – è arrivata solo con la Legge 124. Anzitutto perché traccia una vision di fondo, riconoscendo che l’attività istituzionale dell’Intelligence tutela l’interesse nazionale. Viene riconosciuto che la sicurezza è il primo valore e l’impiego delle garanzie funzionali è mirato a questa tutela. La condotta degli uomini e donne dell’Intelligence nazionale, che operano con ‘l’autorizzazione’ del decisore politico, viene dunque ‘scriminata’ in funzione della necessità dell’attività operativa. Due i pilastri – criteri che reggono l’architettura delle garanzie funzionali e il loro ambito di applicazione: l’indispensabilità e la proporzionalità delle condotte antigiuridiche da realizzare per finalità informative. Le operazioni autorizzate «di volta in volta in quanto indispensabili alle finalità istituzionali» – è ancora una volta un fatto politico, non amministrativo – devono essere proporzionate al conseguimento degli obiettivi da raggiungere. Obiettivi, perciò, che senza tali condotte sarebbero «non altrimenti perseguibili». Ma non solo. Ogni operazione – che viene attivata dopo le dovute previsioni di possibili ipotesi di condotta di reato – è autorizzata in maniera preliminare. Ciò significa che le garanzie non sono poste in campo perché gli 007 facciano il bello o il cattivo tempo, ma per obiettivi istituzionali. È stato riconosciuto anche il criterio di progressività della condotta operativa. In pratica si prevedono più possibilità di tutela degli operatori, e le stesse garanzie diventano supporto alle attività mediante la previsione di condotte. Qui non centrano storie da black rain ma la capacità di agire ‘in dinamico’, come si dice nelle Agenzie. Oltre ad allungare il campo dell’operatività, questi strumenti consentono infatti di ‘portare a casa’ – e in sicurezza – dati e operazioni, in un piano d’azione nel quale il fattore umano del dispositivo resta la vera chiave del successo. E il perimetro delle garanzie per i cittadini è assolutamente rispettato. Nessun agente ha – o potrà mai avere – ‘licenza di uccidere’ o potrà «ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone». Il controllo parlamentare – attraverso il Copasir – assicura che non ci siano ‘deviazioni’. L’art. 33 della Legge 124 dispone che nella Relazione semestrale, il Copasir sia informato sulle operazioni condotte dai Servizi di informazione per la sicurezza nelle quali siano state poste in essere condotte previste dalla legge come reato. La dimensione sfidante dell’Intelligence resta una: cambiare le cose sul terreno. Le garanzie sono strumenti nel kit degli Intelligence officer, che sono – e devono restare – persone equilibrate, in quanto professionisti della sicurezza che si muovono sempre in una logica di servizio. Il Decreto legge 18 febbraio 2015, n. 7 – recante Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale – ha previsto l’ampliamento delle garanzie funzionali riconosciute agli appartenenti ai Servizi di informazione, escludendo la punibilità di una serie di condotte in materia di terrorismo (diverse dai reati di attentato o di sequestro di persona), commesse dal personale delle Agenzie – sempre per finalità istituzionali e previa autorizzazione del Presidente del Consiglio. Il limite temporale è stato posto al 31 gennaio 2018. Si può e si deve discutere se e come confermare la validità prorogandone l’efficacia. Sciogliendo, laddove possibile, qualche dubbio applicativo e approfondendo alcune tematiche. L’Intelligence offre informazioni corrette al decisore politico, e questo significa aiutare a vedere gli scenari esistenti dando la dritta giusta al momento giusto. Le regole d’ingaggio servono per gli operativi. Nell’ultima frontiera della democrazia – è la bellezza del limen – danzano differenza e scardinamento. Gli ‘addetti ai lavori’ sono uomini e donne dello Stato che dimostrano ogni giorno, e in silenzio, nei diversi teatri operativi, la fedeltà alle Istituzioni. Scriveva l’ammiraglio Fulvio Martini nel suo libro Nome in codice: Ulisse: «Questo è un mestiere da delinquenti, perciò deve essere fatto da gentiluomini». Di questi gentiluomini è piena la nostra Intelligence.
