Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

martedì, giugno 27, 2006

IL NORD VUOLE LA LIBERTA’

di Giacomo Stucchi
Adesso non ci sono più alibi per nessuno: la Lega Nord ha lottato, ha affrontato ostacoli insormontabili pur di dare al popolo un occasione per cambiare ma il Centro e il Sud non hanno voluto che questo accadesse. Forse perché non si è capito che la devolution non è solo la battaglia del Carroccio, un vessillo da issare nelle nostre sedi in Padania, ma la via d’uscita da un sistema corrotto, che non funziona, che deprime chi merita ed esalta chi è furbo. Un sistema trasversale, che abbraccia una miriade di interessi e di settori della vita pubblica, fatto anche di intrecci con poche luci e molte ombre. Ogni tanto, per caso o perché così deve essere, viene fuori qualche malaffare, qualche scandalo che coinvolge questo o quel personaggio ma poi, dopo le immancabili pubblicazioni sui giornali dei verbali delle intercettazioni, che servono anche ad attirare altri pesci nella rete degli inquirenti, tutto ritorna come prima. L’Italia, o parte di essa, fa finta di indignarsi ma poi si torna alla routine quotidiana: si alzano le saracinesche dei negozi, si va in ufficio, si gira in macchina per il proprio lavoro, ci si esalta per un rigore segnato al 93° minuto. “E’ l’Italia che va”, diceva una canzone e chi se ne frega se nel frattempo c’è un Paese nelle mani di gente incompetente. Un governo che non prende decisioni ma è un maestro nell’eluderle. Come quelle in politica estera dove, per evitare il voto parlamentare che ogni sei mesi autorizza il finanziamento delle nostre missioni all’estero, e il relativo dibattito in aula che farebbe emergere le profonde contraddizioni tra la sinistra radicale (che vuole il ritiro “senza se e senza ma” dei nostri soldati impegnati in missioni umanitarie) e i Ds e la Margherita (favorevoli invece ad un loro mantenimento), il governo sta escogitando un escamotage per aggirare il Parlamento. E che dire di questa famigerata manovra economica, della quale nessuno nell’esecutivo è in grado di dire i suoi contenuti? Tagli alla spesa o aumento delle tasse? Boh! Incentivi alle imprese o aumento dell’Irap? Boh! Tagli ai Comuni o aumento dei trasferimenti? Boh! Chi vivrà vedrà. Non so se la vittoria del No al referendum confermativo sia significativo del consenso o meno al governo Prodi ma, se così fosse, una parte degli italiani sarebbe davvero masochista. L’ultimo responso delle urne, di una primavera elettorale probabilmente troppo lunga e difficile da reggere anche per il più stacanovista degli elettori, ha detto che il Nord vuole il cambiamento. Nel Lombardo-Veneto infatti hanno vinto i Si e quindi le ragioni della devolution. Altra musica al Centro e al Sud, dove invece ha prevalso la conservazione dell’esistente e il mantenimento dello status quo. Perché? Forse è mancato il pathos ideale oppure l’anelito di libertà che invece da anni ha investito il Nord, ed in particolare la Lombardia. Sta di fatto che, per quel ci riguarda, e cioè per i popoli della Padania ai quali il Carroccio ha sempre fatto riferimento nella sua storia ormai ventennale, le ragioni della devolution e del cambiamento restano immutate. Lo vuole la nostra gente, che crede fermamente alla libertà e all’emancipazione da uno Stato centralista e vessatore. Lo richiedono le circostanze, perché se il Nord avesse potuto votare per sé e per le sue ragioni, come è accaduto in Catalogna o in altre parti d’Europa, già da tempo avrebbe scelto la sua strada. Ma purtroppo in Italia, nonostante da anni ci sia ormai un movimento quale la Lega Nord, espressione di un’autentica volontà popolare che non vuole continuare a dipendere in tutto e per tutto dalla burocrazia romana, non funziona così. E allora bisognerà trovare nuove forme di lotta per una battaglia che resta quanto mai valida. Per vincerla servirà ancora tanta determinazione, soprattutto per evitare di farsi distrarre dalle sirene della sinistra che già annunciano rinnovati slanci federalisti. Prima hanno fatto di tutto per bocciare il referendum confermativo costituzionale e adesso vogliono farci credere, loro che non sono d’accordo su niente, di essere pronti a sedersi al tavolo delle riforme. L’occasione storica è passata, adesso serve un'altra via e in tal senso Umberto Bossi ha già fatto delle anticipazioni; ad esse e agli obiettivi che il nostro Segretario indicherà, come sempre noi ci atterremo per rinnovare la nostra lotta ma soprattutto la nostra voglia di libertà.

