Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

giovedì, giugno 28, 2007

Riforma pensioni? Già fatto!

di Giacomo Stucchi

E’ giunto il momento di ammettere ciò che anche un bambino sa, ovvero che non si possono accontentare le richieste di una parte dell’Unione, che vorrebbe addirittura l’eliminazione dello scalone, con la necessità di far quadrare i conti dello Stato. Sicchè, sarebbe ora che il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e il ministro del Tesoro, Tommaso Padoa Schioppa, dicano chiaramente ai cittadini che non esistono molte alternative alla riforma approvata a suo tempo dalla Cdl e prendano atto del totale fallimento della politica economica, fiscale e sociale del loro sciagurato governo. D’altra parte se nemmeno Cgil, Cisl e Uil, i cui segretari, smentendo le dichiarazioni di ottimismo del Professore, avevano peraltro anticipato un forte scetticismo sulla possibilità di chiudere presto la trattativa (chiarendo che i margini per un’intesa su mercato del lavoro, previdenza e Dpef si erano ridotti), se la sono sentita di dar credito a questo governo, che adesso si trova nei guai sino al collo, a che serve continuare a tirarla per le lunghe? Perché con la scadenza della presentazione del Dpef, da un lato, e i soliti mastini di Bruxelles, dall’altro lato, che vorrebbero che l’extragettito fosse utilizzato solo per risanare il deficit, per Palazzo Chigi i margini di manovra si fanno davvero stretti. Per non parlare poi delle lotte intestine alla maggioranza sugli interventi da attuare. Siamo giunti quindi alla resa dei conti? E’ ancora presto per dirlo. Certo, l’accordo coi sindacati sulle pensioni è una condicio sine qua non affinché Prodi possa sperare di andare avanti almeno un per pò, ma più in generale è sull’utilizzo del cosiddetto tesoretto, del quale si parla ormai da mesi (anche se nessuno ne conosce l’esatta entità), che si addensano un gran quantità di nubi. Come se non bastasse, la Corte dei Conti ritiene "incerto" il grado di permanenza dell'extragettito derivante dalla lotta all'evasione e mette in guardia sull'utilizzo per maggiori spese in corso d'anno "di risorse di dubbia affidabilita'". Morale della discussione, che fare? Boh, come al solito nessuno lo sa. "Il governo sta valutando ulteriori proposte, al fine di giungere alla conclusione di un percorso che già si basa su importanti punti di condivisione" - afferma Silvio Sircana, a nome dell’Esecutivo – ma, al di là della diplomazia, e comunque vada a finire questa vicenda, il fatto è che nella coalizione di centrosinistra nessuno vuol ammettere che la questione delle riforma delle pensioni è un problema al quale il governo Berlusconi ha già dato a suo tempo una soluzione. Tuttavia, poiché la sinistra radicale ha preso i voti promettendo agli elettori che avrebbe eliminato lo scalone (cosa peraltro possibile a patto che, sempre la stessa sinistra radicale, chiarisca dove intende recuperare i soldi necessari) adesso non vuole prendere atto della realtà delle cose e continua ad avere, rispetto al problema, un atteggiamento più ideologico che pragmatico. Anche i sindacati (che certo non possono rimanere indietro rispetto alle richieste della sinistra) sono costretti ad assumere una posizione altrettanto intransigente. In realtà, chiunque abbia un po’ di buon senso, sa perfettamente che la riforma Maroni, che peraltro prevede già i meccanismi per eventuali modifiche o miglioramenti, è un punto fermo del quale non si può prescindere. Ecco perché tutta questa trattativa, tra governo e parti sociali, è una inutile manfrina che non dà ai lavoratori nessuna certezza. Perché si mette in discussione una legge dello Stato, ovvero la riforma della Cdl che ha introdotto lo scalone, ma non si trova un alternativa che mette d’accordo tutti ma, soprattutto, che sia conciliabile con le esigenze di bilancio. La cosa migliore che possiamo quindi augurarci per i cittadini, che giustamente si chiedono che cosa sarà del loro futuro a partire dal prossimo anno, se potranno andare o meno in pensione, è che tutto resti com’è.
Tratto da LA PADANIA del 28 giugno 2007