Prefazione al libro di Nicolò Giordana Scriminanti e garanzie funzionali. Tra legislazione d’Intelligence e Diritto penale militare, edizioni Lemma Press
giovedì, luglio 21, 2016
martedì, luglio 19, 2016
MENZOGNE E RETICENZE DEL PD NELLA CAMPAGNA REFERENDARIA
di Giacomo Stucchi
Nel Pd dicono di voler entrare nel merito della riforma costituzionale ma più
passano i giorni, più i No avanzano nei sondaggi, più il maggior partito di
governo passa dal dibattito alla propaganda. Molti cittadini, per esempio,
cominciano a chiedersi quale sia il vantaggio di mantenere un Senato
depotenziato e privo di poteri effettivi nell’approvazione di molte leggi; ma
anche quale sia la funzione dei suoi componenti, ovvero alcuni consiglieri
regionali, che sommerebbero i due ruoli di amministratore e di legislatore,
senza rispondere però all’elettorato ma al partito di provenienza. Insomma, il
ritornello dei tagli agli sprechi della politica e del miglioramento
dell’efficienza legislativa, che la narrazione renziana continua a raccontare,
non incanta più nessuno. Stupiscono, invece, le dichiarazioni di autorevoli
esponenti del governo e del Pd. Come quelle della ministra Boschi che in
incontri pubblici ha prima detto che "se si dice 'no' al referendum non ci sarà
la forza di ricominciare una nuova riforma costituzionale, in quanto non ci
saranno più le condizioni in Parlamento per approvarla"; e poi ha accostato la
necessità di riformare la costituzione con l’esigenza di vincere le sfide
dell'Europa, del terrorismo internazionale e di combattere l'instabilità.
Insomma, nel Pd si sta perdendo la bussola. Rimane un mistero, inoltre, la data
di celebrazione del referendum. Un enigma che non ha di certo contribuito a
risolvere il presidente del Pd, Matteo Orfini, che alle domande dei giornalisti a margine
di un convegno su quando si voterà è rimasto nel vago, sorprendendo
tutti però quando ha detto che si tratta di “una riforma che aspettiamo da
decenni” e sulla quale “molti hanno fallito nel tentativo di portarla a
compimento”. Chi ha un minimo di memoria storica di questo Paese, infatti, sa
perfettamente che un’altra riforma costituzionale è stata varata dal
centrodestra nel 2006. Purtroppo, però, un centrosinistra ottuso e
inconcludente ha fatto di tutto per boicottare il referendum su quella
riforma, fortemente voluta dalla Lega Nord, che rispondeva alla duplice esigenza
di un nuovo ruolo del Parlamento, con un Senato federale che non fosse solo il
doppione dell’altra Camera ma che si occupasse di specifiche materie, e di
nuovi poteri al Presidente del Consiglio.
lunedì, luglio 18, 2016
giovedì, luglio 14, 2016
IL GOVERNO ASPETTA IL REFERENDUM E IL PAESE AFFONDA
di Giacomo Stucchi
Che il voto al Senato sugli Enti locali non sarebbe stata l’occasione per una
resa dei conti nel Pd e nella compagine di governo era prevedibile, ma che da
questo passaggio si possa trarre la conclusione che l’esecutivo ne esca
rafforzato è un illusione. Del resto il sospiro di profondo sollievo tirato dai
dirigenti del Pd più vicini a Renzi subito dopo il voto a Palazzo Madama,
malcelato dietro a un florilegio di dichiarazioni rese alla stampa per
compiacersi della buona prova fornita dalla maggioranza, la dice lunga su quanto
instabile sia il quadro politico. Non fa poi molta differenza che i voti dei
verdiniani non siano stati determinanti, perché tanto è ormai acclarato che la
maggioranza parlamentare che tiene in vita il governo non ha corrispondenza
nell’elettorato e nell’opinione pubblica; e più i voti dei parlamentari vicini
ad Alfano risultano determinanti per la sopravvivenza del governo, più
quest’ultimo perde consenso tra gli elettori dello stesso Pd ma anche nel
Paese. La resa dei conti, quindi, è solo rinviata e verosimilmente avverrà dopo
il referendum costituzionale, la cui data di celebrazione peraltro rimane ancora
incerta. Solo dopo il responso della consultazione popolare sulla riforma Boschi
si capirà meglio il destino del governo in carica. Ma mentre le forze di governo
sono “concentrate” nei loro giochetti di potere, il Paese affonda. Basti pensare
che nel 2015, secondo l'Istat, le famiglie in condizione di povertà assoluta
sono pari a 1 mln e 582 mila e le persone a 4 mln e 598 mila (il numero più alto
dal 2005). L'incidenza della povertà assoluta, inoltre, cresce se misurata in
termini di persone (7,6% della popolazione residente nel 2015, 6,8% nel 2014 e
7,3% nel 2013). Questo perché riguarda le famiglie più numerose. Significativo
e allo stesso tempo preoccupante è poi il fatto che la povertà aumenti al
Nord, dove le condizioni di vita, soprattutto per chi vive in città, è anziano o
ha un basso reddito, sono diventate davvero molto difficili. Non sfugge a
nessuno che per venire a capo di queste difficili situazioni avremmo bisogno di
un governo capace, in grado di prendere il toro per le corna e venire
finalmente incontro alle esigenze delle imprese, che creano lavoro, e delle
famiglie che determinano i consumi. E invece "lor signori" aspettano il
referendum!
