Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

martedì, luglio 24, 2007

Governo Prodi, pessimo esempio anche per i più giovani

di Giacomo Stucchi

Oggi è molto di moda avere una seconda vita su internet. Si proprio così, attraverso la rete è infatti possibile costruirsi una seconda identità e farla interagire con altri “navigatori” che, a loro volta, stanno al gioco. Sarà per la crisi dei valori, quali l’amicizia o la solidarietà, o per il sopravvento della disillusione tra i giovani, fatto sta che ai ragazzi sembra piacere di più il mondo virtuale rispetto a quello reale. D’altra parte come dargli torto se nessuno, tra i governanti, presta loro un minimo di attenzione? Tra le tante bufale del Governo in carica, che in un poco più di una anno ne ha collezionate una quantità e una varietà da record, una in particolare riguarda proprio i giovani, il loro futuro pensionistico. Frase magica sulla quale Prodi e i suoi compagni di ventura si sono arrovellati il cervello per mesi e mesi per addivenire poi alla conclusione di trasformare lo “scalone” di Maroni negli “scalini” e di aumentare di qualche spicciolo le pensioni minime, giusto per qualche caffè in più al bar durante il mese. Per l’immediato, è tutta qui la “grande manovra” sociale ed economica del governo Prodi. Tutto il resto è silenzio. Anzi no, tutto il resto è caos. Perché dei provvedimenti annunciati, quali ad esempio la totalizzazione dei contributi o il riscatto della laurea, per venire incontro alle prossime generazioni di pensionati, se ne parla a livello di mere enunciazioni di principio. Ed è sulla base di queste dichiarazioni, anziché su quella dei numeri e delle prospettive concrete, che sì è raggiunto l’infausto accordo tra Governo e sindacati. I quali, a loro volta, dicono di non capire perché la sinistra radicale non vuol condividere questo “punto di svolta”. Ma svolta di che? Hanno appena firmato uno straccio di intesa e, un minuto dopo, sono tutti lì a rimangiarsela. Adesso poi, con questa storia dell’elenco dei lavori usuranti, ovvero quelle categorie di lavoratori che dovrebbero andare in pensione con 3 anni di anticipo, è cominciato il solito squallido e italico gioco del fregare il prossimo. Perché sarebbe stato troppo semplice stilare una casistica chiara ed inequivocabile; no, come al solito, si è deciso di restare nel vago per poter promettere sino all’ultimo a questa o a quella categoria, a fini puramente elettorali, il miraggio della pensione subito. Come se non bastasse, dopo la fatidica notte dell’accordo a Palazzo Chigi tra Prodi e i sindacati (finita non a tarallucci a vino ma a cornetti e cappuccini), il giorno dopo abbiamo dovuto ascoltare le dichiarazioni dei soliti Giordano e Diliberto, rispettivamente di Rifondazione comunista e dei Comunisti italiani, che sono sempre tormentati tra l’istinto dei rivoluzionari popolari (al quale peraltro non crede più nessuno) è quello, forse meno nobile ma di certo più concreto, del tenersi a tutti i costi ben salde le poltrone. E che poltrone! Come fare a tenersele e, nello stesso tempo, far credere ai cittadini di battersi per le loro pensioni? Eh già, è proprio un bel rebus, sulla soluzione del quale i due segretari si cimenteranno come compitino per le vacanze. Nel frattempo, però, ci permettiamo di suggerire loro un disinteressato consiglio; come quello, per esempio, di ritirare la delegazione ministeriale. Basterebbe questo per vincere quella battaglia contro i “poteri conservatori” che, a parole, dicono di voler combattere ma che nella realtà si guardano bene dal fare. Almeno, siano sinceri coi loro elettori e dicano:”In campagna elettorale vi abbiamo promesso delle cose irrealizzabili. Il Governo di centrosinistra non è in grado di mantenere queste promesse ma, tuttavia, non possiamo farlo cadere perché così si ridarebbe la parola al corpo elettorale e questo ci rimanderebbe a casa almeno per i prossimi trent’anni”. Siamo sicuri che lo apprezzerebbero di più. Il punto è che in un epoca già di per sé avara di valori ideali ai quali, soprattutto i più giovani, si possano ispirare, questo Governo (oltre a tutti i danni che sta provocando in economia, nel sociale, nella giustizia, nella sicurezza, nella politica estera) si è rivelato anche un pessimo esempio di opportunismo e ipocrisia, oltre che di attaccamento alla poltrona, come pochi altri nella storia repubblicana. Con il Professore a Palazzo Chigi, che idea della politica potranno mai farsi i nostri ragazzi? Sicuramente pessima.