giovedì, giugno 22, 2006

“SI” CAMBIA ROTTA

di Giacomo Stucchi

Negli appelli finali agli elettori, che il 25 e 26 giugno andranno a votare per il referendum confermativo costituzionale, da parte dei rappresentanti del centrosinistra se ne sentono di tutti i colori. La balla più gettonata è quella “dei venti sistemi sanitari, delle venti pubbliche istruzioni o delle venti polizie diverse”; ma non è da meno quella sui presunti costi della devolution (c’è chi parla di centinaia, chi addirittura di migliaia di milioni di euro all’anno) o quella sull’altrettanto presunto caos nel sistema di formazione delle leggi come conseguenza dell’abolizione del bicameralismo perfetto (cioè di quel sistema in vigore oggi per cui una legge prima di diventare tale deve essere approvata da entrambi i rami del Parlamento nel medesimo testo). Insomma, ferve nel centrosinistra l’attività di chi la spara più grossa, tanto sul piano dei numeri quanto su quello degli argomenti. La verità è che il fronte del “Si” avanza e il centrosinistra, che teme di perdere gran parte del suo potere con questa riforma costituzionale, ha paura. Prevale quindi l’istinto di sopravvivenza anche a costo di mistificare fatti e circostanze. Come quella per esempio che ci ricorda come fu la sinistra a cambiare per prima la Costituzione a colpi di maggioranza nel 2001, allo scadere della legislatura, in nome di un falso federalismo per giunta pasticciato e inconcludente. La riforma che votiamo adesso rimette invece ordine in questa materia attribuendo senza equivoci competenza esclusiva alle Regioni in materia di sanità, pubblica sicurezza e istruzione. Così come si fa finta di soprassedere sul fatto che la sinistra non vuole maggiori poteri al premier, che la riforma della Cdl invece gli attribuisce, per il semplice motivo che l’obiettivo di Fassino, Rutelli e Bertinotti è quello di tenere al guinzaglio il presidente del Consiglio. Mentre a qualsiasi cittadino pare ovvio che vi sia un esecutivo forte, in grado di decidere e di assumersi le proprie responsabilità, con un Primo Ministro che può scegliersi i propri ministri e li può revocare se questi non assolvono al loro dovere, il centrosinistra si schiera invece dalla parte di chi vuole fare crescere la partitocrazia e con essa gli strumenti di ricatto nei confronti del premier. Se vincessero i “Si” un capo di governo alla Romano Prodi, senza uno schieramento che lo sostenga davvero e totalmente in balia delle decisioni altrui, non si potrebbe infatti nemmeno immaginare. D’altra parte come ci si può aspettare che il centrosinistra, che in questo scorcio di legislatura ha dato prova di straordinario attaccamento alle poltrone tanto da doverle moltiplicare (con un numero spropositato di sottosegretari) per soddisfare la fame di potere di esponenti grandi e piccoli, possa accettare la riduzione del venti per cento del numero dei parlamentari che ci sarebbe se vincessero i “Si”? Oppure come si può immaginare che la coalizione che sostiene il Professore, costretta a spacchettare i ministeri per distribuire le deleghe a destra e a manca, possa invece accettare la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni prevista nelle devolution? Al di là delle suddette incontrovertibili argomentazioni, che dovrebbero contribuire a spiegare ai lettori le vere ragioni per le quali l’Unione non vuole che vincano i “Si”, esiste comunque un quesito di fondo che ogni cittadino, di destra o di sinistra, può porsi per fugare ogni ragionevole dubbio su come votare il 25 e il 26 giugno prossimi; e cioè vi ritenete soddisfatti dell’attuale sistema costituzionale e di quello che quest’ultimo ha prodotto in quasi sessant’anni di esistenza? Perché una Costituzione non è solo una legge ma molto di più. In essa un popolo si riconosce non solo sotto il profilo politico ma anche sotto quello della giustizia, della morale, del sentimento comune. Se pensate di riconoscervi in tutto quello che, nel bene e nel male, la storia della Repubblica ha espresso sin qui non potete avere dubbi né sull’opportunità o meno di andare a votare né su come votare. Ma se invece ritenete che dopo alcune decenni la nostra Costituzione, che la riforma non cambia nella parte dei principi, necessiti invece di “una messa a punto” per quanto riguarda, il governo, la formazione delle leggi, i poteri delle Regioni, il numero dei parlamentari, allora non potete che votare “Si”, con cognizione di causa e soprattutto con la certezza che si cambierà rotta.

