Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

venerdì, gennaio 29, 2010

STRASBURGO - 29/01/10 - CONSIGLIO D'EUROPA











giovedì, gennaio 28, 2010

QUANDO CERTI MAGISTRATI "DIMENTICANO" LA LEGGE

di Giacomo Stucchi

La protesta annunciata dall’Anm di far partecipare i magistrati alle cerimonie per l’inaugurazione dell’anno giudiziario con la toga addosso e la Costituzione in mano (per ribadire l’appartenenza all’ordine giudiziario indipendente e il rispetto della prima Legge), e di continuare poi facendoli andar via appena prenderà la parola il rappresentante del governo, è un modo efficace per simboleggiare un dissenso o è solo l’ennesima occasione di scontro con il Governo? Per rispondere alla domanda occorre anche fare mente locale alla storia degli ultimi anni, fatta tra l’altro di molteplici tentativi di riforma della giustizia che poche volte però hanno inciso davvero sul funzionamento del sistema e, soprattutto, sul grado di efficienza del quale alla fine dovrebbero essere per primi i cittadini a goderne i vantaggi. Il fatto è che oggi alcuni poteri dello Stato, ancorché regolati in ogni aspetto dalla Costituzione, che riconosce tra l’altro senza possibilità di equivoco l’indipendenza della magistratura ma anche il diritto del Parlamento a fare le leggi, fanno fatica a trovare un punto di equilibrio. Tra le norme della Carta, per esempio, sarebbe allora utile a tutti ricordare l’art. 101 della Costituzione che recita:“La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Un fatto imprescindibile al quale, forse, certi magistrati militanti dovrebbero pensare più spesso prima di dare fuoco alle polveri della protesta. Che sul fronte della giustizia molte cose non vadano è lapalissiano, viceversa non staremmo qui a discutere dell’argomento, ma quando un rapporto istituzionale, sinergico e strategico per il Paese, come quello tra potere esecutivo e legislativo, non riesce più ad andare avanti come dovrebbe le cause non sono mai a senso unico. In altre parole, se l’ostacolo ad un ammodernamento del sistema giustizia fosse davvero, come vaneggiano alcuni magistrati, spalleggiati dall’Idv di Di Pietro, Berlusconi (coi suoi guai giudiziari e i suoi conflitti d’interesse) ma anche il governo di centrodestra, allora non si capisce perché quando stavano a Palazzo Chigi Prodi (e prima di lui D’Alema, Amato e molti altri) non si sia mai trovato il modo di addivenire ad un vera riforma della giustizia! La verità è che l’attuale sistema giudiziario, sancito da una carta costituzionale redatta sulle ceneri di un Stato distrutto dalle conseguenze di una guerra disastrosa, è ormai obsoleto perché è anacronistica la Legge sulla quale si fonda. Inoltre, le mutazioni sociali, e i nuovi contesti nei quali oggi si trovano ad agire gli operatori della giustizia, necessitano di un nuovo approccio, fatto soprattutto di rapidità del procedimento giudiziario, oltre che naturalmente di certezza della pena. Quando si parla di queste cose, la maggior parte dei giudici è disposta a confrontarsi per il bene dell’importante compito istituzionale che svolgono, ma anche nell’interesse esclusivo di tutti i cittadini. C’è però una parte della categoria, in specie quella più politicizzata, che vede ogni tentativo di riforma della giustizia come ad un atto di lesa maestà! Allora, si potrà pure presenziare all’anno giudiziario con la toga addosso e la Costituzione in mano, ma con questo non si saranno certo affrontati i problemi della giustizia.

