Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

mercoledì, marzo 28, 2007

Tentano di ricostruire la Dc affondando la Cdl

di Giacomo Stucchi
Che i centristi abbiano voglia di ritrovarsi in un partito unico che ambisca, secondo le stime del ministro della Giustizia Mastella, a conquistare il dieci per cento dell’elettorato è affare loro e nessuno può contestare né la legittimità né l’ambizione di questo desiderio. In una democrazia che si rispetti il concetto che sono gli elettori ad avallare o meno qualsiasi progetto politico è lapalissiano. In questo momento però il punto è un altro e non riguarda il libero arbitrio, che lascia ad ognuno di noi la libertà di fare ciò che meglio crede nel rispetto delle regole comuni, ma l’onestà intellettuale che un leader politico dovrebbe avere, soprattutto quando si rivolge ai cittadini per spiegare le ragioni di una scelta importante (come è quella del voto al Senato sull’Afghanistan). In tal senso, è impossibile far finta di ignorare che un voto favorevole al Senato (su un provvedimento identico a quello già approvato alla Camera) significherebbe continuare a mantenere in vita un Governo che invece, per il bene di tutti, deve andare a casa il più presto possibile. Sicché Casini ha il diritto di votare come gli pare ma quando egli afferma di non poter “perdere l'onore per mandare al casa il Governo” perché per lui “sono importanti i principi", beh allora deve mettere in conto di prestare il fianco a qualche legittima critica. Soprattutto perché, nelle sue dichiarazioni di principio, egli omette di ricordare che le altre forze di opposizione, mediante la presentazione al Senato di dettagliati ordini del giorno, hanno già dimostrato a) di porre al primo posto in assoluto la sorte dei nostri soldati (tanto è vero che chiedono al Governo di equipaggiarli meglio per poter affrontare tutte le possibili situazioni nelle quale potrebbero venirsi a trovare nelle prossime settimane) b) di avere a cuore il prestigio e l’onore del Paese in campo internazionale, soprattutto nei rapporti coi maggiori alleati occidentali. La verità è che questo ennesimo passaggio a rischio di Palazzo Madama offre il destro ai centristi per cimentarsi nelle loro prove tecniche di ricostruzione della Democrazia Cristiana. Ora, il sottoscritto è un parlamentare della Lega Nord e, come tutti i responsabili del movimento, gira in lungo e in largo la Padania per stare vicino alla gente. Ebbene, posso affermare, senza paura di essere smentito, che al Nord nessuno sente nostalgia della Dc e dei suoi uomini di governo. Ecco perché chi ne ha fatto parte può, se proprio ci tiene, rivendicarlo ma non può venire a vantare presunti meriti che questo “grande partito”, dalle mille anime, avrebbe avuto nella storia repubblicana. Non intendo riferirmi alle vicenda di Tangentopoli (i cui risvolti peraltro chissà quando e come conosceremo sino in fondo e che piuttosto è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un sistema già da tempo in stato comatoso) ma alle responsabilità politiche di un partito che per decenni ha avuto un immenso potere ma lo ha utilizzato dissipando risorse, provenienti dalla Padania, per migliaia di miliardi delle vecchie lire, perdendo occasioni storiche per modernizzare (anche sotto il punto di vista costituzionale) il Paese, per costruirvi opere pubbliche al passo coi tempi, per riformare come si deve il sistema fiscale su base federalista e per fare tutte le altre riforme necessarie. No, presidente Casini, lei è libero di agire come crede, votando anche di comune accordo con la maggioranza, e di addurre a pretesto anche la scusa di farlo per responsabilità o perché altrimenti rientrerebbero tutti i soldati che in questo momento si trovano impegnati nei punti più caldi dello scacchiere internazionale, ma quello che non può fare è dissimulare l’unica vera assunzione di responsabilità politica degna di nota: mandare a casa il Governo Prodi. Attraverso un voto contrario al Senato, senza stampelle di sorta, si può istituzionalizzare l’incapacità numerica e pratica di questo Esecutivo ad andare avanti; viceversa, per quanto ci riguarda, sarebbe invece molto irresponsabile continuare a permettergli di fare tanti di quei danni le cui conseguenze chissà per quanto tempo pagheremo.
Tratto da LA PADANIA del 28 marzo 2007

