Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

giovedì, dicembre 21, 2006

AUGURI DI BUON NATALE E DI FELICE ANNO NUOVO


A TUTTI VOI I MIEI PIU'
FERVIDI AUGURI PER IL
SANTO NATALE E PER UN
NUOVO ANNO RICCO DI
FELICITA' E DI LIBERTA'


Giacomo Stucchi


La Fase 2? Forse con un miracolo...

di Giacomo Stucchi
La Finanziaria 2007, dopo la sua approvazione con modifiche da parte del Senato, compie il giro di boa parlamentare e torna all’esame della Camera. Scontato l’esito finale del voto, la suspance si proietta a subito dopo le vacanza natalizie. Cosa accadrà?Le strade possibili sembrano essere due: la prima è quella vaticinata dalla maggioranza e consiste nell’avvio della cosiddetta “fase due”, semplificazione non gradita a Prodi che serve a indicare un non meglio precisato progetto di riforme che però appare tanto nebuloso quanto indefinito; la seconda, che invece auspica la Casa delle libertà, e l’implosione della coalizione proprio su questo ipotetico nuovo corso. Perché? Ma perché quando verrà il momento di votare in Parlamento su provvedimenti che riguardano il riconoscimento delle unioni di fatto, la riforma previdenziale o gli interventi sul mercato del lavoro, ci vorrà un miracolo per mettere d’accordo le tante componenti dell’Unione. A tal proposito, le cronache politiche riferiscono di un vertice fra tutti i segretari della coalizione di governo da tenersi subito dopo l’approvazione della Finanziaria o, come pare più probabile, a gennaio. La notizia non è per niente buona perché nel centrosinistra, nonostante il Professore le abbia provate tutte (compreso il “conclave” in Umbria), non c’è verso di trovare un’intesa sulle cose concrete da fare e tutte le volte che si tengono questi vertici comincia il balletto delle dichiarazioni e delle smentite, dei proclami e dei successivi pentimenti. Una prassi alla quale per forza di cose, nostro malgrado, ci siamo dovuti assuefare.In molti nell’ Unione fanno finta di ritenere fisiologico il bailamme di queste settimane sulla manovra economica. Tuttavia il crollo dell’indice di gradimento popolare, nonché le imponenti manifestazioni di piazza dell’opposizione, ultima delle quali quella della Lega Nord a Milano, ma anche di numerose categorie sociali, hanno lasciato il segno nella coalizione di governo, consapevole di essere arrivata al capolinea. Una convinzione testimoniata anche dal fatto che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, durante l’iter parlamentare della Finanziaria, non ha mancato di incontrare ripetutamente il presidente del Consiglio per sincerarsi della tenuta della maggioranza e quindi della conseguente capacità del governo di andare avanti. Un dubbio che sul Colle non deve essere stato fugato del tutto nemmeno dopo il disco verde alla manovra da parte del Senato, dove l’Esecutivo rimane infatti appeso a un filo. Anzi, per dirla tutta, dopo la presa di distanza dell’Unione del presidente della commissione Difesa di Palazzo Madama, De Gregorio, e gli ultimi atteggiamenti critici da parte di Giulio Andreotti, e qualche “pianto di coccodrillo” di suoi colleghi senatori a vita, anche quel filo sembra essere in procinto di spezzarsi. Da qui la generale consapevolezza che a Prodi e alla sua maggioranza non sono più concessi né passi falsi né tempi supplementari. Ecco perché ai maggiori azionisti dell’Unione, Fassino e Rutelli, preme dimenticare al più presto l’indecoroso spettacolo di questi giorni e passare velocemente alla tanto decantata “fase due”. Che però a noi pare più un slogan, magari utile per uscire dal pantano nel quale il centrosinistra è sprofondato, che non un vero e proprio piano per rilanciare l’azione di governo. Sulla quale, peraltro, i primi giudizi contrastanti sono proprio all’interno della maggioranza se è vero, come è vero, che Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Verdi, giudicano assolutamente positivi i provvedimenti contenuti nella Finanziaria giacché essi rispondono a pieno al loro programma, ovvero aumentare le tasse per incrementare la spesa pubblica. In altre parole, togliere al privato cittadino (non importa se abbiente o meno) per dare allo Stato. Ecco perché le componenti dell’Unione farebbero bene a chiarirsi una volta per tutte e mettere i cittadini nelle condizioni di tornare a votare, per scegliersi un governo degno di questo nome. Del resto il credito del centrosinistra nella popolazione è ormai esaurito. Anche la Confindustria, che con il suo presidente Montezemolo aveva contribuito a far vincere le elezioni all’Unione, ha adesso sonoramente bocciato la manovra economica ridimensionandone, con dati di fatto, i presunti effetti positivi sullo sviluppo. Dobbiamo quindi rassegnarci ad una lunga agonia del governo Prodi, sempre più asfittico ma nel contempo deciso a non mollare la poltrona? Speriamo proprio di no, per il bene di tutti i cittadini ma anche della democrazia.