STRASBURGO: CONSIGLIO D'EUROPA







martedì, gennaio 26, 2010

ROMA:I SAPORI DELLA TRADIZIONE ITALIANA ARRIVANO DA MCDONALD'S. INCONTRO PATROCINATO DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
















GLI EFFETTI DEL RENDEZ-VOUS BERSANI-DI PIETRO

di Giacomo Stucchi

La conferenza stampa congiunta di Bersani e Di Pietro, che a Montecitorio si sono presentati ai giornalisti per annunciare l’intesa raggiunta “su 11 delle 13 regioni in ballo” ma anche di aver ripristinato la loro alleanza "che ripartirà dagli accordi per le regionali, ma che è destinata a proseguire nel tempo con lo scopo di dar vita a un'alleanza larga su cui costruire un’alternativa al governo delle destre”, potrebbe essere la più immediata deleteria conseguenza alle disfatte del Pd a Bologna e in Puglia. Una reazione del segretario del Pd, forse messa già nel conto, per venire fuori dall’angolo nel quale si era cacciato. Qualunque siano le ragioni che abbiano indotto Bersani ad un così plateale annuncio, il punto è capire se da questa rinnovata intesa tra Pd e Idv possa venire fuori il pericolo di un nuovo diffuso antiberlusconismo nell’opposizione, in generale, e nel Pd in particolare. Difficile dirlo con certezza, anche perché la vicenda di Bologna e il risultato delle primarie in Puglia non hanno un nesso tra loro, ma rischiano di essere ugualmente dirompenti nel futuro del maggior partito d’opposizione. Se è vero, infatti, che l’avversione al premier rimane, almeno da quindici anni a questa parte, l’unico collante in grado di tenere insieme il variegato mondo della sinistra, è altrettanto vero che il voto delle primarie per la scelta del candidato a governatore in Puglia sembra essere più una sconfessione da parte della base alle alchimie di Palazzo dell’attuale classe dirigente del Pd, soprattutto per quanto riguarda alcune scelte a livello locale, che non uno spostamento dell’elettorato di sinistra su posizioni estreme. Tuttavia è impossibile non riconoscere che la vittoria di Vendola (al quale va almeno riconosciuto di avere avuto il coraggio di andare avanti contro la nomenclatura del Pd), e le nuove rivendicazioni di Di Pietro, che dopo le dimissioni di Flavio Delbono già avanza una candidatura dell’Idv alla carica di sindaco di Bologna, effettivamente creano il rischio che alla fine a sinistra possa prevalere l’ala più giustizialista. Ma c’è di più. Paradossalmente, infatti, oggi nel sistema politico i settori più estremi dell’opposizione, quelli che vanno appunto da Sinistra e Libertà all’Italia dei Valori (con i fiancheggiatori di Repubblica), risultano essere i più conservatori. Essi mirano cioè a non cambiare nulla del vecchio sistema. Dalla giustizia all’assetto istituzionale più in generale, tutto deve rimanere com’è per garantire ai vecchi boiardi di Stato, e alle logiche spartitorie da Prima Repubblica, di continuare ad esistere tali e quali. Sotto l’ombrello del pericolo di una presunta dittatura berlusconiana, che è poi la più grossa balla del secolo, nel più classico stile comunista, che consiste tra l’altro nel ripetere all’infinito una menzogna sino a quando questa non venga percepita dall’opinione pubblica come una verità, è possibile che ad approfittare del caos, oggi regnante sovrano nel Pd, siano proprio coloro che non vogliono alcun cambiamento, per mantenere vecchi privilegi e sistemi di potere. Per costoro il governo di centrodestra, e il suo programma di riforme, costituiscono infatti il peggior nemico possibile, da combattere sino in fondo.