giovedì, marzo 22, 2007

L’Unione europea ha 50 anni. Ma c’è poco da celebrare

di Giacomo Stucchi
In occasione del 50° anniversario della firma dei trattati istitutivi delle Comunità europee, sottoscritti a Roma nel 1957, il 25 marzo 2007 i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell’Unione europea adotteranno a Berlino una dichiarazione politica solenne sul futuro dell'Europa. Siamo abbastanza navigati di questioni europee per non sapere che l'occasione sarà presa a pretesto, dagli europeisti ad oltranza, per rilanciare un’integrazione che in realtà fa acqua da tutte le parti e sulla quale c’è ben poco da celebrare. Persino le statistiche dicono che, salvo qualche eccezione, in gran parte degli Stati membri i cittadini non ritengono di aver migliorato le proprie condizioni di vita né con l’Unione europea né tanto meno con l’introduzione della moneta unica. Ma a Bruxelles e Strasburgo la politica degli struzzi è di casa. Si fa finta di non vedere quanta diffidenza c’è nei cittadini e si coglie al volo ogni occasione per far ripartire ogni volta un processo di integrazione che però è sempre stato in deficit di democrazia e che continua ad esserlo anche in questi giorni.Al di là delle pompose cerimonie la verità è che le istituzioni europee, dopo la bocciatura del trattato costituzionale, stanno vivendo una grave crisi di identità. Esse giacciono in una sorta di limbo, sospese tra ciò che qualcuno vorrebbe che fossero (istituzioni di un super Stato che annulla le specificità locali) e ciò che in realtà sono (una costosissima macchina mangia risorse che molto toglie ai singoli Stati membri e poco dà). A questo pendolo, nel quale oscilla il destino dell’Ue, si sono aggiunte nuove complicazioni a seguito dell’allargamento del 2004 ed a quello successivo del 2007, che ha portato a dover contemperare esigenze e prospettive di Stati molto diversi tra loro per cultura, economia e storia politica.Per uscire da questa impasse, Germania, Portogallo e Slovenia, che si avvicenderanno nella presidenza dell’Unione europea dal 1° gennaio 2007 al 30 giugno 2008, hanno annunciato un programma congiunto delle tre presidenze per rilanciare la fase costituente. Si tratta di una strategia che, da un lato, potrebbe oggi rendere possibili scelte più decise e forti per quel che riguarda il futuro dell’Europa, ma dall’altro lato, dobbiamo purtroppo constatare come si annuncia già nel solco tracciato dalle precedenti presidenze. A nostro modo di vedere un buon inizio sarebbe stato quello di interrogarsi sulle ragioni del sostanziale fallimento della fase costituente sin qui percorsa, tanto durante i lavori della Convenzione quanto nei passaggi referendari in alcuni Stati membri. Ma le prime mosse della cancelliera tedesca Angela Merkel ci dicono che la strada scelta è quella di continuare a fare orecchie da mercanti. Sicché, lungi dall’intraprendere nuovi percorsi, come quello di mettere mano alla revisione di un testo costituzionale didascalico e privo di contenuti (che, come abbiamo già avuto modo di osservare all’epoca della bocciatura da parte del popolo francese, non pone nemmeno i confini territoriali e non dà nessuna garanzia di carattere sociale), ai cittadini viene proposta di nuovo la Costituzione già bocciata ma, inspiegabilmente, ritenuta ancora l’unica strada da seguire e per giunta con lo stesso identico testo.Ma perché tanta ostinazione? Perché tanto accanimento da parte dei governati nel voler imporre una Costituzione che, oltre a non essere condivisa dai cittadini di alcuni Stati membri (ai quali, a differenza che in Italia, è stato riconosciuto il diritto di esprimersi attraverso il referendum), non è stata nemmeno in grado di fare un riferimento alle comuni radici cristiane? Sono domande probabilmente destinate a rimanere senza un risposta.Tuttavia c’è una certezza e consiste nel fatto che l’Unione europea sta in piedi perché la vogliono i governanti e non certo i Popoli europei; alcuni dei quali, quando è stato consentito loro di esprimere un opinione sulla Carta costituzionale, hanno già dato il loro giudizio negativo. Cominciare a prendere atto di questa situazione sarebbe già un buon viatico per guardare al futuro dell’Ue con maggiore ottimismo.
Tratto da LA PADANIA - Data pubblicazione: 22/03/2007