martedì, giugno 26, 2007

Sbagliato “abboccare” all’esca dell’Unione

di Giacomo Stucchi

Sarà perché si è aperta la stagione della pesca, fatto sta che l’annuncio della discesa in campo del sindaco di Roma, Walter Veltroni, ha per il momento avuto come risultato quello di far abboccare alcuni pesci della Cdl. Già, perché sostenere, come è stato fatto nei giorni scorsi, che l’eventuale candidatura a premier di Veltroni cambia le carte in tavola anche per quanto riguarda la leadership della Cdl, ho l’impressione che sia una mossa tanto ingenua quanto improvvida. Ingenua, perché chi fa queste osservazioni non si rende conto di fare il gioco dell’avversario politico, che in un momento in cui si trova in uno stato di coma profondo, politicamente s’intende, non vede l’ora di rianimarsi con un bella disputa in casa d’altri; che magari serva anche a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai disastri del Governo. Improvvida, perché da qui alle elezioni anticipate manca ancora tanto tempo; e in ogni caso, al momento, se c’è qualcuno che deve inseguire l’altro, questi non è di certo la coalizione di centrodestra. Tutto ciò premesso, c’è però sicuramente dell’altro. Lo diciamo con circospezione, senza polemica nei confronti di nessuno. Proprio perché non vogliamo fare il gioco altrui, tanto meno dei nostri avversari politici. Ci sono almeno un paio di ragioni che dovrebbero portare a più miti consigli chi, tra gli alleati di centrodestra, non ha mai smesso (un giorno si e l’altro pure) di mettere in discussione la guida della coalizione. La prima, i numeri. In politica sono inesorabili e questi dicono che dal 1994, ovvero anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi, il leader di Forza Italia, tra alti e bassi, ha sempre avuto il consenso popolare. Certo, è difficile immaginare cosa sarebbe la Cdl al nord senza la Lega che, sempre numeri alla mano, alle ultime Amministrative non solo ha dimostrato di essere in ottima salute ma ha determinato la vittoria di molti candidati della Cdl; ma sarebbe incauto, oltre che privo di senso della realtà, negare che a) Berlusconi è il leader della Cdl b) senza la Lega il centrodestra non va da nessuna parte. La seconda ragione risiede nella logica delle cose. Come dicevamo prima, che senso ha fasciarsi la testa prima ancora di essersela rotta? La candidatura di Veltroni, prima alla