giovedì, gennaio 21, 2010

IL PD ABBANDONI L'ANTIBERLUSCONISMO DI MANIERA

di Giacomo Stucchi

“La destra ha fatto la scelta peggiore che poteva fare, che farà restare senza giustizia migliaia di persone. Noi combatteremo con molta forza alla Camera e forse in questo passaggio potranno risultare più chiari gli effetti di questo provvedimento e potrà essere fatta qualche valutazione in più anche dalla maggioranza”. Queste le parole del segretario del Pd Bersani all’indomani della protesta inscenata dalle opposizioni al Senato in occasione dell’approvazione del disegno di legge sul “processo breve”, che in realtà sarebbe meglio definire “per un processo in tempi giusti”. Un commento, espresso tra l’altro nel giorno del dibattito alla Camera sulla relazione del ministro della Giustizia Alfano sull’amministrazione della giustizia, che la dice lunga sul tipo di approccio che il Pd ha deciso di avere in Parlamento sul tema della riforma della giustizia. La sensazione è che il maggior partito di opposizione, anche su questo, sia diviso tra chi non vorrebbe sprecare l’occasione di riformare davvero il sistema giustizia, e chi invece è fortemente tentato a non far nulla, limitandosi a cavalcare il solito antiberlusconismo di maniera. Il Ddl sul processo breve, per esempio, deve ancora debuttare alla Camera e solo dopo l’approvazione a Montecitorio sarà sottoposto all’attenzione del presidente della Repubblica per la promulgazione. Eppure nell’opposizione c’è chi continua ad invocare Napolitano affinché faccia delle esternazioni sul provvedimento, che sarebbero non solo inopportune ma anche contrarie alla Costituzione. Il fatto è che, a sinistra, la Carta viene sempre interpretata in modo che ruoli e funzioni dei massimi organi istituzionali vengono sempre tirati in ballo quando e come fa comodo. Nel caso in questione un giudizio del presidente della Repubblica su una legge che deve essere ancora votata da un ramo del Parlamento sarebbe infatti un’aberrazione costituzionale, ma confidiamo in Napolitano, e nel suo equilibrio istituzionale, affinché le regole vengano rispettate sino in fondo. Sarebbe positivo inoltre, in primis per i cittadini, che l’avvicendarsi della scadenza elettorale del prossimo mese di marzo (con tutti i temi sul tappeto che essa comporta), ma anche le pressioni esercitate da una parte della magistratura, non si traducessero nell’ennesima occasione di scontro e non influissero su quello che invece dovrebbe essere un sereno e franco dibattito sul grande tema della riforma del sistema giudiziario. Il dialogo politico, infatti, se finalizzato all’adozione di decisioni concrete a favore di tutti i cittadini, non dovrebbe mai cessare. C’è però il concreto rischio che il Pd, alla disperata ricerca di consensi elettorali, nelle prossime settimane acuisca lo scontro politico pur di impedire ulteriori “sfondamenti” nell’elettorato di sinistra da parte dell'Idv di Di Pietro, che basa tutta la sua politica sull’antiberlusconismo. Sul piano politico e istituzionale tale atteggiamento, oltre a far perdere tempo prezioso, rischia di far passare in secondo piano il tema principale di tutta la legislatura, che è quello delle riforme. Quando il Pd attacca a testa bassa il premier e il governo, perdendo di vista le priorità delle cose da fare, relega il proprio ruolo nell’inutilità di un’opposizione fine a se stessa, che ha solo lo scopo di inseguire l'ex pm sul terreno da lui preferito del giustizialismo.