martedì, giugno 13, 2006

UN ABBECEDARIO PER PRODI

di Giacomo Stucchi

Chi l’avrebbe mai detto, al primo mese di attività del governo Prodi le più feroci critiche al suo operato non provengono solo dalle pagine de la Padania, o da quelle dei giornali più vicini al centrodestra, ma da Eugenio Scalfari, fondatore ed editorialista di Repubblica, e da Francesco Merlo, firma di punta dello stesso giornale. L’analisi al vetriolo di Scalfari, giornalista tra i più schierati col centrosinistra e tra i maggiori sponsor di Prodi, pubblicata sul giornale di domenica scorsa non deve certo aver fatto piacere al presidente del Consiglio che anziché santificare il giorno di festa avrà probabilmente fatto penitenza. Magari chiedendosi “ma perché”, “ma come mai” a soli trenta giorni dal suo ritorno a Palazzo Chigi i giudizi sono così implacabili. Tanto più poi che l’articolo di Scalfari non si limita ad elencare la sconcertante defaillance dell’esecutivo guidato dal Professore, ovvero il proliferare di poltrone, l’incapacità di prendere decisioni, il caos totale su tutti i fronti (dall’economia alla politica estera), ma continua con il suggerimento di un vero e proprio programma, soprattutto economico, puntigliosamente enunciato nei singoli punti: dai contenuti della manovra correttiva del prossimo mese di luglio al Dpef (Documento di programmazione economica) quinquennale; dal rialzo delle aliquote Irpef al debito pubblico e al presunto rischio di una sua riclassificazione presso le autorità europee; dall’avanzo primario al rialzo dei tassi di interesse. Più che un articolo sembra un abbecedario politico per Prodi e la sua maggioranza, con le istruzione sulle cose da fare. Sembra poi una magra consolazione il fatto che l’editorialista di Repubblica, nel rinnovare la sua fiducia al ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, si dimostri ottimista sul suo operato perché subito dopo ammette che il vero problema è però lasciarlo lavorare e soprattutto fare quadrato intorno alle sue decisioni, ancorché impopolari. Beh, noi non sappiamo se il ministro dell’Economia abbia o meno la ricetta per risolvere i problemi economici del paese, quelli veri e quelli presunti tali, sta di fatto che a tutt’oggi non ci pare che Padoa Schioppa sia andato al di là delle mere enunciazioni di principio, né ci risulta siano state annunciate, e tanto meno assunte, decisioni degne di nota. La verità è che il neo ministro, come del resto molti altri suoi colleghi, ancorché avessero delle soluzioni ai problemi hanno poi enormi difficoltà a farle passare in Consiglio dei ministri, considerato la molteplicità delle posizioni politiche in esso rappresentate. Non meno indicativo, della scarsa fiducia che gli stessi osservatori vicini al centrosinistra ripongono nella capacità di Prodi di governare con successo il paese, è anche l’articolo di Francesco Merlo, nel quale stigmatizza un'altra “perla” del governo e cioè la riunione tra i portavoce dei ministri presieduta dal responsabile della comunicazione del Professore, Silvio Sircana. Un lavoro che si è subito dimostrato improbo, considerato che qualsiasi cosa dica Prodi questa è destinata a suscitare polemica nella variegata coalizione dell’Unione. E allora ecco la soluzione: togliere la parola ai portavoce e “consigliare” loro di non parlare più. Il che equivale a dire a un centravanti di non segnare oppure a un pilota di non tagliare per primo il traguardo. Dopo le menzogne in campagna elettorale, dopo lo scandalo di una vittoria ottenuta sulla base di risultati tuttora dubbi, dopo la vergognosa spartizione di poltrone e la loro moltiplicazione, perché si sa che l’appetito viene mangiando e questi dell’Unione dopo cinque anni di opposizione sono parecchio affamati, l’ultima chicca di questo governo è quindi quella di obbligare i portavoce a non comunicare e a stare zitti che tanto c’è Prodi che parla per tutti. Ma insomma, questi qui ci sono o ci fanno?