mercoledì, luglio 18, 2007

Prodi KO, ma l’arbitro lo tiene in piedi

di Giacomo Stucchi

Se la politica fosse un ring e il presidente del Consiglio in carica uno dei due pugili, l’arbitro avrebbe dovuto già da tempo decretare il ko tecnico. Ma, purtroppo, al Professore viene concesso di continuare sino alle estreme conseguenza. Tra gli ultimi “ganci”, che avrebbero steso qualunque capo di Governo, con un minimo di scrupolo e coscienza, i moniti del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che ha detto che “il tesoretto” non va speso ma utilizzato per la riduzione del debito, e quello dell’Istat sui conti pubblici. In occasione dell’audizione sul Dpef il presidente dell’istituto di statistica, Luigi Biggeri, ha infatti sottolineato il trend negativo della spesa pubblica che, nel 2006, ha superato la soglia del 50 per cento del PIL, per la prima volta in dieci anni. In particolare, l’anno scorso (ovvero quello che ha segnato il ritorno di Prodi a Palazzo Chigi) “la spesa pubblica complessiva è cresciuta del 7,9 per cento rispetto all’anno precedente”. Tutti questi numeri servono a confermare, qualora a qualcuno non fosse ancora chiaro, che l’avvento al Governo del centrosinistra comporta, come del resto anche la storia ci insegna, un aumento quasi automatico dello sperpero del denaro pubblico. Perché dire che la spesa pubblica è aumentata oltre il 50 per cento del PIL, potrebbe anche essere una buona notizia se però, parallelamente, migliorassero i servizi pubblici. Ma, da qualche mese a questa parte, non si vede nemmeno l’ombra di un miglioramento nei trasporti, nella sanità, nella qualità delle utenze. Anzi, ci sono intere regioni (come la Campania, la Puglia e la Calabria), anche quelle purtroppo nelle mani di amministratori di centrosinistra, dove la spazzatura arriva ai primi piani dei palazzi, le città sono nelle mani dei delinquenti e i giovani hanno ripreso ad andare via dalla loro terra. Un po’ diverso, invece, il caso della Padania. Che vorrebbe avere le mani libere per risolvere i problemi da sè, visto che Roma pensa solo a scialacquare, ma non gli viene consentito da un Governo accentratore e statalista che ormai ha perso il controllo sul suo territorio. Continuare a tenere in piedi questo Esecutivo potrebbe significare, infatti, decretare al più presto la rottura degli equilibri democratici e isituzionali che, sino ad oggi, hanno retto grazie al grande senso di responsabilità di tutti i cittadini. In altre parole, Prodi non può continuare a fare orecchie da mercante e dire che non è successo niente quanto tutte le maggiori istituzioni, dall’Istat alla Banca d’Italia, dalla Corte dei Conti a l’Unione europea, continuano a bocciare senza tregua la politica economica del suo Governo. Ma che aspetta a passare la mano? Che la gente scenda in piazza con i forconi? Persino la ministro Bonino ha detto che così non si può andare avanti e che Prodi deve scegliere tra la politica statalista e comunista, della sinistra radicale, o quella più moderata e liberale dell’ala riformista della coalizione. Ma lui, come al solito, non ha fatto niente. Si è limitato a tessere le lodi della Bonino, come se questa avesse posto un problema di carattere personale. Non è finita. Abbiamo appreso che, forse, sulla tanto contesa riforma delle pensioni (che ha portato alle finte dimissioni dell’esponente radicale) ci sarà una proposta del presidente del Consiglio. Tutti ne parlano, tutti ipotizzano cifre, quote, coefficienti, ma di sicuro non c’è nulla. Qualunque sia la proposta di Prodi, gli intimiamo comunque due avvertimenti: il primo, di natura politica, di non blindare la riforma senza dare la possibilità al Parlamento di assolvere al suo ruolo di ratifica delle leggi; il secondo, di natura finanziaria, di assolvere una volta per tutte al dovere che ha di fare chiarezza sui conti dello Stato. Perché, come è ormai diventata un’abitudine con questo sciagurato Governo, i conti pubblici sono diventati una specie di altalena che sale e che scende a seconda di chi la spinge. Oggi ci sono i soldi per abolire lo scalone, domani quelli per le pensioni minime, dopodomani, invece, scompaiono sia per l’uno che per l’altro provvedimento.

