Giacomo Stucchi - Senatore Lega Nord Padania -

PENSIERI E IMMAGINI: vi presento il mio blog. Un modo per tenermi in contatto con gli elettori, con gli amici e con tutti coloro che, anche con opinioni diverse dalle mie, desiderano lasciare un loro commento. Grazie.

giovedì, febbraio 23, 2006

PROVE TECNICHE DI INCIUCIO

di Giacomo Stucchi
Le dichiarazioni del ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, rese in Commissione sono tanto sorprendenti quanto inverosimili. Non credo di sbagliarmi se affermo che il vice premier ha ben pochi elementi per affermare con certezza, in una sede istituzionale qual è quella dell’audizione parlamentare, che i disordini di Bengasi, con l’assalto al consolato italiano, siano stati una diretta conseguenza degli atti o delle parole di Roberto Calderoli. Perché allora, verrebbe da chiedere al vice premier a cosa imputa l’assassinio di padre Andrea Santoro, che viveva in Turchia da qualche anno, o il massacro di un sacerdote e quattordici cristiani in Nigeria, o tutti gli altri casi che hanno visto coinvolti esseri umani che non erano a rischio per colpa di Calderoli ma per il fatto di essere dei cristiani in terra musulmana? Diciamo quindi le cose come stanno: attribuire a uomini della Lega la responsabilità dei disordini in Libia è un infamia bella e buona. Fini non ha, così come chiunque altro nel governo o in parlamento, prove inconfutabili per affermare che Calderoli ha messo a repentaglio la vita anche di una sola persona. Se dovesse averle le tiri fuori, altrimenti taccia. Qualcuno diceva che “a pensar male si fa peccato ma quasi sempre si indovina”, ebbene vorrei sbagliarmi ma credo che le dichiarazioni di Fini più che alla ricerca della verità servano invece ad altri scopi, non certo attinenti al problema in questione. Dimentichiamoci infatti per un attimo dell’Islam e guardiamo invece alla politica di casa nostra. Dopo le accuse infondate a Calderoli, e quindi indirettamente al Carroccio, la seconda parte dell’intervento di Fini in Commissione è consistita in un appello all’opposizione ad affrontare di comune accordo il problema dei rapporti coi Paesi musulmani. Ora, Fini sa benissimo che uno dei tanti punti, forse il più sostanziale, che differenzia la Cdl dall’Unione è proprio quello della politica estera e tuttavia lancia un ponte a Prodi, Fassino e Rutelli. Non è che per caso hanno avuto ufficialmente inizio le prove tecniche di inciucio? A danno, manco a dirlo, della Lega Nord Padania che con la sua politica contro il centralismo dirigista, l’assistenzialismo e l’inutile burocrazia dello Stato, in questi anni al governo del Paese ha rotto le scatole a più non posso a tutti i partiti, di destra e di sinistra. Ma si, attribuiamogli pure qualche responsabilità, magari di avere messo a rischio la vita di italiani all’estero, così forse gli togliamo pure qualche voto a questi furbacchioni che adesso, tra l’altro, stanno pure cercando di toglierci consensi al sud. Il Sud, ma che c’entra? C’entra, c’entra. Con quanta gioia pensate sia stato accolto in An l’accordo del Carroccio con il leader dell’autonomismo siciliano, Raffele Lombardo, peraltro posto in essere guarda caso proprio grazie alla volontà di Calderoli, e naturalmente al disco verde di Umberto Bossi? Ve lo dico io: zero assoluto. Fini sa bene che, con l’attuale sistema elettorale, l’intesa del Carroccio al sud è una mina vagante anche nel suo elettorato, quello meridionale, che si sente peraltro tradito dalla politica inconcludente posta in essere dagli eletti nelle fila di An, Fi e Ccd. Solo in Sicilia, nel 2001, ne furono mandati in Parlamento 61. E cosa hanno fatto, salvo qualche rara eccezione, per i loro cittadini? Nada de nada. E allora, prima che tutti i buoi scappino dal recinto, quale migliore occasione dei disordini in Libia per andare addosso alla Lega e a quel fanatico cristiano di Calderoli? Vuoi vedere che magari, con questa scusa dell’intolleranza all’Islam, rispuntano fuori anche gli stereotipi sui leghisti razzisti che hanno sulle scatole i meridionali e si recupera qualche voto?