guida del Pd e poi, eventualmente, a premier, è un fatto che riguarda soltanto il centrosinistra. In alcun modo può interessare la Cdl. Per quanto ci riguarda, poi, il primo cittadino di Roma potrebbe avere più problemi di Romano Prodi, da un lato, alla guida dell’Unione e, dall’altro lato, ad intercettare i voti perduti. Perché? Innanzi tutto perché è il sindaco della Capitale e, in questo momento, l’ultima cosa che ci vuole per far recuperare i consensi del nord al centrosinistra è un uomo che, piaccia o no, rappresenta in Padania tutto quello contro il quale abbiamo sempre combattuto. Come ha già fatto notare il segretario federale della Lega, Umberto Bossi, è molto difficile che Veltroni possa prendere i voti del nord; e senza questi, nessuno può conquistare Palazzo Chigi. In secondo luogo perché se al Professore è stata data almeno una chance di provarci, a tenere insieme le mille anime del centrosinistra, a Veltroni, a giudicare dai primi “amorevoli” messaggi che esponenti della sinistra radicale gli hanno già inviato, non è mica detto che venga concesso lo stesso privilegio. Ma c’è un altro aspetto che né i giornali fiancheggiatori della candidatura di Veltroni, che hanno già avviato la campagna elettorale a suo favore con ossequiosi servizi a tutta pagina (quasi che quest’uomo venisse dalla luna a scoprire le magagne della terra), né alcuni sondaggi sulla cui obiettività ci sarebbe molto da discutere, si guardano bene dal far notare: l’attività amministrativa non certo entusiasmante della quale il Nostro ha dato prova nei molti anni trascorsi alla guida della Capitale. Si dice che l’aspirante leader del Pd sia popolare. Ora, io non so come e dove certi sondaggi vengano fatti; ma posso dire che quando vado a Roma, e mi capita di sentire la gente per strada, non mi pare che ci sia tutto questo apprezzamento per l’Amministrazione capitolina. Di problemi irrisolti Roma ne ha parecchi; per cui se il sindaco, dopo tanti anni, non è riuscito a venirne a capo, perché gli elettori dovrebbero pensare che egli possa riuscire prima a tenere insieme l’Unione, che già di per se è un opera titanica, e poi a rimediare ai disastri fatti da Prodi in appena dodici mesi di governo? La verità è che l’arma Veltroni è come una pallottola a salve, cioè assolutamente innocua. Sempre che qualcuno nella Cdl non contribuisca a trasformarla in piombo!