lunedì, luglio 16, 2007

Già dimenticato il monito di Napolitano

di Giacomo Stucchi

L’ultima volta che ce ne siamo occupati è stato più di un anno fa in un nostro intervento su la Padania, subito dopo l’elezione delle massime cariche della Repubblica. Poi, più niente. Non perché non ci fossero commenti da fare, o perché il problema non si fosse più ripresentato, ma semplicemente perché un pudore istituzionale ci ha consigliato di lasciar perdere e soprassedere sul fatto che da più di un anno la Repubblica, più che sul lavoro, è fondata sui senatori a vita. Che si dilettano, sia che si tratta di eleggere il presidente della loro Assemblea, o che ci sia da esprimersi con un voto decisivo sulla riforma della giustizia, ad interpretare il loro ruolo con uno scrupolo e una militanza da far invidia al più bravo dei presidenti dei gruppi, che magari qualche volta deve tribolare coi suoi colleghi parlamentari per farli stare in aula. Certo tra il parlamentare eletto e il senatore a vita c’è una bella differenza, il primo (anche per onorare un obbligo morale coi suoi elettori prima che col suo partito) deve essere sempre presente in aula; mentre il secondo lo è solo nei passaggi parlamentari più difficili, magari quando le ambiguità e le contraddizioni insite all’Unione sono talmente evidenti che proprio non esiste nessun margine né per un accordo né per un compromesso. E allora che si fa? Si corre ai ripari. Non ci sono i numeri parlamentari per far passare un provvedimento? Niente paura, basta telefonare ai senatori a vita e questi arrivano in soccorso. E quando alla capogruppo al Senato dell’Ulivo, Anna Finocchiaro, fanno notare che anche sulla giustizia il Governo si è salvato per un senatore a vita, lei risponde:”Questa faccenda è insopportabile. Fini e Berlusconi hanno dimenticato che il 18 maggio 1994 il voto di fiducia finì 158 a 159 grazie ad Agnelli, Leone e Cossiga”. E’ vero, aggiungiamo noi, ma il fatto è che il primo Governo Berlusconi, al quale fa riferimento la Finocchiaro, assunse decisioni che non sono minimamente paragonabili alle gravi responsabilità che Prodi e i suoi accoliti si stanno prendendo in questi mesi di permanenza a Palazzo Chigi. La verità è che non si è mai visto un Governo reggersi per tutto questo tempo sui voti dei senatori a vita. I quali peraltro lo sono diventati certamente per meriti acquisiti, nei loro rispettivi settori di competenza, ma non possono continuare ad usare questa loro credibilità per limitare i danni delle contraddizioni di una coalizione che invece di credibilità non ne ha per nulla. Mai come in questo periodo si registra infatti un’uniformità di analisi da parte di tutti gli istituti demoscopici che da mesi concordano nel registrare un indice di popolarità, sia della maggioranza di centrosinistra sia del presidente del Consiglio in carica, praticamente in discesa libera. Una tendenza che nemmeno l’annunciata disponibilità del sindaco di Roma Veltroni, a candidarsi alla guida del neo partito democratico, è servita peraltro ad invertire. Quindi, se l’operato della maggioranza non è gradito ai cittadini, va da se che quest’ultimi non vedano di buon occhio nemmeno l’sos dei senatori a vita che contribuiscono a tenere in piedi la baracca. Inoltre, i dirigenti dell’Unione hanno già dimenticato che una delle condizioni poste dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per poter rinviare alle Camere il governo Prodi, dopo la rovinosa caduta dello scorso inverno, era proprio quella di avere una maggioranza politica senza l’ausilio dei senatori a vita. Più chiaro di così! E allora, ciò che è “insopportabile” non è la legittima richiesta di chiarezza istituzionale, prima che politica, da parte dell’opposizione, ma, al contrario , l’ostinazione con la quale da parte del centrosinistra si vuol portare avanti sino alle estreme conseguenze un’anomalia politica e parlamentare che da tutti, in primis il presidente Napolitano, è riconosciuta tale. Il fatto è che l’obiettivo di Prodi, e compagni, completamente disinteressati ad affrontare e risolvere i problemi dei cittadini, è invece sempre quello di tirare a campare, magari ancora per i prossimi mesi. Superato lo scoglio della giustizia è più che probabile, infatti, un rinvio a settembre della più grossa questione delle pensioni. Ecco perché, sé è legittimo che i senatori a vita continuino con il loro voto a tenere a galla l’Esecutivo, lo è altrettanto, e sicuramente a maggior ragione, la richiesta da parte dei cittadini di ritornare prestissimo alle urne.