mercoledì, marzo 21, 2007

Immigrazione, già dimenticati gli scontri nelle banlieu

di Giacomo Stucchi


Vi ricordate le immagini in tv che mostravano le auto incendiate, le vetrine dei negozi distrutte, gli esercizi commerciali saccheggiati, i duri scontri tra la polizia e gli immigrati francesi? Io lo rammento come fosse ieri, era l’autunno del 2005. In un intervento su la Padania scrissi che “uno dei problemi dei moderni mezzi di informazione, Internet in primo luogo ma anche la televisione, è quello di dimenticare fatti e circostanze con la stessa rapidità con la quale sono stati riferiti”. Così avvenne per quelli episodi di violenza che, dopo aver occupato per settimane interi telegiornali e pagine dei quotidiani, di colpo cessarono di fare notizia. Anche perché nel frattempo, come se niente fosse, e senza spiegare all’opinione pubblica come le autorità d’un tratto avessero convinto turbe di facinorosi a ritirarsi nei loro quartieri, la vita ricominciò a scorrere come prima. Ebbene, già allora dissi che (pur con le dovute differenze e proporzioni) quel fenomeno avrebbe potuto riguardarci molto da vicino se anche da noi si fosse dato seguito ad una politica dell’immigrazione fuori controllo. Purtroppo non solo la storia non ha insegnato nulla ma neppure il buon senso sembra suggerire al Governo che facilitare l’ingresso agli immigrati, reintroducendo tra l’altro la figura fittizia dello sponsor (che manderebbe in soffitta il contratto di lavoro previsto nella Bossi-Fini), e dimezzando (da dieci a cinque anni) il periodo di permanenza necessario ad avere il diritto alla cittadinanza, significa ricadere negli stessi errori fatti in Francia. Dove, è bene ricordarlo, a mettere a ferro e a fuoco le città sono stati immigrati di seconda o addirittura terza generazione. Ma a tutto questo, dalle parti di Palazzo Chigi, nessuno sembra pensare più di tanto. Forse perché il vero obiettivo dell’Esecutivo è fare tabula rasa della legge sull’immigrazione voluta dalla Lega, per togliere così ogni argine all’invasione da parte di immigrati non sempre animati da buone intenzioni, ma anche modificare la legge sulla cittadinanza per riconoscere tale diritto, in modo incondizionato, a chiunque oltrepassi i nostri confini e si stabilisca nelle nostre città. Si dice che a pensare male si fa peccato, ma l’impressione è che il Governo guardi a questi problemi non tanto dal punto di vista sociale ed economico, e quindi degli interessi dei cittadini, ma piuttosto da quello del vantaggio elettorale che ne potrebbe derivare se ad una generosa politica dell’immigrazione seguisse poi un’altrettanto rapido e incondizionato riconoscimento agli immigrati del diritto di voto. Naturalmente nella speranza che questo contribuisca a dare ossigeno ad una coalizione sempre più asfittica dal punto di vista del consenso elettorale. In altre parole, non crediamo di essere tanto lontani dalla realtà se diciamo che all’Unione più che l’accoglienza agli immigrati interessano i loro potenziali voti. Tutto questo in barba alle istanze di maggiore sicurezza, in qualche caso direi anche di sopravvivenza, che vengono da parte di intere comunità. Dove già adesso, senza aspettare che arrivino le conseguenze di nuove dissennate politiche sull’immigrazione, è diventato impossibile vivere. Dai commercianti agli imprenditori, dalla casalinga che si reca al supermercato ai ragazzini che vanno a scuola, non esiste più una categoria che non sia a rischio in almeno una delle sue attività quotidiane. Del resto basta leggere un quotidiano o ascoltare un tg per accorgersi che ormai non passa giorno senza che si registri, soprattutto nelle città del nord, qualche episodio di criminalità che, spesso e volentieri, vede coinvolto un immigrato. Se lo ricordiamo non è certo per becero razzismo. Perché nella mia città, a Bergamo, e in tutta la Padania, non si è mai negato a nessuno la possibilità di viverci. Ma l’imprescindibile condizione a questa apertura deve essere quella di rispettare le leggi e le consuetudini della comunità nella quale ci si vuole inserire, altrimenti meglio cambiare aria.
TRATTO DA "LA PADANIA" DEL 16.03.2007