giovedì, febbraio 16, 2006

FEDERALISMO FISCALE NEL PROGRAMMA DELLA CDL

di Giacomo Stucchi

E’ difficile aggiungere chiarezza e competenza a quanto già scritto da Giancarlo Pagliarini nei suoi articoli sul federalismo fiscale pubblicati su la Padania. Persino gli avversari politici, dotati di un minimo di onestà intellettuale, non possono confutare le sue argomentazioni perché supportate da numeri e analisi concrete, non certo da chiacchiere. Il dato politico che ne deriva è questo: se il popolo non conferma coi referendum la riforma costituzionale varata dalla Cdl e se, a tamburo battente, nella prossima legislatura non si continua a marciare spediti sulla strada delle riforme, in primis con l’introduzione del federalismo fiscale, andiamo tutti a fondo. Qui non si tratta del destino di Berlusconi, di Forza Italia o della Lega Nord, qui c’è in ballo il futuro dei nostri figli, da Bolzano a Siracusa. Il problema è tanto semplice quanto drammatico: lo Stato per come lo abbiamo inteso negli ultimi sessant’anni, dal sistema pensionistico a quello sanitario, dalla pubblica istruzione alla sicurezza, controllato e diretto da Roma, non esisterà più. Un epilogo che non dipende dai destini elettorali della Cdl o dell’Unione, ma dallo stato delle cose. Prima o poi, infatti, l’attuale sistema per cui con le tasse prelevate alle Regioni di una parte del paese, si pagano le pensioni o la sanità di un'altra, imploderà. E sapete perché? Perché le imprese che sino ad oggi hanno tirato la carretta, versando al sistema centrale fiumi di denaro sotto forma di imposte, non reggono più. Nel libro dei sogni, e direi anche delle barzellette, scritto dall’Unione si parla di maggiori risorse per la ricerca e lo sviluppo. Ora, premesso che lo Stato non ha, e credo proprio non avrà anche nell’immediato futuro, le risorse economiche per incrementare il suddetto settore, e continuando il prelievo fiscale a portare via circa la metà che fatturano le aziende, quelle virtuose dove trovano il denaro necessario a diventare più competitivi sui mercati? Inoltre, come possono stare al passo con la concorrenza tecnologica da un lato, e la manovalanza da schiavitù che in Cina e in India fa si che un lavoratore costi un quarto di quello italiano? La risposta a questi problemi, che sono gli stessi di un paio di lustri fa ma che nel frattempo si sono ingigantiti al cubo, è quella del federalismo fiscale. Non c’è via di scampo. Solo quando ogni Regione potrà usufruire della ricchezza che produce, potremo migliorare la nostra vita e guardare al futuro con ottimismo. In tal senso, fa ben sperare l’accordo portato a casa dal ministro per le Riforme, Roberto Calderoli, con l’MpA di Raffaele Lombardo. L’intesa con il leader autonomista siciliano serve al Carroccio a far comprendere al Sud, attraverso un movimento fortemente legato al territorio, come solo con una forte spinta autonomista, che affranchi cittadini e imprese dal retaggio dell’assistenzialismo statale, sia possibile creare sviluppo e benessere. Anche perché con i vincoli dell’Ue, né l’incremento del debito pubblico né la svalutazione della moneta, possono essere la soluzione per rilanciare l’economia. Per la Lega Nord la strada delle riforme e del federalismo fiscale costituiscono quindi parte integrante del programma elettorale della Cdl. L’Unione invece, impegnata a portare in Parlamento il peggio del Paese anziché occuparsi seriamente dei suoi problemi, per mano dei suoi rappresentanti ha depositato presso la Cassazione le firme per il referendum contro la devolution. Ai cittadini, quindi, il compito di giudicare.