mercoledì, luglio 11, 2007

QUEI TG SCANDALOSI DELLA RAI



di Giacomo Stucchi

Non siamo certo nati ieri e perciò sappiamo come vanno certe cose, ma certi telegiornali, come quello del Tg 3, hanno veramente dello scandaloso. Non siamo neppure degli ingenui e sappiamo bene che l’informazione, sia pubblica che privata, è a volte edulcorata. Non a caso si parla di emittenti, e quotidiani, più vicini al centrodestra e di altri più inclini al centrosinistra. Ma il caso Rai tv è una patologia che non ha eguali nel mondo occidentale. Per decenni la televisione di Stato ha potuto godere del monopolio in virtù del fatto in questo modo era possibile, almeno così si pensava, adempiere al servizio pubblico dell’informazione. Che sarebbe stato tale se fosse stato pluralista e se avesse dato spazio, quindi, a tutte le voci politiche, sociali e culturali. E invece, nella Rai tv, per molto tempo del pluralismo non c’è stata una traccia, un segnale, un minimo esempio. Con la nascita delle tv privata, che si è fatta spazio con le unghie e coi denti, ma che è stata anche favorita dalla reticenza e dalla negligenza di Parlamento e Governo (che negli anni Settanta e Ottanta hanno lasciato che il mondo radiotelevisivo crescesse nel caos totale) si è così dato vita al sistema che noi oggi tutti conosciamo. Solo così è stato possibile un certo pluralismo; ma la RAI, che è finanziata coi soldi dei cittadini tramite il canone, continua ad essere uno scandalo, soprattutto per la faziosità dell’informazione e, qualche volta, la mistificazione della realtà a danno dell’utenza. L’altra sera, per esempio, intorno alle 23,00, il Tg 3 annunciava “il raggiungimento dell’accordo sulle pensioni”. Ebbene, sono saltato sulla poltrona. Ho pensato che sindacati e Governo, giacché ormai se ne discute da quasi un anno senza trovare una via d’uscita, avessero abolito lo scalone Maroni e trovato i soldi, chissà dove (magari con una maxi stangata ai possessori di panfili in Costa Smeralda), per far andare la gente in pensione in anticipo. Dopo i titoli di apertura ho quindi continuato ad ascoltare il telegiornale con attenzione per apprendere, qualche minuto dopo, che l’annuncio del giornalista si riferiva in realtà all’aumento di qualche spicciolo per le pensioni più basse. Ora, non è forse questo un esempio di disinformazione? Ma quello citato è solo l’ultimo caso di una lunghissima lista. Da quando il sindaco di Roma ha deciso di concorrere alla guida del Pd, per esempio, ci sono stati moltissimi servizi del Tg 3 che hanno “informato” i cittadini addirittura sugli spostamenti in treno di Veltroni, dell’arrivo al Lingotto di Torino di Veltroni, della salita sul palco di Veltroni, delle donne che piangono alla fine del discorso di Veltroni; ci mancavano solo, ma forse perché era finito il tempo a disposizione, le immagini del ritorno a casa di Veltroni. D’accordo che il primo cittadino di Roma è un cultore di alcune grandi personalità, ma qui più che a Kennedy ho l’impressione che ci si ispiri a Fidel Castro. Stiamo attenti a questo culto della personalità, finanziato coi soldi pubblici. La Rai, non solo il Tg 3 ma tutta la Rai, è dello Stato e certo è veramente singolare che, dopo decenni di storia, occorra ricordarlo. Chi ci dice, per esempio, che i farneticanti monologhi di Celentano su Rai Uno, spudoratamente a sfavore della Cdl e pronunciati a ridosso del voto dell’aprile 2006, non abbiano contribuito a spostare quel poco di voti che sono serviti a favorire la sventurata vittoria di Prodi e dei suoi alleati? A sinistra, ci si scandalizza tanto per i telegiornali di Emilio Fede, che sarebbero di parte, ma intanto a) quando i leader del centrosinistra sono invitati ad intervenire al Tg 4 quasi tutti (tranne Prodi, per la verità) ci vanno volentieri; b) ritorniamo al punto di prima, si tratta di un tg di un emittente privata che si finanzia coi proventi pubblicitari. Ciò non significa che non deve rispettare le norme sull’informazione, e anche quelle deontologiche, ci mancherebbe altro; ma se sbaglia qualcosa non deve dare conto ai cittadini, i quali decidono liberamente, senza essere obbligati a pagare un euro, se seguirlo o meno. Per la Rai invece non è così. I cittadini sono obbligati a pagare un canone e se no lo pagano possono anche essere perseguiti, la differenza non è da poco.