TRATTO DA La Padania [Data pubblicazione: 21/12/2006]

mercoledì, dicembre 13, 2006

LE “INCOMPRENSIONI” DI D’ALEMA

di Giacomo Stucchi

Sarà per esorcizzare il disastro di un implosione della maggioranza, che è sempre dietro l’angolo; oppure per cercare di dare la carica agli alleati di buona volontà che nell’Unione, ammesso che ne esistano, devono per forza di cose portare avanti la carretta; sta di fatto che l’intervista rilasciata a Repubblica dal ministro degli Esteri, Massimo D’Alema (peraltro passata un pò inosservata per l’incalzare di altri avvenimenti), più che un analisi obiettiva della situazione politica si legge una rappresentazione della realtà che definire di parte è un eufemismo. Tuttavia l’articolo merita di essere commentato: in primo luogo, perché si tratta di dichiarazioni rese da uno dei protagonisti del governo e della coalizione; in secondo luogo, perché fornire ai lettori un commento farcito da così tante pie illusioni può non essere un buon servizio reso all’informazione. Leggere per credere. “Vedo segnali di stabilizzazione – dice D’Alema – forse stiamo superando il momento più acuto di incomprensione nel rapporto con il Paese, che in queste settimane, dobbiamo riconoscerlo, si è manifestato in modo grave con le polemiche sulla Finanziaria. E’ inutile negarlo: abbiamo subito un colpo, in termini di credibilità. Evidentemente il Paese, dopo le tante promesse di Berlusconi in campagna elettorale, non si aspettava di dover fare ancora altri sacrifici”. Da dove cominciare per confutare simili affermazioni? Cominciamo col dire che la “stabilizzazione” della quale parla il responsabile della Farnesina al massimo può essere un auspicio ma non è certo la realtà dei fatti. Che, al contrario, dicono che non esiste praticamente una sola categoria produttiva o sociale che non sia in rivolta contro il governo Prodi. Tutto questo nonostante che ancora nei bilanci familiari non si siano ancora prodotti del tutto gli effetti negativi della stangata che Prodi e Padoa Schioppa hanno riservato ai cittadini. Il ministro degli Esteri, non appena i contribuenti avranno fatto i conti con gli aumenti delle tasse previsti in Finanziaria (a cominciare da quello del bollo auto), avrà modo di constatare quanta agitazione e preoccupazione pervade in questo momento il popolo, altro che “stabilizzazione”. E poi, come si fa ad imputare alle “promesse di Berlusconi in campagna elettorale”, la responsabilità dell’”incomprensione” dei cittadini con l’attuale esecutivo? D’Alema potrà pure avere la faccia tosta di difendere la Finanziaria, perché “ – a suo dire - Prodi e Padoa Schioppa hanno avuto il coraggio di una scelta, anche impopolare, che mette al sicuro i conti pubblici e mette l’Italia in condizioni di ritrovare la via dello sviluppo, gettando le basi per creare nuovo lavoro e nuova ricchezza”, ma non potrà mai negare che a promettere agli elettori di non aumentare le tasse, salvo smentirsi un minuto dopo aver rimesso piede a Palazzo Chigi, è stato proprio l’attuale presidente del Consiglio. Negli ultimi sei mesi sono così tante le bugie che Prodi e suoi ministri hanno detto ai cittadini che bisognerebbe vietare, con un decreto, di continuare a prendere in giro la gente: che non è ingenua sino a questo punto e sa perfettamente come reagire. In tal senso, un assaggio significativo dello stato di malessere generale verrà sicuramente dalla manifestazione della Cdl del 2 dicembre a Roma. Come ha spiegato il segretario federale della Lega Nord, Umberto Bossi, il Carroccio andrà a protestare a Roma perché è lì che si sta perpetrando ai danni dei cittadini, dei lavoratori e delle famiglie, il più grosso prelievo fiscale forzato della storia della Repubblica. E’ quanto mai opportuno che il maggior numero possibile di persone, con buona pace dei “perbenisti” dell’Udc, scenda in piazza. Perché soltanto dopo una grande protesta di popolo, sarà forse più chiaro al ministro D’Alema, così come a tutti i suoi colleghi, che tra governo e cittadini non c’è un problema di “incomprensione” ma di totale non condivisione. Persino tra i militanti del centrosinistra, non c’è unanimità nella condivisione delle scelte di politica economica e fiscale del governo. Figuriamoci poi tra gli elettori di centrodestra, che, già all’atto del suo insediamento, si sono ritrovati un esecutivo ostaggio della sinistra massimalista. D’altra parte, da Diliberto, Giordano e Pecoraro Scanio, potevamo aspettarci soltanto incitazione alla lotta di classe, persecuzione fiscale, aumento delle tasse, assistenzialismo, sperpero del denaro pubblico, aumento del centralismo dello Stato. Insomma, tutto ciò che la Lega Nord ha sempre combattuto.