martedì, luglio 12, 2016
BYE BYE RENZI
di Giacomo Stucchi
Matteo Renzi, accortosi che l'atteggiamento “dopo di me il diluvio” non
paga, cambia registro e tenta di fare breccia nell’opinione pubblica
derubricando temi quali “il referendum, lo spacchettamento, il premio al partito
o alla coalizione” a cose “che interessano il futuro dei politici che sono
interessati alla loro seggiola, al loro posto, mentre alla gente interessano dei
posti di lavoro". Quanto sentite siano queste dichiarazioni o quanto dettate
da una necessità di cambiare strategia di comunicazione è facile intuirlo.
Tutti sanno che a impegnare per più di due anni il Parlamento sul tema delle
riforme istituzionali, di certo importanti ma non prioritarie rispetto alla
vera emergenza che era e rimane la crisi economica, è stato proprio Renzi. Tutti
ricordano che solo un paio di mesi fa, prima della batosta elettorale del Pd
alle amministrative, l’approccio del presidente del Consiglio a queste
questioni era ben diverso e di certo meno conciliante; e del resto egli è andato
avanti coi diktat alla minoranza del suo partito e agli alleati di governo che,
dinanzi alla minaccia di uno scioglimento anticipato del Parlamento, hanno
sempre approvato silenti tutto ciò che veniva loro proposto. Ma oggi il vento è
cambiato. Innanzi tutto per quanto riguarda la stessa leadership, che non è più
legittimata dalla percentuale di voti ottenuti del Pd alle elezioni europee ,
ma poi anche per il fallimento della politica del governo. Dall’economia alla
sicurezza, dalle riforme sociali a quelle istituzionali, infatti, i risultati
sono risibili. Ma i miliardi pubblici messi sul piatto per elargire bonus e
incentivi sono stati parecchi; e tutti a carico dei contribuenti che adesso,
giustamente, presentano il conto al premier. Che però, un pò come il lupo che
perde il pelo ma non il vizio, non rinuncia ai suoi annunci e anzi promette che
entro la fine dell'anno arriverà il decreto per dire "bye bye ad Equitalia".
Vedremo, per il momento l’impressione è che in molti stiano scendendo dal carro
renziano con la stessa velocità con la quale ci sono saliti a suo tempo. Se
poi, come appare possibile, al referendum costituzionale dovessero prevalere i
No allora saranno i cittadini a dire bye bye a Renzi.