martedì, luglio 10, 2007

Le strategie per tirare a campà...



di Giacomo Stucchi

Parlare a nuora affinché suocera intenda. E’ quanto stanno facendo da un po’ di tempo alcuni mass-media che, sino a qualche mese fa, erano fiancheggiatori di Prodi e del centrosinistra. Quest’ultimi, capito ormai da tempo che il Governo in carica ha il fiato corto, e che né il Professore né altri possono allungargli più di tanto la vita, sono quindi corsi ai ripari. In che modo? In primo luogo, contribuendo a tirare fuori “l’asso nella manica”, ovvero il sindaco di Roma Walter Veltroni, sul quale tra l’altro (da quando il nostro ha deciso di competere come leader del Pd) sono state pubblicate pagine piene di amenità; in secondo luogo, mettendo in atto una strategia di comunicazione che serva a preparare, al probabile futuro candidato premier, il terreno. Come? Semplice, basta far dire ad un opinionista o ad un grand commis di Stato, al di sopra delle parti politiche, ciò che invece nessun leader del centrosinistra (da Prodi a Veltroni) può dire senza creare il cataclisma nell’eterogenea alleanza. In altre parole, certe dichiarazioni servono a far capire alla sinistra massimalista che, prima o poi, con Prodi o con Veltroni, alcune decisioni (come quelle di ammettere le cose buone fatte dalla Cdl) vanno prese. Si spiegano così il “clamoroso”, nonché tardivo, riconoscimento della validità della riforma Maroni e, da ultimo, l’intervista pubblicata su “Repubblica”, al rappresentante italiano nel Consiglio della Banca Centrale Europea, Lorenzo Bini Smaghi. ”Sul deficit e le pensioni – si legge tra l’altro nell’articolo pubblicato dal quotidiano - non è in gioco solo il bilancio, ma la credibilità dell’intero impianto di politica economica europea. L’Italia è già in coda alle classifiche Ue sulla rigidità dei mercati, l’ingerenza pubblica nell’economia, la ricerca e lo sviluppo, le infrastrutture, la corruzione, il funzionamento della giustizia. Forse – continua Bini Smaghi – l’unica eccezione è il mercato del lavoro, dove negli ultimi anni sono state fatte riforme che hanno ridotto il tasso di disoccupazione sotto la media europea”. Ora, per quanto ci riguarda, da anni andiamo dicendo che Bruxelles in alcun modo può limitare le libertà politiche, economiche e sociali dei singoli Stati membri, e