martedì, dicembre 12, 2006

UN GOVERNO TUTTO FISCHI E FIASCHI

di Giacomo Stucchi

E’ difficile, e comunque non basterebbe un breve articolo, per fare una casistica di tutte le defaillance del Governo Prodi: in assoluto il peggiore nella storia della Repubblica (sia nei rapporti coi cittadini sia in quelli con le forze politiche di opposizione). Se dovessimo descriverlo in due parole basterebbe dire che questo Esecutivo, non avendone azzeccata una dal giorno del suo insediamento, è tutto "fischi e fiaschi". I primi sono quelli implacabili che la stessa presunta base elettorale della maggioranza, ovvero quella operaia degli stabilimenti Fiat Mirafiori, hanno riservato ai rappresentanti sindacali che sono andati a trovarli. Per far che? E’ proprio quello che si sono chiesti i lavoratori. "Che ci venite a fare in fabbrica dopo aver svenduto il nostro tfr al Governo senza, per giunta, consultarci?" Eppure l’Unione in campagna elettorale aveva fatto tante promesse e tra queste quella di aiutare le classi meno abbienti che, invece, tra trasferimento del trattamento di fine rapporto all’Inps, riduzione del cuneo fiscale talmente dilazionata nel tempo da avere effetti positivi inesistenti nella busta paga e, soprattutto, con l’aumento delle imposte indirette, si ritrovano oggi in brache di tela. "Si stava meglio con Berlusconi", è il comune sentire tra i lavoratori, gli imprenditori e gli impiegati, pubblici e privati. Fischi, gli ultimi in ordine di tempo, anche per il presidente del Consiglio Prodi in visita al Motorshow di Bologna. Ormai neppure la "sua" città può salvaguardarlo da un disagio sociale generale e da una protesta che monta ogni giorno di più. Tanto che lo stesso segretario del partito di maggioranza relativa del centrosinistra, Piero Fassino, reitera ormai quotidianamente i suoi inviti al capo del governo affinché ascolti il malcontento della piazza e agisca di conseguenza. Ma è come parlare al vento: si sa, Prodi è fatto così. Testardo come nessuno, lui va avanti per la sua strada. E continua a farsi suggerire dalla sinistra estrema le soluzioni per fare cassa. Come quella (e dire che si lamentavano della "finanza creativa" di Tremonti!) dell’esproprio dei cosiddetti "conti correnti dormienti" (quelli cioè non movimentati da parecchi anni) per finanziare l’assunzione di una parte dei precari. Già, il problema è che, come al solito, un minuto dopo il disco verde del ministro dell’economia Padoa Schioppa alla "straordinaria idea", la cui paternità pare spetti a Rifondazione Comunista, sono arrivate le smentite e il solito balletto di cifre. Nessuno sa, infatti, a quanto ammonta esattamente questo ipotetico "fondo" e in che misura può servire alla bisogna. Insomma, siamo alle solite: prima si butta la pietra nello stagno e poi si ritrae la mano. Tanto che ormai anche i diretti interessati, da Fassino a D’Alema, da Rutelli a Castagnetti, da Di Pietro a Giordano, non ci capiscono più nulla. "Quello che ho detto ho detto e quello che ho detto ho detto", ha risposto proprio così Romano Prodi ai cronisti che gli chiedevano se fosse ancora convinto che la contestazione di Bologna fosse organizzata. Il che la dice lunga sulla capacità di comunicazione del presidente del Consiglio. Delle due l’una: o non ha più nulla da dire oppure si è incartato a tal punto, nell’azione di governo, da non sapere più nemmeno lui quello che dice. Sui fiaschi poi siamo certi che l’incredibile e interminabile serie, della quale ministri e sottosegretari ci hanno dato un saggio in questi primi mesi di governo, sia ben lontana dall’essersi conclusa. La madre di tutte le magre figure, si sa, è la Finanziaria. Un provvedimento che, cosa più unica che rara, ha veramente accomunato tutti nella protesta contro questo Governo. Ma la frittata dell’Unione è ormai fatta e il popolo ne piange le conseguenze. E che dire dell’indulto? Non passano giorni senza che nuovi fatti di sangue siano legati alla scarcerazione di un detenuto a seguito del provvedimento del ministro Mastella, che magari alle prossime elezioni potrà pure intercettare qualche voto in più ma che nel frattempo ha fatto diventare le strade delle nostre città un far west. E i trasporti? Beh, ormai, tra scioperi, vertenze e quant’altro, per i viaggiatori le stazioni e gli aeroporti sono diventati una seconda casa. E allora? Allora bisogna avere pazienza e aspettare che arrivi il momento buono per azzerare tutto e ripartire daccapo. E il momento buono, ne siamo certi, arriverà, arriverà.