martedì, marzo 13, 2007

Riforma elettorale, subito un'intesa politica

di Giacomo Stucchi


E’ possibile che intorno a queste inusuali consultazioni del presidente del Consiglio con le forze politiche, sul percorso da seguire per realizzare la riforma elettorale, si stia creando un po’ di confusione. Ed è per questo che, a mio avviso, bisognerebbe fare alcune precisazioni per far capire ai cittadini cosa sta accadendo. Punto primo. La Lega Nord, come ha ribadito lo stesso segretario federale Umberto Bossi, ha come priorità assoluta la riforma della legge elettorale. Senza stare a fare troppi giri di parole il punto è che senza la riforma si andrebbe dritti dritti al referendum e quindi ad un sistema di voto che taglia fuori i movimenti, come appunto la Lega Nord, che non vogliono perdere la loro sovranità per farsi fagocitare dai partiti maggiori. Nel nostro caso, la conseguenza di questa malaugurata ipotesi, sarebbe la sepoltura delle istanze federaliste del Nord e la fine dell’ormai ventennale lotta padana contro lo strapotere di Roma e dei partiti centralisti. Punto secondo. Le consultazioni con Palazzo Chigi fanno registrare un’apertura del Governo a fare, oltre alla nuova legge elettorale, anche alcune riforme istituzionali. Sarebbe una buona notizia se non fosse che questo significa impiegare almeno due o tre anni di tempo e quindi permettere al referendum di essere celebrato. Ed è per questo che, se si vuol fare davvero una nuova legge elettorale, bisogna allora sottoscrivere subito un intesa politica, prima delle elezioni amministrative di fine aprile, che sgombri il campo da dubbi ed eventuali ripensamenti dei partiti. Soprattutto di quelli che al momento sulla questione stanno con un piede dentro e un altro fuori. Agitano cioè la bandiera del riformismo, concordando sul fatto che una nuova legge elettorale deve essere fatta, ma poi mandano in avanscoperta i loro emissari all’interno dei comitati promotori dei referendum. E’ il solito giochetto, tipico della Prima Repubblica, di giocare con due o più mazzi di carte allo scopo di trovarsi sempre dalla parte giusta. Punto terzo. Contro il referendum in sé, ovvero come strumento di consultazione popolare, la Lega non ha niente da eccepire e nessuno può venire a darci lezioni di democrazia in tal senso. E se anche quello sulla riforma elettorale si dovesse celebrare, il Carroccio si attrezzerebbe, con gli strumenti democratici che gli sono propri, per far capire ai cittadini che nel caso in questione attraverso questo istituto si vuole mettere la sordina a partiti che stanno scomodi al sistema centralista, purtroppo ancora radicato nelle istituzioni, perché rivendicano istanze territoriali non riconducibili a schemi ideologici. Punto quarto. L’apertura di Prodi sulle riforme, a mio parere, non può significare a) un inversione di rotta nel giudizio sull’operato di questo governo, che sta continuando a fare danni in tutti i settori della vita sociale ed economica b) una fiducia incondizionata in ciò che il Professore ne ricaverà da queste consultazioni. Che solo le prossime mosse potranno dire se servono più a lui, per rinnovare il suo ruolo di leader della coalizione o magari soltanto per prendere tempo, o al sistema politico e quindi ai cittadini. Come uomo della Padania, e come parlamentare leghista, non posso peraltro fare a meno di osservare che se la riforma costituzionale voluta a suo tempo dalla Lega (dalla modifica del bicameralismo perfetto al Senato delle regioni; dalla riduzione del numero dei parlamentari ai maggiori poteri al presidente del Consiglio), non fosse stata tanto osteggiata dal centrosinistra nella campagna elettorale per la consultazione referendaria, di certo noi oggi non ci ritroveremmo in questa situazione. Sicchè se, da un lato, ci fa piacere che il Governo sia disponibile a discutere di riforme adesso, dall’altro lato, ci chiediamo perché il centrosinistra le affossò quando era possibile farle davvero. Delle due l’una: o l’Unione era in male fede allora, o lo è adesso. In questo quadro desolante l’unica buona notizia, se così si può dire, ci sembra essere la decisione dei presidenti di Senato e Camera, Franco Marini e Fausto Bertinotti, di far cominciare a Palazzo Madama l’iter parlamentare della riforma elettorale,e alla Camera dei deputati l'esame delle modifiche costituzionali in materia di bicameralismo. Ma crediamo sia ancora poco per essere ottimisti sul buon esito delle riforme.