quindi il fatto di essere in coda alle classifiche Ue non è, di per sé, rilevante. Tuttavia le affermazioni di Bini Smaghi meritano attenzione perché denunciano l’ingerenza pubblica nell’economia, la mancanza di infrastrutture, il cattivo funzionamento della giustizia. Bini Smaghi però non è un politico e quindi si limita ad una analisi di ciò che non funziona; ma fatta la diagnosi, spetta poi alla politica trovare la cura. Una cura che i Governi Berlusconi, con l’azione determinante della Lega Nord, nella passata legislatura avevano già cominciato a somministrare: all’economia, con l’introduzione della scalone nelle pensioni; alla politica e alle istituzioni in generale, con la riforma costituzionale; alla giustizia, con la riforma Castelli; alla sicurezza, con la Bossi-Fini; al mercato del lavoro; con la legge Biagi. Certo, si è trattato di fare scelte difficili (alcune anche impopolari), impegnative per lo Stato e per i cittadini, ma il vantaggio era quello di vedere una luce in fondo al tunnel, di uscire una volta per tutte da questa perenne transizione della quale non ne può più nessuno. Poi è arrivato quel maledetto aprile 2006, la vittoria sul filo di lana (ammesso che di vittoria si possa parlare) dell’Unione, l’insediamento a Palazzo Chigi dell’armata Brancaleone guidata (si fa per dire!) da Romano Prodi e tutti siamo ritornati nel buio pesto. Oggi, da un lato, è ormai conclamato che il centrosinistra, a prescindere da chi lo guida, non è in grado di governare a causa della variegata galassia di partiti e di movimenti che lo costituiscono; dall’altro lato, nessuno, tra gli alleati di Prodi, si assume la responsabilità di buttarlo giù dalla torre per il timore, direi quasi certezza, di non essere più rieletti. Allora, avranno pensato gli strateghi dell’Unione, meglio pensarci prima e preparare da subito l’elettorato (ma anche gli stessi partiti) all’ineluttabilità di alcune decisioni. Un lavoro difficile, complicato, ma probabilmente studiato a tavolino; che la dice lunga su come, dalle parti del centrosinistra, si sia veramente arrivati alla frutta. Tutti, da Bertinotti a D’Alema, sono infatti più o meno consapevoli che se fallisce Walter, l’artefice delle “notti bianche” romane e nulla più, tutto andrà a carte quarantotto.
Tratto da LA PADANIA del 10 luglio 2007