giovedì, dicembre 07, 2006

SOLO CON LA CDL AVREMO IL FEDERALISMO

di Giacomo Stucchi

La manifestazione della Cdl di sabato scorso è stata un successo oltre ogni più rosea aspettativa. In primo luogo, perché l’affluenza di popolo è andata, lo hanno riconosciuto persino gli avversari più avveduti, oltre i confini dell’elettorato di centrodestra ed ha accomunato gli elettori della Cdl ma anche molti altri che avevano votato l’Unione lo scorso mese di aprile e che oggi sono profondamente delusi dall’azione di governo. In secondo luogo, a Piazza San Giovanni si sono probabilmente poste le premesse per un nuovo accordo di opposizione, per ora, e di governo, per il futuro, che riporti al centro della scena politica un programma autenticamente riformatore in senso liberale e federalista. I prossimi giorni, sempre che la maggioranza non provveda da sola a fare harakiri al Senato nel dibattito sulla Finanziaria, diranno quanto concreta sia la strada comune dell’opposizione. Nel 1996 qualcuno la definì “una lunga traversata nel deserto”. Ebbene, oggi è difficile prevedere quanto lunga possa essere ma comunque vada la Cdl commetterebbe un grave errore a frasi trovare impreparata nel caso, non impossibile, di una rovinosa caduta del governo prima della fine naturale della legislatura. Ecco perché, oltre al fatto che gli assenti hanno sempre torto, giudichiamo negativamente la posizione dell’Udc di Casini. Prendere le distanze dal centrodestra è una strada senza ritorno per i centristi che, se da un lato può indebolire il Polo, dall’altro può annientare l’Udc. Non certo per manovre di Palazzo, anzi. Sarà lo stesso elettorato centrista a rendere giustizia alle ragioni dell’alleanza di centrodestra. D’altra parte lo stesso Casini sa perfettamente che una convention, come quella che ha radunato migliaia di persone a Palermo, era possibile solo in Sicilia. Solo in quella regione, infatti, l’Udc può contare su un governatore, Salvatore Cuffaro (peraltro eletto coi voti di tutto il centrodestra), in grado di radunare tutta quella gente. Tutto ciò premesso, veniamo adesso alle questioni che più ci interessano. Può il Nord, ed in particolare la Lombardia e il Veneto, trarre vantaggio da una rinnovata sintonia con Berlusconi e Fini? Crediamo di si e almeno per due ragioni. La prima, perché storicamente solo con questi alleati la Lega Nord ha potuto portare a casa una riforma federalista dello Stato. Il fatto che poi quest’ultima sia stata