mercoledì, febbraio 15, 2006

L’IMPLOSIONE DELL’UNIONE

di Giacomo Stucchi - Anticipazione de LA PADANIA del 16 febbraio 2006

Se dovessi rappresentare la situazione in cui versa l’Unione la descriverei simile all’evoluzione di una stella: da nova, quando manifesta un improvviso aumento di luminosità, a supernova, quando essa esplode e si distrugge completamente. Allo stesso modo sta accadendo alla coalizione, si fa per dire, messa in piedi da Romano Prodi che prima ancora di cominciare la campagna elettorale vera e propria fa già acqua da tutte le parti. Aveva provato il Nostro a prendere in giro i cittadini, mettendo nero su bianco un programma elettorale dove ci stava un po’ di tutto e il suo contrario ma, come ha giustamente fatto notare il ministro Roberto Calderoli, “quando si scrivono molte pagine è perché non si hanno le idee molto chiare”. Così l’Unione ha fatto il botto già all’indomani della presentazione del programma (avvenuta peraltro perdendo già dei pezzi della coalizione, quelli della Rosa nel pugno e dei socialisti di Boselli) quando il sindaco di Torino Sergio Chiamparino e la presidente del Piemonte Mercedes Bresso, si sono accorti che tra le tante amenità del programma mancava invece una cosa seria: l’alta velocità in Val di Susa. Ancora devono conquistare Palazzo Chgi e già si fanno gli sgambetti. Probabile infatti che Prodi, pur di far venire alla presentazione del suo programma i Verdi di Pecoraro Scanio, altro attore non protagonista dell’armata Brancaleone del Professore, ha tolto di mezzo le grandi opere, salvo poi rifugiarsi in calcio d’angolo affermando che si era trattato di una svista. A complicare il tutto è subito intervenuto Bertinotti per dire che lui non solo non rinuncia alle candidature di Caruso, gran capo dei no global, e di Vladimir Luxuria, “la più spumeggiante, trasgressiva, divertente e conosciuta dark queenie delpanorama romano”, ma rilancia su Pacs e abolizione della proprietà privata in nome di un comunismo d’avanguardia che, a suo dire, deve avere cittadinanza nel programma di governo. E Mastella? Un giorno si e l’altro pure, mette in guardia il Professore dicendo che i voti dell’Udeur sono di elettori cattolici, ma che se continua così non potrà garantire alcunché. E Pannella? Non è da meno. Anche lui infatti avverte che se non si tolgono i soldi alle scuole private e non si liberalizzano gli spinelli, alle prossime elezioni politiche l’Unione farà la fine del Fronte democratico nel 1948, quando comunisti, socialisti, azionisti, democratici del lavoro si coalizzarono per sfidare la DC, nelle elezioni per il primo parlamento dopo l’approvazione della Costituzione, ma ebbero una sonora sconfitta. La storia è maestra di vita ma Prodi, che pure viene definito il Professore, sembra non tenerne conto. Egli fa finta di ignorare che il suo programma elettorale è simile ad un castello di sabbia sulla spiaggia pronto a crollare alla prima onda lunga, e cela al popolo la sua debolezza determinata tra l’altro dal fatto di non avere egli stesso un partito che lo supporti in Parlamento e che lo difenda dagli attacchi che già adesso gli vengono fatti da suoi presunti alleati. Si è detto che il successo della Cdl alle Politiche dipenderà soprattutto dall’affluenza alle urne dei cittadini e che la soglia oltre la quale la vittoria sarebbe certa è quella dell’ottanta per cento. Ebbene, io credo che i disastri che deriverebbero, nel caso in cui l’Unione dovesse andare al governo, dovrebbero convincere ad andare a votare il cento per cento dell’elettorato. Per salvare il Paese da un disastro certo.

giovedì, febbraio 09, 2006

Chi ci dice che anche nelle banlieu non fu tutto programmato?