mercoledì, luglio 04, 2007

Veltroni e le follie del centrosinistra

di Giacomo Stucchi

Che triste destino quello di Prodi, legato com’è ad una continua lotta contro il tempo e contro i suoi stessi ministri; ma questa volta la sua avventura a Palazzo Chigi potrebbe davvero essere arrivata al capolinea. Almeno a giudicare dall’impegno che tutti i mass-media che fiancheggiano il centrosinistra hanno messo nell’evocare il miracolo-Veltroni; così come dei cosiddetti poteri forti, che a suo tempo si spellarono le mani per sponsorizzare il Professore, e che adesso ci accingono a diventare veltroniani di ferro. Se c’è ancora della logica in ciò che accade dalle parti del centrosinistra, la dichiarata dsponibilità di Walter Veltroni a guidare il partito democratico, l’investitura ufficiale prevista nel prossimo mese di ottobre e il successivo avvio del tour per “riconquistare” un Italia sconfortata e delusa da Prodi, dovrebbero infatti essere tanti tasselli di un unico puzzle: scioglimento anticipato delle Camere ed elezioni politiche nella primavera del 2008. Ma c’è dell’altro. Immaginare infatti una vita più lunga di questo governo, così come della legislatura, rende incomprensibile la discesa in campo del sindaco di Roma. E verosimile che il primo cittadino della Capitale si faccia rosolare a fuoco lento, per uno o due anni, duranti i quali con l’aria che tira quel poco di credibilità che rimane all’Ulivo andrebbe del tutto compromessa, avendo così praticamente preclusa ogni possibile rimonta? E’ illogico crederlo ma, considerate le ultime mosse del centrosinistra, non si può escludere che accada. Inoltre, la situazione è già talmente difficile che bisogna avere una dose di ottimismo ciclopica per pensare di risalire la china già adesso, figuriamoci poi tra un paio d’anni. Comunque, fosse di pochi mesi o di un paio d’anni la vita dell’esecutivo e della legislatura, e pur ipotizzando che l’avvio della campagna elettorale di Veltroni serva a far risollevare davvero il gradimento dell’Ulivo nell’opinione pubblica, nel frattempo il centrosinistra cosa intende fare? E come pensa di conciliare le sue decisioni di governo con le inevitabili prese di posizione di Veltroni? Per quanto tempo ancora, per esempio, Giordano e Diliberto hanno intenzione di chiedere l’abolizione dello scalone, il ministro del Tesoro negarlo, e i due compagni minacciare una fuoriuscita dal Governo che però non arriva mai? Oppure, sino a quando si continueranno a prendere per i fondelli i proprietari degli immobili con questa falsa promessa della riduzione dell’Ici (che in un primo momento si parlò addirittura di eliminare) quando invece, conti alla mano, viene fuori che tale abbattimento non si discosterà di molto da quello che già molti Comuni praticano e che comunque riguarderà solo una fascia di reddito? E che ne pensa il sindaco di Roma, che non perde occasione per evocare il mito di grandi capi di Stato democratici e liberali, del fatto che il viceministro per l’Economia Vincenzo Visco, indagato per abuso d’ufficio e minacce all’ex comandante generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale, per aver chiesto il trasferimento di quattro ufficiali responsabili delle indagini su Unipol, resti tranquillamente al suo posto e non avverta la minima necessità di dimettersi? E ancora, il leader in pectore del partito democratico ritiene normale che in uno Stato nel quale vige il principio costituzionale della separazione dei poteri, giudici e pm scioperino contro la riforma dell’ordinamento giudiziario e, per protestare contro il governo, si dimettano dalla giunta esecutiva dell’Associazione nazionale magistrati? Per la verità tale reazione non ha niente a che vedere con il trattamento riservato al guardasigilli del governo Berlusconi, Roberto Castelli, che su tutte le contumelie che gli sono state rivolte quando era ministro ha potuto persino scriverci un libro. Ma adesso il tempo potrebbe dargli ragione, perché se il disegno di legge non sarà approvato entro il 31 luglio, sarà proprio la sua riforma ad entrare in vigore. Ma a rincarare la dose di confusione totale ha già provveduto il ministro Antonio Di Pietro che sul ddl di riforma dell'Ordinamento giudiziario ha aggiunto: "Il centrosinistra e la Cdl oggi come oggi ritengono di fare una norma che limiti l'indipendenza della magistratura. Questo non e' accettabile. Se le cose stanno così io sto dalla parte dei magistrati". Roba da manicomio.