mercoledì, giugno 07, 2006

PRODI COME CLEMENTE V

di Giacomo Stucchi

Se da un lato continua l’accaparramento delle poltrone (che da ultimo ha visto il centrosinistra fare piazza pulita anche delle presidenze delle Commissioni di Camera e Senato, con l’aiuto peraltro dei soliti senatori a vita e di un franco tiratore spuntato nelle fila del centrodestra), dall’altro lato il governo dell’Unione brancola nel buio e non è in grado di prendere in mano la situazione per dare al Paese quelle certezze di cui ha bisogno. Tanto che il buon Prodi, nell’estremo tentativo di cominciare a capirci qualcosa, ha convinto tutti i membri del governo a lasciare la capitale e a ritirarsi nelle campagne umbre per una sorta di conclave istituzionale, lontano dalle eventuali influenze del Palazzo e dalle inopportune domande dei giornalisti. Che il Professore abbia pensato a Papa Clemente V, Papa eletto in un Conclave che si svolse a Perugia e che nel 1309 lasciò Roma ed elesse Avignone a sede provvisoria del papato, dopo i tumulti tra gli aristocratici romani (i Ministri di oggi) e le loro bande armate (i movimenti no global e disobbedienti vari di oggi) chiamandovi i cardinali e la curia romana? Chissà. All’epoca quella diaspora diede inizio alla cattività avignonese, un periodo che fu poi tristemente famoso per l’asservimento del papato nei confronti dei sovrani di Francia. Non vorremmo che adesso, quasi settecento anni dopo, cominci la cattività umbra. E’ quanto mai inusuale infatti che un governo in carica, peraltro insediato da poco e quindi all’apice dell’attenzione di mass-media e opinione pubblica, lasci Palazzo Chigi per andarsi a rifugiare in campagna, sia pur una tra le più belle al mondo. Delle due l’una: o hanno qualcosa da nascondere o hanno in mente di assumere decisioni talmente gravi e invise al popolo da avere la necessità di celarle il più possibile. Nei Palazzi del potere, si sa, anche le pareti hanno orecchie e così meglio andare nella terra di San Francesco, fors’anche per confessare in anticipo i gravi torti che il governo Prodi sta per commettere ai danni dei cittadini. Ai quali, ha già anticipato il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, sarà rifilata una manovra aggiuntiva, probabilmente già durante le ferie di agosto. Ricordate gli anni della Dc, di Craxi, Forlani e poi di Amato? Le stangate arrivavano sempre sotto il solleone. Perché? Ma perchè i cittadini erano distratti dalle vacanze e il governo poteva tranquillamente fare e disfare a loro insaputa. Con Prodi al governo la storia si ripete e quei tempi, e quelle strategie di governo, tornano in auge. La manovra bis, annunciata con strilli di tromba per bilanciare un presunto deficit nei conti dello Stato, altro non è che una vera e propria stangata utile soltanto ad impinguare le casse del centralismo romano e a compensare la nuova stagione degli sprechi che ha appena avuto inizio. Statene certi, la stangata lascerà il segno è arriverà puntuale proprio nel momento in cui, dopo un anno di lavoro, vi starete godendo il meritato riposo. L’ex ministro dell’Economia Tremonti ha più volte ribadito che è possibile evitare la manovra, e al contempo tenere in ordine i conti pubblici, semplicemente applicando con rigore la finanziaria per il 2006 che la Cdl ha approvato a suo tempo. Ma Prodi e i suoi amici hanno già preso accordi coi burocrati di Bruxelles per spremere a dovere gli italiani, e in Europa stanno già sfregandosi le mani per aver ritrovato nel Professore l’interlocutore giusto per mettere le mani nelle tasche dei cittadini. State certi infatti che, oltre all’aumento delle tasse, i tormentoni delle prossime settimane saranno proclami come “occorre maggiore stabilità europea”, “ci sono vincoli da rispettare”, “il futuro è nell’Europa”. Insomma, tante parole che significano una sola cosa: più tasse per tutti e più potere all’Ue e al suo centralismo. Del resto chi meglio di Prodi, che per cinque anni è stato il non rimpianto presidente della Commissione Ue, conosce metodi e tecniche per spennare a dovere i poveri cittadini? L’Unione europea, con le sue inutili e costose istituzioni, da anni costituisce il presidio ideale per attuare un centralismo fatto di regole astruse, assurdi vincoli e ingiuste imposizioni fiscali; e il Professore che, con il suo curriculum di boiardo di Stato, ne è un suo grande artefice non vede l’ora di mettersi all’opera.