domenica, luglio 10, 2016
giovedì, luglio 07, 2016
GRAZIE A RENZI STIAMO ANDANDO VERSO UN VICOLO CIECO
di Giacomo Stucchi
Non si fa mancare niente il governo Renzi in quest’estate infuocata. E quella
che doveva essere, nelle previsioni del premier, una lunga volata verso la
vittoria finale del referendum costituzionale si sta invece trasformando in
sabbie mobili che potrebbero inghiottire la maggioranza e l’esecutivo. In realtà
l’attuale esecutivo ha sempre avuto dei piedi d’argilla in Parlamento ma è
riuscito a tirare avanti con la minaccia del voto anticipato, che soprattutto i
parlamentari del Pd hanno cercato di allontanare per timore di non essere
ricandidati dal segretario-presidente. Ma adesso tutti i nodi stanno venendo al
pettine. E così, alla manifesta incapacità del governo di far uscire il Paese
dalla crisi economica e occupazionale e di saper varare una stagione di riforme
utili e condivise, anziché quelle fatte su misura per il governo stesso, si
aggiungono adesso le fibrillazioni politiche all’interno dei partiti di
maggioranza. Nel Pd, dove la minoranza interna ha ripreso vigore subito dopo il
deludente risultato delle elezioni amministrative e non è disposta a concedere
più nulla a Renzi, e negli alleati, i centristi, divisi tra chi vorrebbe
prendere subito le distanze dal governo e chi invece vorrebbe andare avanti. Il
paradosso è che l’ex sindaco di Firenze continua a dire ai suoi interlocutori
che lui “non si presta a giochi di Palazzo” e che dopo il suo governo “c’è solo
il voto”, ma dimentica che lui stesso sta a Palazzo Chigi a seguito di una
manovra in perfetto stile prima repubblica. La sensazione tuttavia è che, a meno
di scenari clamorosi, la maggioranza di governo miri a galleggiare ancora per
un po’, almeno sino a quando sarà celebrato il referendum sulla riforma
costituzionale. Ma anche su questo non ci sono certezze, perché si ha quasi
l’impressione che all’avanzare dei No nei sondaggi si allontani, in
contemporanea, la data del voto referendario. Insomma, Renzi sta portando il
Paese in un vero e proprio "cul de sac" dal quale sarà difficile uscire atteso
che, com’è noto, tra i pasticci legislativi di questo governo c’è anche quello
di aver fatto approvare una legge elettorale che vale solo per un ramo del
Parlamento.
martedì, luglio 05, 2016
PD ALLA RESA DEI CONTI ED ECONOMIA FERMA AL PALO
di Giacomo Stucchi
La Brexit ha solo rinviato il redde rationem nel Pd ma il durissimo scontro
nella direzione del partito ha reso, se possibile, la situazione ancora più
difficile di quanto si potesse immaginare; ma il clima pesante era già evidente
all’indomani del voto amministrativo che ha pesantemente penalizzato il Pd.
Renzi, nella sua analisi fatta ai parlamentari e ai dirigenti del maggior
partito di governo, ha continuato a minimizzare gli effetti del voto nelle città
ma l’impressione è che gli esiti della consultazione abbiano definitivamente
segnato un solco nei destini dell’esecutivo e fors’anche del premier. A
testimoniarlo il fatto che le critiche all’operato del segretario-presidente non
provengono più solo dalla minoranza (Bersani, Cuperlo, Speranza) ma anche dalla
maggioranza del partito (in primis dal ministro Dario Franceschini). Per l’ex
sindaco di Firenze adesso la strada è tutta in salita e i margini di manovra
sono stretti tra l’esito del referendum costituzionale, che nei sondaggi vedono
i No consolidare il loro vantaggio, e i condizionamenti di alleati di governo e
compagni di partito che non sono più disposti a concedere nulla all’inquilino di
Palazzo Chigi. In mezzo a tutto questo, purtroppo, ci sta però il Paese e i suoi
problemi che continuano a rimanere irrisolti. A cominciare dal fronte economico
che, come annuncia l’Istat evidenzia “segnali meno favorevoli provenire dai
consumi, dal clima di fiducia delle famiglie e dalle imprese dei servizi. In
questo quadro, l'indicatore composito anticipatore dell'economia italiana ha
segnato un'ulteriore discesa, prospettando un rallentamento nel ritmo di
crescita dell'attività economica nel breve termine". Insomma, un quadro
decisamente negativo che non lascia presagire nulla di buono neanche per il
futuro. Anche perché il Pd e gli alleati di governo, incuranti della tante
difficoltà esistenti nella vita quotidiana di cittadini e imprese, sono
impegnati solo a salvaguardare le attuali poltrone e a garantirsi quelle
future; e non sono certo interessati ad occuparsi dei problemi del Paese.