martedì, luglio 03, 2007

Nel 2008 i conti pubblici potrebbero fare il “botto”

di Giacomo Stucchi

Ecco, ci risiamo. Il solito vizio dei governi statalisti e centralisti, tipici della della Prima Repubblica, e dei quali peraltro il centrosinistra ha una collaudata esperienza, torna prepotentemente a galla. Come? Con l’ultimo Dpef, presentato la scorsa settimana, che è l’emblema di come non si dovrebbe fare la politica economica e finanziaria in un Paese serio, o normale (come direbbe il vice premier D’Alema). Dopo l’enfasi e i roboanti annunci del presidente del Consiglio Prodi e del suo ministro del Tesoro, Tommaso Padoa Schioppa, che addirittura avevano parlato di “svolta”, cominciano adesso a venire fuori i numeri. Che dicono come le spese che pesano sui conti 2008, ma che non sono ancora conteggiate nel bilancio dello Stato, ammontano alla stratosferica cifra di 21 miliardi di euro. In pratica, se questo documento lo avesse presentato un amministratore delegato, di una qualsiasi azienda privata, avrebbe rischiato seriamente di finire in galera. Ma siccome parliamo dei soldi dei cittadini, tutto è permesso. A lanciare l’allarme sui conti pubblici ci sono anche autorevoli giornali, come il Corsera (che non può certo considerarsi vicino al centrodestra), che sottolinea come “Il bilancio a legislazione vigente al quale si rifà l’esecutivo – si legge in un articolo pubblicato dal suddetto quotidiano – non richiederebbe manovre correttive per portare il deficit del 2008 al nuovo obiettivo del 2,5%. Solo che in quel bilancio, come spiega il Tesoro nel Documento di Programmazione appena diffuso, molte spese già maturate non ci sono perché ne manca il presupposto giuridico: c’è l’accordo politico, non la legge. Anche se non c’è il minimo dubbio che la stragrande maggioranza, se non proprio tutte, siano spese da onorare”. In altre parole, a detta del Tesoro (e non della Lega Nord!) nel documento appena presentato da Palazzo Chigi mancano tutte le spese frutto dei mille accordi politici necessari a tenere insieme la maggioranza del centrosinistra. Insomma, se non è un falso poco ci manca. Si parla di “spese irrinunciabili”, quali gli aumenti degli stipendi del pubblico impiego, i nuovi ammortizzatori sociali e, come se non bastasse, quelle derivanti da accordi internazionali. Ci sono poi le spese cosidette “consolidate”, ovvero “certe ma che, sia pure con pochi margini di manovra, devono essere quantificate con esattezza nella sessione di bilancio, come i contratti di servizio con le imprese pubbliche, i fondi per le infrastrutture e, ancora, i rinnovi contrattuali dei pubblici per il biennio che scatta dal 2008, ma il cui costo non è stato ancora quantificato dal Tesoro”. Altro che “svolta”, se qualcuno non ferma questi incoscienti dell’Unione saranno i cittadini a dover provvedere di tasca loro a risanare le voragini che Prodi e compagni stanno provocando nelle casse pubbliche. Ma non è finita, ci sono ancora da conteggiare gli sgravi per l’Ici, quelli sugli affitti, che dovrebbero scattare dal prossimo anno, e tutte le altre iniziative “sociali” che la sinistra radicale si inventerà nelle prossime settimane (come potrebbe essere, per esempio quella folle sull’abolizione dello scalone pensionistico). Insomma, ce ne abbastanza per essere molto preoccupati tanto sul futuro dei conti pubblici quanto su quello delle tasche dei contribuenti. Se tutte le suddette misure non verranno coperte da altrettanti tagli alla spesa pubblica (ipotesi della quale francamente dubitiamo, a meno che Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi cambiano rotta politica o escono dal Governo) la pressione fiscale non potrà che aumentare. Dulcis in fundo, ci sono poi le incongruenze tra il Dpef e lo schema di disegno di legge delega sul federalismo fiscale. Basti pensare alla sicurezza, all’autonomia tributaria degli enti locali, ai servizi ambientali, ai poteri in materia di mobilità e traffico. Si fa un gran parlare di questi temi nei convegni, nei dibattiti parlamentari e in tutte le occasioni nelle quali serve buttare un po’ di fumo negli occhi dell’opinione pubblica (soprattutto di quella particolarmente esasperata, come lo è quella del Nord) ma poi al momento di fare sul serio ci si tira clamorosamente indietro.
Tratto da LA PADANIA del 3 luglio 2007