Tratto da LA PADANIA del 26 giugno 2007

giovedì, giugno 21, 2007

Tutti pentiti i detrattori della riforma del Carroccio

di Giacomo Stucchi


Di tanto in tanto torna prepotentemente alla ribalta il dibattito sulle riforme istituzionali e, inevitabilmente, sul referendum popolare del 2006. Tutte le volte che questo succede, il sottoscritto, e come me credo tutto il popolo della Lega Nord, che si è battuto andando in giro quasi porta a porta per convincere i cittadini dell’importanza di votare a favore di quella riforma, non può che provare un forte rammarico per l’occasione mancata. Tanto più poi che, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in altri interventi, il risultato della consultazione non è stato omogeneo in tutto il territorio ma, come si dice, a macchia di leopardo. In particolare al nord, poi, sono stati di più i “si”. Pertanto, se fosse dipeso dalla Padania, la riforma costituzionale sarebbe già una realtà. A chi oggi dimostra di avere la memoria corta ricordiamo che quella riforma prevedeva, tra l’altro, una forte riduzione del numero dei parlamentari, la rimodulazione dei poteri del premier, il superamento del bicameralismo perfetto. C’era insomma tanta di quella carne al fuoco da poter cambiare davvero questa Repubblica, e il suo sistema istituzionale, che adesso tutti disconoscono. Però, appena un anno fa (non un secolo addietro!), ricordo perfettamente le parole di Rutelli, Fassino, Bertinotti, D’Alema, Mastella,e compagnia bella, quando sostenevano che se fosse passata quella riforma si sarebbe scardinata la Repubblica e si sarebbe andati verso l’oblio. E adesso? Oggi tutti pronti a dire che la Carta costituzionale è incartapecorita e necessita di una messa a punto. Ma come, sino ad un anno fa veniva considerata quasi un Vangelo e ora è da buttare? Come si può assistere, in un lasso di tempo così ristretto, ad un capovolgimento di fronte così radicale? Tutto questo dà l’idea di che tipo di classe dirigente ci sia nel centrosinistra. Tutti d’accordo a sputare sentenze sulla riforma voluta dal Carroccio, e approvata a suo tempo dalla Cdl in entrambi i rami del parlamento, e poi, dopo nemmeno un anno, tutti pentiti di aver buttato alle ortiche quella straordinaria occasione di cambiamento. Povero Romano Prodi, non lo invidio per nulla. Coi suoi alleati io non prenderei nemmeno un caffè, figuriamoci poi delle decisioni che coinvolgano il destino del popolo. Gìà, il destino del popolo. Non si tratta di una esagerazione ma di un fatto concreto. Aver boicottato nel 2006 la riforma costituzionale, che già oggi avrebbe potuto cominciare ad entrare a regime, significa avere sprecato tempo e risorse dei cittadini. Ai quali bisognerebbe spiegare chi non ha voluto che fosse ridotto il numero di deputati e senatori e, di contro, chi si è battuto per la permanenza dell’attuale elefantiaca e dispendiosa macchina parlamentare. Si tratta di temi sui quali si dibatte ormai da più di quindici anni, durante i quali la storia infinita delle riforme istituzionali è diventata una tela di Penelope: coi conservatori di questo regime, che sono trasversali alle forze politiche, sempre pronti a disfare quanto di buono viene pazientemente costruito da chi invece, come la Lega Nord, da sempre si batte per un reale cambiamento. Altro che lenzuolate di Bersani e referendum di Segni e Guzzetta, se il centrosinistra non avesse boicottato la riforma costituzionale della Cdl, oggi noi avremmo compiuto il più grande passo riformatore della storia repubblicana. L’Unione, oltre al disastroso anno di governo appena passato, ha quindi sulla coscienza anche il niet alle riforme che, se approvate con il referendum, oggi avrebbero aperto nuove prospettive al popolo, innanzi tutto, ma anche alle forze politiche nel loro complesso. E invece no, stiamo qui a parlare di provvedimenti che non hanno futuro perché non ha futuro il Governo che li propone; stiamo qui a discutere di riforma pensionistica, della quale Prodi non conosce però le cifre dato che Palazzo Chigi non è in grado di quantificare neppure a quanto ammonta, in termini economici, l’abolizione tout court dello scalone; ci troviamo insomma in una situazione politica che è diventata surreale, con un Esecutivo incapace di decidere ed una maggioranza che non gli stacca la spina per paura di prendere la scossa, che potrebbe rivelarsi fatale.