giovedì, marzo 08, 2007

Per far fuori la Lega le pensano tutte

di Giacomo Stucchi


E’ difficile dire perché il dodecalogo di Prodi, entrato dal portone principale di Palazzo Madama con squilli di tromba, sia poi uscito dalla finestra trasformandosi nell'unica emergenza, “la priorità prioritaria” (come la definisce il professor Sartori in un’editoriale sul Corsera), della riforma elettorale. Del resto non è neppure l’unico mistero. Perché non si sa neppure dove siano finiti i Dico, le pensioni, la Tav e tutto quanto crea problemi di sopravvivenza a questo sciagurato Governo. Ma tant’è. La questione di oggi è un'altra: la riforma elettorale è davvero un tema prioritario nell’agenda politica? A parer mio le priorità sono parecchie, ma è certamente “prioritario” evitare un referendum che cancellerebbe dal parlamento i movimenti politici autonomisti e identitari come la Lega Nord.
Umberto Bossi ci ha più volte ripetuto che non bisogna mai temere il confronto elettorale, tanto è vero che in occasione della crisi della scorsa settimana il Carroccio si è ritrovato, solo tra tutti, a chiedere al presidente della Repubblica di restituire subito la parola al popolo, ma ha sempre aggiunto che le competizioni elettorali devono svolgersi sulla base di regole democratiche, rispettose della volontà popolare, tali da impedire l’esclusione dal parlamento dei movimenti politici territoriali e federalisti, le cui istanze risultano fortemente condivise nelle regioni di riferimento.
Quindi, la questione politica va posta nel modo seguente: una nuova legge elettorale deve servire a tutto il Paese o solo ad alcuni protagonisti della vita politica attuale? La risposta appare ovvia, ma non dimentichiamoci mai in che mani ci troviamo.
Oggi questa riforma, che per il Governo è diventata la “più prioritaria” (persino pare delle “lenzuolate” di Bersani), vede impegnato direttamente Prodi, che ha già avviato le consultazioni istituzionali coi Presidenti delle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato. E da questo confronto, sia chiaro a tutti fin dal principio, vista la delicatezza del tema, la Lega non essere esclusa.
Saranno almeno quindici anni che si dibatte su che tipo di sistema elettorale adottare, tedesco, francese e spagnolo, ma l’unica cosa sulla quale le forze politiche sono sempre state d’accordo è quella di fare fuori la Lega Nord e le istanze che rappresenta. Ora, non so a chi si riferisse Sartori, quando sostiene che un buon sistema elettorale non può accontentare le esigenze di tutti i partiti, compresi quelli “nanetti”, ma so per certo che per la Lega Nord una buona legge elettorale è quella che garantisce la rappresentanza degli interessi della Padania. Una parte del Pese, quella padana, che, anche nel referendum costituzionale dello scorso anno (boicottato in tutti i modi da un sistema che non vuole assolutamente cedere il passo), si è espressa ampiamente a favore del cambiamento costituzionale in senso federalista. Provi lei quindi, caro Professor Sartori, a spiegare alle imprese e ai cittadini del Nord i “vantaggi” di introdurre un sistema elettorale che, da un lato, tagli fuori dal Parlamento l’unico movimento che porta avanti democraticamente la causa del federalismo e dell’autonomia e, dall’altro lato, dia tutta la rappresentanza parlamentare ai maggiori partiti di Roma. Alcuni dei quali, ricordiamocelo sempre, caro Professore, in Padania ottengono un consenso elettorale pari o inferiore ad un terzo di quello della Lega Nord.
Tratto da LA PADANIA del 7 marzo 2007