bocciata dal referendum popolare (e comunque non al Nord, ma solo nelle regioni del centro-sud) è dipeso da mille ragioni, non ultima la campagna diffamatoria che la sinistra ha architettato con la complicità di certi organi di stampa e dei sindacati. Tutto un sistema, insomma, che dalla riforma costituzionale avrebbe auto tutto da perdere, e per questo si è battuto con le unghia e con i denti per impedire che il federalismo diventasse realtà, si è messo di traverso sulla strada del cambiamento. Un pericolo, peraltro, che avevamo ampiamente previsto alla vigilia del voto referendario. Ma tutto questo ormai appartiene al passato e oggi, invece, soprattutto sull’onda del grande raduno popolare di Roma, bisogna guardare al futuro che, per quanto riguarda il Carroccio, non può che avere come obiettivo il traguardo di sempre: il federalismo. Identica la meta ma, questa volta, con una strategia diversa. Non più federalismo in tutte le regioni ma solo in quelle che lo vogliono davvero, come Lombardia, Veneto, Piemonte. Ora, immaginare che tutto questo sia possibile con il governo di centrosinistra, come ha scritto qualche fantasioso osservatore, è inverosimile. Ammesso, infatti, che una o più forze politiche dell’Unione fossero autenticamente interessate al federalismo bisognerebbe poi trovare l’accordo con tutti gli altri partiti che compongono la maggioranza. Un impresa impossibile, come stanno dimostrando questi primi mesi di governo Prodi e, in particolare, l’iter legislativo della Finanziaria che è ormai diventato una barzelletta. Ma c’è di più e riguarda il caos che ha provocato la riforma costituzionale voluta dal centrosinistra e rivelatasi un autentico fallimento. Secondo “Il Messaggero”, dal 2001 sono infatti ducentosessanta i ricorsi dello Stato contro le Regioni che a loro volta hanno fatto ricorso ben 233 volte. “Insomma – continua l’articolo – ministri e governatori se le sono date di santa ragione, negli ultimi cinque anni, a colpi di carta bollata. E l’arbitro, la Corte costituzionale, ha avuto il suo bel da fare per dirimere i conflitti di competenze innescati dalla mancanza, o controversa, attuazione della riforma del titolo V della Costituzione, che regola (ma forse sarebbe meglio dire “avrebbe dovuto regolare”) i poteri tra i diversi livelli di governo”. Insomma, i fatti parlano chiaro e dicono che con il centrosinistra non si va da nessuna parte e tanto meno verso il federalismo.
TRATTO DA LA PADANIA DEL 7.12.2006