Tratto da LA PADANIA del 21 giugno 2007

martedì, giugno 19, 2007

Offese le istituzioni? “Ma mi faccia il piacere!”

di Giacomo Stucchi


Torna il caldo e le pagine dei giornali si riempiono delle “rivelazioni” di finanzieri pentiti che tirano in ballo presunte imbarazzanti dichiarazioni di questo o di quel personaggio politico. Noi non partecipiamo a questo gioco per un motivo molto semplice, che consiste nel non ritenere le migliori possibili, dal punto di vista dell’attendibilità e della serenità d’animo, le condizioni psicologiche di chiunque versi in uno stato di detenzione e perciò “incentivato” a dire di tutto e di più pur di tirarsi fuori dalla galera. Ecco perché le dichiarazioni a verbale di Ricucci, come di qualsiasi altra persona, al di là della ghiottoneria giornalistica (per i nomi tirati in ballo) lasciano, per quanto ci riguarda, il tempo che trovano. A maggior ragione poi se, come nel caso in questione, l’inchiesta giudiziaria è stata chiusa senza alcun tipo di riscontro, penalmente perseguibile, per le persone chiamate in causa. Se poi qualcuno, tra costoro, se la sente di ingaggiare un braccio di ferro con questa o con quella Procura, con questo o con quel magistrato, si accomodi pure. Ma sia coerente, perché certe battaglie, che hanno la presunzione di difendere dei sacrosanti principi (come quello della tutela della privacy) vanno combattute sempre e per chiunque. Ciò detto, nei giorni scorsi c’è stato anche un altro fatto che ha dato modo ai soliti osservatori benpensanti di scendere in campo coi loro anatemi in difesa della democrazia e del rispetto delle istituzioni e dei suoi sacri luoghi. Mi riferisco alla protesta dei deputati della Lega Nord alla Camera che, occupando i banchi del Governo, hanno sventolato la prima pagina de la Padania che recava il titolo: “Fuori dalle balle”. Una protesta per manifestare in Aula lo sdegno che, anche a nome dei cittadini padani si prova per questo Governo, che offende il popolo mille volte di più di qualsiasi intemperanza parlamentare. Altro che ingiurie alle istituzioni, la verità è che questo Esecutivo non ha neppure un po’ di ritegno per non aver mantenuto neppure una delle promesse fatte. La verità è che Prodi e i suoi ministri non provano vergogna nel prendere in giro i cittadini e l’Unione europea quando dicono, per esempio, di essere in grado di presentare in tempo l’istanza per ottenere i finanziamenti europei per l’alta velocità ferroviaria ma non indicano però il tracciato dell’opera. “Per quello ci sarà tempo”, hanno detto nel corso dell’ennesima inutile e caotica riunione. Il fatto è che il tracciato non viene indicato perché, tanto per cambiare, sinistra radicale e Ulivo non sono d’accordo in quali territori debba ricadere. Sicché, pur di non perdere i soldi del finanziamento, la domanda verrà presentata ma nessuno ha la più pallida idea di dove passerà il tracciato. La verità è che il Professore, che ormai si defila persino dai faccia a faccia con l’opposizione, per paura delle forti contestazioni che da tempo accompagnano ogni sua uscita pubblica, non arrossisce per la vergogna quando continua a predere in giro milioni di cittadini con i suoi fantomatici provvedimenti. L’ultima balla è il “progetto giovani”, che assomiglia tanto ad uno slogan pubblicitario di una nota banca, da giorni in onda su tutte le radio e le televisioni. Chissà, forse il Governo si sarà ispirato. Sta di fatto che, come al solito, si annuncia un provvedimento ma nessuno sa in che cosa consiste. E che dire dei proclami sulla riduzione dell’Ici, o della riforma delle pensioni, o dell’innalzamento di quelle più basse, o dei fondi alla ricerca e alla pubblica istruzione: parole, parole, soltanto parole. Era il ritornello di una canzone d’altri tempi ma, purtroppo, è diventato anche il leit motiv degli ultimi mesi. Del resto i primi a non prendere più sul serio il presidente del Consiglio sono gli stessi suoi sostenitori, alcuni dei quali, sfilando a Roma per il Gay Pride, hanno letteralmente preso a male parole il Professore i suoi compari di governo. Tante male parole che in confronto il “fuori dalle balle” della Lega è quasi un complimento. Ecco perché a chi critica il gesto dei deputati del Carroccio, rispondo come avrebbe fatto Totò: “Ma mi faccia il piacere!”
Tratto da LA PADANIA del 19 giugno 2007