di Giacomo Stucchi - da LA PADANIA - del 9 febbraio 2006

Uno dei problemi dei moderni mezzi di informazione, Internet in primo luogo ma anche la televisione, è quello di dimenticare fatti e circostanze con la stessa rapidità con la quale sono stati riferiti. Mi riferisco agli episodi di violenza delle scorse settimane che hanno devastato le città francesi. Di colpo, ad eccezione forse de la Padania e di telePadania, tali avvenimenti non erano più una notizia per la maggior parte dei mass-media che quindi non hanno più parlato di un fenomeno sociale e politico che invece merita non solo di essere approfondito ma anche monitorato. Chi può garantire infatti che le rivolte nelle banlieu non siano state del tutto spontanee, ma anzi programmate, allo scopo di mettere alla prova la resistenza delle istituzione d'Oltralpe? Chi ci dice che dietro il "miracoloso" ridimensionamento degli episodi di violenza, auto incendiate, vetrine dei negozi distrutti, esercizi commerciali saccheggiati, non ci sia stato un patteggiamento tra il governo francese e gli organizzatori delle rivolte? Quelli descritti non sono scenari apocalittici ma verosimili e, probabilmente, ci riguardano molto più di quanto si possa immaginare. Abbiamo già detto, in un precedente intervento su la Padania, che il nostro Paese non deve scontare le responsabilità storiche del colonialismo francese e che quindi attualmente la situazione delle nostre periferie metropolitane è diversa. Tuttavia, c'è una connessione diretta tra il sostanziale fallimento delle politiche sull'immigrazione in Francia, condotte dai governi di sinistra che si sono succeduti negli ultimi quindici anni, e ciò che potrebbe accadere in Italia in un prossimo futuro qualora si decida di aprire le braccia ad una moltitudine di immigrati. So bene che i perbenisti di maniera, o falsi liberali, etichetteranno questo articolo come il solito «intervento razzista e padano», ma il punto è che le rivolte degli immigrati francesi, in qualche caso di seconda o addirittura terza generazione, stanno ad indicare come queste popolazioni non siano riuscite ad integrarsi per niente in un tessuto sociale diverso. Ecco perché occorre riflettere bene, senza pregiudizi ma anche senza superficialità, su che tipo di società vogliamo lasciare ai nostri figli. I fatti francesi devono farci capire che quando si parla di perdita di identità, delle proprie origini, della propria cultura, non significa discutere di aria fritta ma di temi concreti, tangibili, almeno quanto le sassaiole parigine. Certo, oggi per i compagni e i loro accoliti è doveroso essere "solidali", favorire l'ingresso di migliaia di persone, che non si integreranno mai con gli usi e i costumi di casa nostra, spalancare le porte di casa a tutti coloro che desiderano entrarvi. Ma domani, quando tra vent'anni, o forse meno, avremo le periferie delle nostre città abitate da decine di migliaia di diseredati, senza patria né religione, chi penserà a risolvere i problemi che ne deriveranno?Una vecchio adagio ci ricorda saggiamente che prevenire è meglio che curare.Ecco perché, almeno sul problema dell'immigrazione, non solo è possibile ma è anche un dovere per tutti i cittadini scegliere da che parte stare.