QUANTE BUGIE SULLA DEVOLUTION

di Giacomo Stucchi


Parlare di rivincita del centrodestra in caso di vittoria dei "si" alle elezioni del prossimo 25 giugno, per il referendum confernativo sulla riforma costituzionale , è quanto meno improprio. In primo luogo perchè non bisogna guardare allla riforma voluta dalla Cdl nella scorsa legislatura come ad una soluzione di parte, magari adottata proprio per fregare l'avversario politico. No, non c'è nulla di tutto questo. La Costituzione, ovvero il fondamento di tutto l'ordinamento legislativo, possiede per antonomasia il carattere di astrattezza e di generalità che accomuna tutte le leggi. Se un singolo provvedimento legislativo, ancorchè giusto e necessario, può anche non essere condiviso da una parte dell'opinione pubblica, lo stesso non può accadere per la legge costituzionale nella quale invece ogni singolo cittadino deve riconoscersi pur nelle diversità e nelle specificità. In secondo luogo perchè, proprio in conseguenza di quanto detto sopra, un conto sono le regole nelle quali un popolo, sia pur composito e variegato, si riconosce e in nome di esse agisce in politica, nell'econmia, nel sociale; un altra cosa è invece l'agone politico nel quale i partiti o movimenti si confrontano, si presentano agli elettori e sulla base dei consensi ottenuti esercitano il ruolo di maggioranza o di opposizione. Come si vede, si tratta di concetti semplici, direi quasi elementari, almeno in una democrazia consolidata. Ma siccome a pensare male si fa peccato, ma molto spesso si indovina, andiamo oltre il suddetto ragionamento e cerchiamo di guardare la questione dal punto di vista di chi non vuole, avendolo dichiarato in tutti i modi, che il refendum confermativo venga approvato e per questo utilizza tutti gli strumenti, compreso quello della menzogna, per riuscirci. Bugia numero uno: nel centrosinistra si dice che la riforma della Cdl è il risultato di decisioni unilaterali e che in nessun punto ci sia l'accordo bipartisan. Si tratta di un'affermazione del tutto falsa. Il testo definitivo approvato nella doppia lettura di Camera e Senato, oltre ad essere passato al vaglio di tutti gli organi parlamentari competenti, nei quali sono rappresentati tutti i partiti di maggioranza e di opposizione, è stato più volte modificato anche con proposte dell'Unione. Ma il punto è un altro. Quando le proposte dell'opposizione erano effettivamente propositive sono state ben accette, ma quando invece esse hanno cominciato a diventare strumentali e mirate all'unico obiettivo di non far approvare la riforma in tempo per la conclusione della legislatura, allora il discorso è cambiato. Non si trattava più di accordi bipartisan, ma di scontro tra chi voleva fare la riforma e chi invece non voleva toccare alcunchè del testo del '46. Purtroppo, dopo cinque anni di governo della Cdl e molti altri di dibattito intorno al tema delle riforme, ancora oggi siamo qui a parlare delle necessità o meno di farle, mentre invece avremmo dovuto già cominciare a raccogliere i frutti dei cambiamenti. Un altra bugia, tra le più gettonate, è quella sui presunti effetti negativi della riforma. Premesso che dei suoi contenuti avremo modo di tornare in altri interventi, ciò che adesso preme far notare è la pesante campagna di dileggio messa in opera dal centrosinistra per screditarre agli occhi dell'opinione pubblica il nuovo testo costituzionale. Che non provocherà alcun dissesto economico, se alla sua approvazione seguirà anche quella del federalismo fiscale; che non produrrà maggiori diseguaglianze fra Regioni con caretteristiche e capacità economiche diverse, poichè sono previsti meccanismi di compensazione; che non darà luogo a nessuna confusione istituzionale, soprattutto nella ripartizione delle comperenze tra Stato e Regioni, in quanto di fatto supererà la sciagurata riforma del titolo V della Costituzione, voluta dal centrosinistra nel 2001 solo come specchietto per le allodole per intercettare i voti federalisti, finita invece per procurare un infinito numero di conteziosi che in molti casi hanno paralizzato l'azione amministrativa degli enti territoriali. Come appare evidente, se nella Cdl si vuole veramente portare a termine il processo riformatore avviato negli anni di governo, risultato possibile solo con una vittoria al refendum confermativo, bisogna per prima cosa fare un operazione di verità sui temi in questione. Ma il tempo non è molto e quindi non serve perderne ancora.