lunedì, giugno 18, 2007

I “no” di Sarkozy all’Unione europea

di Giacomo Stucchi


Lo avevamo scritto un mese fa su la Padania e lo ripetiamo oggi: Prodi e i suoi ministri vadano dal presidente della Repubblica francese Sarkozy ad imparare almeno qualcosa su come si governa. Sono passate infatti appena poche settimane dalla vittoria elettorale del leader del centrodestra, e ancora meno dal suo insediamento all’Eliseo, eppure l’effetto Sarkozy si fa già sentire. Segno che, quando si è credibili (ovvero quando si dà seguito coi fatti alle cose che si dicono) tutto può davvero accadere. Dobbiamo riconoscerlo, Francia docet. Le prime mosse del presidente francese, che alcuni maligni e detrattori di professione avevano criticato per aver preso qualche giorno di vacanza per riposarsi dallo stress della campagna elettorale, non solo si è messo subito all’opera ma lo ha fatto nel solco delle cose dette in campagna elettorale e sulle quali aveva avuto i voti dei suoi concittadini. Così, nei confronti dell’Unione europea, ha messo subito le carte in tavola. Già nel corso della prima partecipazione all’Ecofin del neo-ministro dell’Economia, Jean-Louis Borloo, si è avuta chiara la volontà del presidente francese di mantenere gli impegni annunciando l’adozione di provvedimenti su: riduzione delle tasse, defiscalizazzione degli interessi sui mutui e delle ore straordinarie (una misura che serve ad incentivare il lavoro e non a deprimerlo), riduzione delle imposte sulle società, riduzione delle imposte sulle successioni. Dinanzi a tanta determinazione Bruxelles non ha potuto fare altro che prendere atto della decisione del capo di Stato transalpino di voler attuare una politica economica che non si faccia strozzare dai lacci e laccioli dell’Unione europea ma, al contrario, che serva a soddisfare le più immediate esigenze delle imprese e dei contribuenti francesi. Hai voglia a dire “le regole valgono per tutti”, come ha fatto il presidente dell’Eurogruppo, Junker, o, come invece ha lasciato intendere il presidente della Banca centrale Trichet, che le regole del patto di stabilità non possono essere messe tra parentesi; Sarkozy ha subito messo in chiaro ai rappresentanti delle istituzioni comunitarie che per lui il rilancio dell’Unione passa da un trattato semplificato e dalla mobilitazione di investimenti al servizio del lavoro e della crescita, ma anche da un Patto di stabilità che non sia un ostacolo alla politica fiscale promessa agli elettori francesi. In altri termini, senza stare a fare troppi giri di parole, egli ha detto chiaro e tondo agli euro burocrati che tiene all’Unione ma non a costo di rinunciare ai diritti dei cittadini francesi. Tutto questo non può che essere musica per le orecchie di chi, come il sottoscritto, tanto alla Camera quanto nell’ambito delle rappresentanze parlamentari in seno alle istituzioni comunitarie, si è sempre battuto per una maggiore tutela dei diritti dei cittadini e contro un’Unione europea che calpesta le sovranità dei singoli Stati membri. E’ da molto tempo che sosteniamo questi concetti e adesso che un capo di Stato, con tutto il prestigio e il peso che la sua posizione comporta, si muove in questa direzione, non possiamo fare altro che compiacercene. Peccato che questo nuovo corso del presidente francese in Europa stia, almeno per il momento, quasi passando inosservato dalle parti di casa nostra. Dove invece siamo costretti, per forza di cose e anche a causa di una vetusta Costituzione, che non risponde più alle esigenze di una democrazia moderna e del suo popolo, ad assistere all’ennesima pantomima al Senato. Mentre i problemi dei cittadini languono, in attesa di soluzioni che mai arrivano, un Governo nato asfittico (che un’irresponsabile coalizione di centrosinistra continua a tenere in vita, per paura di tornare a votare) si cimenta nell’ennesima farsa trascinando le istituzioni nel baratro e il popolo nello sconforto.