martedì, gennaio 19, 2010

NESSUNA ALLEANZA CON CHI GUARDA AL PASSATO

di Giacomo Stucchi

Può un movimento, qual è quello della Lega Nord, nato tra l’altro per guardare costantemente al futuro, accettare compromessi che si ispirano a politiche e strategie del passato in stile Prima Repubblica? Assolutamente no. E’ questo, crediamo, il tema di fondo che contraddistingue il Carroccio da tutte le altre forze politiche. Non siamo degli ingenui e sappiamo che la politica è l’arte del possibile, ma ci sono delle colonne d’Ercole (ovvero il rispetto del patto coi propri elettori) che la Lega non varcherà mai! Ecco perché ogni ragionamento sulla possibilità di alleanze con l’Udc (il partito che mira solo alle poltrone, senza scegliere se stare o di qua o di là), come ha opportunamente sottolineato il nostro Segretario Federale Umberto Bossi, non solo non ci interessa ma rischia soltanto di farci perdere del tempo prezioso in una campagna elettorale che si annuncia già ricca di contenuti. Primo fra tutti il ruolo delle regioni che, nel sistema federalista al quale da sempre lavora la Lega, sono determinanti per lo svolgimento di tutte quelle funzioni istituzionali e amministrative che devono essere decentrate. Sarebbe ora, quindi, che in occasione delle elezioni regionali della prossima primavera, si abbandoni sia l’approccio ideologico (che caratterizzò la seconda metà degli anni Settanta, quando destra e sinistra si scontravano per la funzione da attribuire alle regioni), sia quello opportunistico (che invece fu in auge per tutti gli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, quando soprattutto il cosiddetto “pentapartito” la faceva da padrone nella spartizione del potere). Per quanto ci riguarda, le elezioni del 2010, dopo la fase di transizione degli ultimi anni, dovranno invece segnare finalmente il rilancio delle Regioni intese come fulcro politico, istituzionale e amministrativo, nell’ambito di un nuovo sistema che guardi al federalismo fiscale come strumento per la piena attuazione dell’autonomia locale rispetto al centralismo romano. Le Regioni che vogliamo non dovranno quindi essere né dei moltiplicatori della spesa pubblica, né il trampolino di lancio per Tizio o Caio, ma dei presidii di efficienza amministrativa e di garanzia della libertà, a tutela soprattutto degli interessi di tutti i cittadini padani. Messa così la questione, forse, può essere più facile, per alleati e avversari politici, comprendere perché la Lega Nord non può acconsentire a politiche dei due forni e doppigiochismi di varia natura, che snaturerebbero sia il nostro programma politico e amministrativo, sia la natura stessa dell’alleanza con il Pdl. All’interno del quale, come è ovvio, possono coesistere diverse sensibilità riguardo al tema delle alleanze per le prossime regionali. Tuttavia, ogni qual volta si guardi a questo aspetto, bisogna però sempre considerare che la posta in palio non consiste solo nel destino di questo o di quel partito, ma nel futuro di un Paese che da troppo tempo aspetta radicali riforme e profondi cambiamenti.

giovedì, gennaio 14, 2010

BERSANI, IL SEGRETARIO DOUBLE-FACE

di Giacomo Stucchi

“Siamo favorevoli, e lo ribadisco, da domattina a ragionare di riforme di sistema, compresa la giustizia per tutti i cittadini”. E’ quanto ha detto, tra l’altro, il segretario del Pd Bersani, in Calabria per la campagna elettorale. Tali dichiarazioni però arrivano dopo una settimana di lavori parlamentari durante la quale l’atteggiamento double-face del segretario del Pd Bersani l’ha fatta da padrone. Il capo del maggiore partito di opposizione, infatti, prima di Natale, forse sull’onda dell’indignazione per la vile aggressione al premier in Piazza Duomo a Milano (che col passare dei giorni nelle persone di buona volontà si è poi trasformata in speranza per un concreto cambiamento dell’atteggiamento distruttivo sino ad allora avuto dal centrosinistra nei confronti del Governo), si era detto disponibile ad un dialogo, in generale, ma anche alla riforma della giustizia intesa come una priorità. Poi però, alla ripresa dei lavori parlamentari, Bersani ha dissotterrato l’ascia di guerra (che probabilmente però non era stata mai sotterrata più di tanto!) è si dichiarato contrario a mettere mano a qualsiasi tipo di riforma, tanto meno quella del sistema giudiziario. Insomma, alla luce di quanto accaduto, ma soprattutto di quanto detto dal leader del Pd, viene da chiedersi quale sia il Bersani a quale dare credito. Quello condizionato dalla lobby che rappresenta gli interessi di certa magistratura contraria alle riforme, che verosimilmente oggi rappresenta l’ala più conservatrice di tutto il sistema del Paese, e quindi disposta a tutto pur di dispiegare tutta la sua forza dissuasiva? Oppure quello del segretario messo alle corde da un’intera classe dirigente, la quale, a sua volta, è molto preoccupata per il possibile responso delle urne in primavera, che si annuncia per niente incoraggiante? Come se non bastassero i suddetti problemi, Bersani è poi impantanato in alcune situazioni locali (dal Lazio alla Puglia) che lo hanno costretto, nel migliore dei casi, all’immobilismo totale. In questa situazione, quindi, è logico che l’Aula parlamentare, ma anche le Commissioni, diventino la valvola di sfogo di gran parte delle frustrazioni del Pd. Sicché i luoghi che per definizione, ma soprattutto in base alla Costituzione, dovrebbero essere quelli deputati alla ricerca della sintesi delle diverse posizioni politiche, diventano ancora una volta terreno di scontro. Secondo un copione già noto in questa legislatura, l’estremismo pretestuoso delle posizioni dell’Idv fa poi da effetto moltiplicatore all’ostruzionismo del Pd che sul fronte dell’antiberlusconismo non vuole rischiare di cedere altri pezzi di elettorato a Di Pietro. Insomma, preso purtroppo atto che la pausa natalizia non ha portato consiglio all’opposizione, ci chiediamo se il Pd vuole solo far perdere del tempo prezioso al Parlamento oppure desidera mettersi al lavoro per fare davvero le riforme che servono al Paese.