venerdì, marzo 02, 2007

Dal Prodi-mortadella al Prodi-mozzarella

di Giacomo Stucchi


Cosa festeggiano quelli dell’Unione non è dato capire. Avranno pure ottenuto la fiducia al Senato, in extremis sotto il profilo della maggioranza politica, richiesta dal presidente Napolitano come condizione imprescindibile per non staccare la spina a questo Governo, ma si ritrovano adesso sotto scacco del transfuga Follini. Quale che sia l’obiettivo di quest’ultimo, le ipotesi spaziano dal dichiarato ambiziosissimo progetto di spostare al “centro” l’asse della coalizione, al più probabile e comodo tirare a campare per i prossimi mesi. Sta di fatto che adesso Prodi e i suoi ministri si ritrovano al punto di partenza. Anzi, peggio. Perché ora, dopo la crisi e la rinnovata fiducia sul filo di lana, per il Professore è suonata la campanella dell’ultimo giro. Non ci saranno insomma prove d’appello né per lui né per la sua schizofrenica maggioranza. Che peraltro non finisce mai di stupire, negativamente. Dove si è mai visto infatti che i parlamentari danno la fiducia al Governo, per tirarlo fuori dalle secche nelle quali loro stessi lo avevano condotto, ma contemporaneamente preannunciano il voto contrario sulle questioni che lo stesso Governo dovrà poi rappresentare (vedi l’Afghanistan e le pensioni)? Credo da nessuna parte. Nel caso dei Dico poi c’è stata la trovata prodiana: “il Governo ha già presentato il provvedimento, adesso ci pensi il Parlamento”. Anche qui, ma quando mai un Esecutivo prima approva un disegno di legge e poi lo abbandona al suo destino? La verità è che sull’altare dell’indispensabile voto centrista di Follini bisognava immolare il matrimonio tra gay. Adesso lui ha conquistato la poltrona e pur di tenersela è disposto a sacrificare molto di più che le aspettative degli omosessuali. E tuttavia non è neppure questo l’aspetto più triste dell’attuale situazione politica, in generale, e del dibattito sulla fiducia, in particolare. Ancora una volta infatti è tutto il sistema istituzionale a dimostrare l’inadeguatezza rispetto alla improrogabile necessità di costruire una democrazia liberale, riformista e federalista, quale dovrebbe essere la nostra. Anche a causa di un bicameralismo perfetto che, unico al mondo, opera con assurde procedure regolamentari. Queste fanno si che (come ha opportunamente spiegato Sergio Romano sul Corsera) al Senato, a differenza della Camera, tra le forze politiche, il Governo e l’opposizione “non ci sia un confronto tra i sì e i no; poiché la maggioranza si raggiunge superando di almeno un voto la metà di coloro che sono presenti in Aula al momento della votazione”. Così succede che il senatore a vita Andreotti non vota a favore della fiducia (perché non è d’accordo sui Dico), ma nemmeno contro (per non dare il colpo di grazia al centrosinistra), non si astiene (perché nell’Aula di Palazzo Madama vige il regolamento in base al quale l’astensione equivale ad un voto contrario) ed esce fuori dall’emiciclo (perché così facendo abbassa il quorum e rende più semplice la vita all’Unione, che può conquistare per un soffio la maggioranza politica anche senza computare il voto dei senatori a vita). In altre parole, senza quelle alchimie costituzionali (che ci portano persino ad operare una distinzione tra maggioranza politica e numerica, difficilmente comprensibile ai più) che lo spirito compromissorio del dopoguerra ci ha lasciato in “eredita”, e che sino ad oggi ad eccezione della Lega Nord nessuno ha voluto veramente cambiare, forse oggi avremmo potuto dire addio al Governo Prodi. E invece, causa i soliti pasticci che la stessa Costituzione sancisce, ci ritroviamo di nuovo impantanati con l’ormai conclamata incapacità del centrosinistra di governare. Per di più con un Governo che adesso è veramente giunto al termine. Tanto che viene da dire che siamo passati dal “Prodi mortadella” al “Prodi mozzarella”, con scadenza molto ravvicinata. Quanto vicina? La certezza è che già nelle prossime settimane il problema della politica estera tornerà prepotentemente a galla. Ed è per questo che il Professore ha già coniato il nuovo termine “della politica del doppio binario”, ovvero all’Unione le poltrone e all’opposizione le responsabilità: su missioni dei nostri soldati all’estero, misure economiche, pensioni e via dicendo.
Tratto da LA PADANIA del 2 marzo 2007