lunedì, giugno 04, 2007

Le bugie di Prodi sono come il Watergate

di Giacomo Stucchi


La discussione e il voto al Senato della mozione sul ritiro delle deleghe al vice ministro Visco, durante la quale è facile prevedere un dibattito tanto sui risvolti dell’improvvido trasferimento degli ufficiali della Guardia di Finanza, quanto sul siluramento del generale Speciale, ricordano un po’ il caso Watergate. In entrambi i casi infatti è la credibilità dei massimi vertici delle istituzioni democratiche ad essere messa in discussione. A differenza dello scandalo politico scoppiato negli Stati Uniti nel 1972, che portò alla richiesta di impeachment e alle dimissioni dell'allora presidente Richard Nixon, la vicenda di casa nostra rischia però di finire a tarallucci e vino. Nel nostro sistema istituzionale infatti non esiste la procedura di impeachment ma la sfiducia in Parlamento del Governo, o di un suo componente. Ma è proprio quello che da più di un anno i senatori a vita impediscono che accada a Palazzo Madama dove, se non ci fossero stati i loro voti a soccorrere l’Esecutivo, Prodi e compagni sarebbero già caduti da tempo. Ecco perchè, per quanto ci riguarda, è giunto il momento che il Professore se ne vada, ed è auspicabile che il capo dello Stato Napolitano, come ha chiesto a Pontida il nostro segretario federale Umberto Bossi, sciolga le Camere e indica nuove elezioni. Il dibattito al Senato sul caso Visco è un’occasione per far sapere al popolo a) come sono andate le cose nella vicenda Guardia di Finanza - Unipol b) se il presidente del Consiglio ha mentito. Nelle more che questo venga accertato, e non ci illudiamo certo che la discussione nella Camera Alta del Parlamento sia risolutiva, Prodi non può restare al suo posto come se nulla fosse. Almeno in una democrazia degna di questo nome. Il fatto è che, quando si parla di crisi della politica, bisognerebbe riconoscere che se c’è una persona che al momento in Italia contribuisce più di tutti ad alimentarla, quella è proprio Romano Prodi. Il caso Visco infatti segue di qualche mese un'altra intricata, e poco chiara, vicenda: quella del piano di dismissione di Telecom. Secondo Tronchetti Provera, Prodi sapeva e come dell’esistenza del piano. Tanto è vero che il suo braccio destro, Angelo Rovati, ovvero il consigliere più ascoltato per le questioni economiche, aveva inviato alla presidenza di Telecom, su carta intestata di Palazzo Chigi, un vero e proprio piano di dismissione. Ma Prodi ha continuato a dire di non sapere e, pur di salvare la poltrona (conquistata peraltro a seguito di risultati elettorali rocamboleschi e tuttora incerti), ha silurato il suo consigliere. La stessa sorte, almeno in parte, è toccata per ora al vice ministro dell’Economia. Ma tra un siluramento e l’altro, Prodi continua a dire le bugie su molte altre cose. Come quando afferma di voler aiutare le famiglie, salvo poi stangarle con nuove tasse; o quando dichiara di volere le liberalizzazioni e invece prende di mira soltanto alcune categorie (come i tassisti, i farmacisti, gli avvocati e i notai); o come quando in campagna elettorale ha promesso che non ci sarebbe stata alcuna base militare Usa a Vicenza quando, invece, sapeva benissimo che da quella decisione, ormai assunta da tempo, non si poteva più tornare indietro. Insomma, sono innumerevoli le occasioni nelle quali il presidente del Consiglio ha fatto marcia indietro, rimangiandosi gli impegni presi coi cittadini. I quali peraltro lo hanno già capito da un bel po’ e non perdono occasione per ricordarglielo. Al Festival dell’Economia di Trento, solo per citare l’ultimo caso, una elettrice dell’Unione è salita sul palco e gliele ha gridate di santa ragione. Così come a Roma, solo un giorno prima, durante la parata militare per la Festa della Repubblica, centinaia di cittadini lo hanno sonoramente contestato, con bordate di fischi, e invitato a mettersi da parte. Si, perché il punto è proprio questo: il popolo non vuole che Prodi rimanga un minuto di più al Governo. Chi ascolta la gente, come fanno gli uomini e le donne della Lega Nord, non solo in campagna elettorale, sa che il rapporto tra il capo del Governo e il popolo è ormai talmente logorato da non richiedere più alcun tipo di indugio. E’ impossibile che il presidente del Consiglio non avverta questo clima, unitamente alla sfiducia e all’ostilità che ormai lo circonda anche tra i suoi alleati, e non senta l’obbligo morale e istituzionale di passare la mano.

sabato, giugno 02, 2007

DALLE CITTA’ DEL NORD UN NUOVO VENTO DI LIBERTA’