martedì, gennaio 12, 2010

IMMIGRAZIONE, CHE C'ENTRA LA SOLIDARIETA' CON L'ILLEGALITA'?

di Giacomo Stucchi

Sul piano politico la conseguenza più grave dei fatti di Rosarno è l’atteggiamento di una parte della sinistra, e della stampa ad essa favorevole, che continua nel consueto giochetto dello scarica barile delle responsabilità. Il tentativo, infatti, è quello di attribuirle al governo in carica, e in primis al titolare del ministero dell’Interno Roberto Maroni, per i disordini di questi giorni. Gli scontri in Calabria, invece, non c’entrano nulla con la politica dell’Esecutivo sul fronte dell’immigrazione ma semmai hanno la loro origine nella situazione di illegalità esistente in quella regione, contro la quale le amministrazioni locali di centrosinistra non hanno fatto nulla. Il ghetto di Rosarno infatti non nasce certo negli ultimi anni, ma è il frutto dell’utilizzo nelle campagne di una manovalanza a basso prezzo che a livello locale è sempre stato tollerato da tutti. Come si può quindi attribuire al governo la colpa per una situazione che invece, oltre ad essere pregressa, è stata favorita dalla negligenza altrui? Ma c’è di più. Una stampa politicamente schierata, e quindi in mala fede, unitamente a una parte dell’opposizione di centrosinistra, non perde occasione per attribuire alla Lega Nord le solite patenti di razzismo tutte le volte che il Carroccio, in Parlamento o in altre sedi, prende posizione sugli immigrati o si fa promotore di provvedimenti concreti che mirano a garantire il rispetto della legalità e la sicurezza di tutti i cittadini. Se il nostro obiettivo di lotta senza quartiere a qualsiasi forma di illegalità, che peraltro si sta concretizzando anche nell’azzeramento di molte organizzazioni criminali proprio nel sud del Paese, può dare fastidio a coloro che invece sono abituati a conviverci, non si tratta di un nostro problema ma soprattutto non c’entra nulla il razzismo e la xenofobia. Tanto è vero che la rivolta degli immigrati non è avvenuta al nord, dove la Lega ha i suoi maggiori consensi elettorali e amministra centinaia di città, ma al sud. Dalle nostre parti infatti molti immigrati, oltre a lavorare in regola, contribuiscono alla crescita delle aziende che li impiegano e si sono perfettamente integrati, al punto che i più fortunati hanno potuto anche comprarsi una casa. Non vogliamo fare di tutta un’erba un fascio, ma è innegabile che i malesseri e le tensioni sociali allignano e proliferano laddove c’è l’illegalità diffusa. Ecco perché la tolleranza e la solidarietà non devono essere confuse con altri aspetti. Chi va in piazza per manifestare la propria vicinanza agli immigrati, deve quindi essere consapevole che senza la legalità, e il rispetto delle più elementari norme di civile convivenza, non si può accogliere nessuno senza mettere a rischio la sicurezza comune. Si tratta di un punto imprescindibile, condiviso dalla maggioranza dei cittadini, rispetto al quale non arretreremo mai di un millimetro.