di Giacomo Stucchi


La Lega Nord c’è ed è più forte che mai, i candidati del Carroccio vincono dappertutto, con percentuali addirittura imbarazzanti per gli avversari, la Cdl prevale ovunque si presenti unita. Sono queste in sintesi le considerazioni da fare all’indomani della tornata elettorale per le amministrative. Scontate tutte le dichiarazioni degli esponenti dell’Unione che mirano ad edulcorare il sapore della sconfitta. La verità è che, pur a volere essere ottimisti, non c’è un bicchiere mezzo pieno al quale guardare per il semplice motivo che i consensi del centrosinistra al nord si sono prosciugati, al centro-sud si sono dimezzati, in Sicilia resistono in qualche riserva indiana dove per la verità la Cdl ha perso, peraltro al ballottaggio e comunque mantenendo la maggioranza al Consiglio comunale, più per demerito proprio che non per la capacità del centrosinistra di attrarre consensi. Ma oggi la festa, lasciatemelo sottolineare, deve essere tutta per il nostro segretario federale Umberto Bossi che con il suo rinnovato impegno in prima linea, in questa campagna elettorale cruciale per la Lega, ha ridato slancio, forza e smalto alla nostra battaglia per il federalismo e per la libertà. Valori e obiettivi quanto mai vivi in Padania dove l’insofferenza per l’attuale Governo, vessatore e illiberale, è ormai incontenibile. La questione settentrionale c’è e l’avversione al centrosinistra, che in questo primo anno di governo non ha fatto altro che penalizzare il nord, è evidente nei numeri. Che peraltro, come avevamo previsto in un nostro intervento su la Padania, dimostrano pure il totale disinteresse dell’elettorato per il nuovo schieramento, il Partito democratico, rispetto al quale oggi si può davvero recitare il de profundis. Se la risposta del centrosinistra ai problemi dei cittadini è quella del Pd, beh allora i dirigenti dell’Unione non avrebbero dovuto perdere un minuto di più nel prendere atto del totale fallimento del loro progetto politico e, con un minimo di coerenza, dimettersi dalle loro cariche, istituzionali e non. E invece no, la reazione ufficiale consiste nella solita solfa, che tutti ormai conosciamo, e che vorrebbe declassare a semplici fatti locali questo test elettorale. Il fatto è che l’attaccamento alle poltrone, oggi più traballanti e insicure che mai, fa si che mille scuse vengano addotte per questa evidente sconfitta. Come quella, ormai diventato un leit motiv, della crisi del sistema politico che avrebbe portato ad una diserzione alle urne di una parte dell’elettorato. Si tratta di una banalità. In primo luogo, perché, alla luce dei risultati, è sin troppo facile obiettare che se una parte degli elettori non è andata a votare quella appartiene al centrosinistra; in secondo luogo, perché quando si vota bisogna prendere atto della manifestazione di volontà di chi ha espresso il proprio voto, e non di quella che non ha voluto farlo. La realtà è che nel centrosinistra la resa dei conti è già cominciata. Sicché tutto lascia pensare che nell’Unione (dove, a dispetto del nome, non c’è mai stata unità d’intenti nemmeno quando le cose andavano bene, figuriamoci oggi che il panico da sconfitta elettorale è salito alle stelle) le cose potranno soltanto peggiorare. Già in queste ore, del resto, stiamo assistendo al solito scarica barile di responsabilità tra i partiti che sostengono il Governo. Il risultato è che, mentre lor signori si azzuffano, a farne le spese sono sempre i cittadini; che, per esempio, non sanno ancora né se gli verrà restituito parte del denaro indebitamente sottratto con l’ingiustificato aumento delle tasse né quando e come potranno andare in pensione. Sono queste alcune delle ragioni, e non la presunta crisi del sistema politico, che spiegano la bocciatura del centrosinistra da parte dei cittadini. I quali, piaccia o no a Prodi e ai suoi compari di Palazzo Chigi, hanno emesso il loro verdetto. Sottovalutarlo, prendere sotto gamba questo segnale e tirare avanti così come ha fatto sino ad oggi, è il più grosso favore che l’Unione può farci. Per quanto ci riguarda, la cosa più importante è che da questo momento da molte città del Nord, amministrate da sindaci della Lega Nord, soffia un nuovo vento di libertà e Roma dovrà tenerne conto.

Tratto da LA PADANIA del 31 maggio 2007