mercoledì, febbraio 08, 2006

“AL LUPO AL LUPO”, LA LEGA TORNA ALLA SECESSIONE

di Giacomo Stucchi

Alcuni osservatori rimproverano alla Lega di essere tornata ai temi del secessionismo e della Padania libera e fanno notare come soltanto negli ultimi giorni, durante i quali ci si appresta a sciogliere le Camere per la fine della legislatura, il Carroccio rivendica la sua identità. Come se questo, ammesso che sia così, fosse un delitto. In realtà noi non abbiamo mai abiurato nulla né del nostro programma politico né dei simboli che lo caratterizzano, anzi. Persino la denominazione dei gruppi parlamentari, Lega Nord Federazione Padana, ha sempre indicato senza ombra di dubbio quale fosse il nostro obiettivo. Il problema semmai riguarda coloro che nel nostro Paese inneggiano ancora ai simboli della tirannia, per esempio la falce e il martello, senza che questo procuri il minimo scandalo. Oppure coloro che dovendosi costruire un immagine moderata, più consona a ruoli di governo, hanno rinnegato senza esitazioni le radici del loro partito. A noi invece nessuno può imputarci alcunché, tanto meno di aver abbandonato la strada maestra indicata dagli elettori sostenendo per quasi cinque anni il governo Berlusconi. Un periodo durante il quale i ministeri e i ruoli istituzionali non sono mai stati il fine ma lo strumento attraverso il quale raggiungere il nostro obiettivo, che resta quello del federalismo. La nostra esperienza di governo ha permesso di ottenere anche importanti risultati, come la legge sull’immigrazione Bossi-Fini, che persino l’Unione europea e alcuni Stati membri ci copiano, che ha introdotto il criterio per cui non si entra nel nostro Paese se non si ha un contratto di lavoro; o come la nuova legge sulla legittima difesa che, ispirandosi al principio di non far finire in galera coloro che per difendersi sono costretti a mettere in pericolo la vita dei malviventi, risponde all’esigenza di una maggiore sicurezza che in questo momento tutti i cittadini, e non solo gli elettori della Lega, chiedono alle istituzioni. Insomma, questi ultimi anni, così come tutta la storia della Lega, dimostrano che l’occupazione delle poltrone allo scopo di acquisire potere, magari per elargire prebende ad amici o parenti, oltre a non esserci mai stata, non fa parte della nostra cultura. Non dimentichiamo del resto che nel 1994 Umberto Bossi, quando capì che Berlusconi non avrebbe mai realizzato le riforme per le quali la Lega aveva accettato di allearsi con Forza Italia nelle Regioni del Nord, non esitò un istante a far cadere il suo primo governo. Anche allora la Lega non abbandonò né i suoi ideali né i suoi simboli, che non sono né di destra né di sinistra perché il Carroccio ha connotazioni territoriali e non ideologiche. Tutto questo è sempre stato sotto gli occhi di tutti, della pubblica opinione, dei mass media, dei falsi ben pensati sempre pronti a gridare “al lupo al lupo” quando le circostanze elettorali lo richiedono. Ma questa ipocrisia, di destra e di sinistra, non ci riguarda. Come non ci interessa chi nell’Unione fa finta di scandalizzarsi perché alle prossime elezioni politiche il movimento federalista del Nord sarà alleato con quello dell’autonomia del Sud guidato da Raffaele Lombardo, ovvero l’uomo che D’Alema ha sfacciatamente “corteggiato” andandolo ad ossequiare al congresso di Bari del suo partito, il Movimento per l’Autonomia, pur di avere i suoi voti nell’Isola. Ma Lombardo è uomo accorto e sa che solo alleandosi con un partito autenticamente popolare e legato al territorio, qual è la Lega Nord Padania, potrà sperare di raggiungere gli obiettivi politici che si è posto per far uscire il Mezzogiorno dalle secche dell’assistenzialismo e farlo camminare una volta per tutte con le proprie gambe.

martedì, febbraio 07, 2006

LE RETICENZE DI PRODI

di Giacomo Stucchi

Prodi comincia a rivelare qualcosa di quel che vorrebbe fare se malauguratamente tornasse a Palazzo Chigi. Il Professore nel corso di un intervista radiofonica ha proposto, tra l’altro, l’istituzione di un’Autorità indipendente per fare un controllo serio dei conti pubblici. Ebbene, delle due l’una: o Prodi dimentica che esiste la Corte dei Conti, le cui funzioni sono sancite all’art. 100 della Costituzione, oppure ritiene che la suprema magistratura di controllo non faccia bene il proprio dovere. A noi pare che un controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato esista già. In particolare, il controllo che la Corte dei Conti esercita ha natura preventiva per quanto riguarda la verifica della legittimità di una serie di atti che non hanno forza di legge (penso ai decreti che approvano i contratti delle pubbliche amministrazioni), mentre un controllo successivo viene esercitato sulla gestione del bilancio e del patrimonio di pubbliche amministrazioni, riferendo annualmente al Parlamento e ai consigli regionali. Peraltro, nella relazione del procuratore generale Vincenzo Apicella, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario, la magistratura contabile rileva come sia lo spreco la "vera piaga delle pubbliche amministrazioni, in continuo affanno nel perseguimento di risultati contabili" e come siano “in aumento le azioni per danno dovuto a consulenze esterne e incarichi". E’ utile ricordare come le consulenze esterne siano una prassi della pubblica amministrazione per lo più negli enti locali che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono retti da giunte di centrosinistra. Pertanto gli sprechi che lamenta la Corte dei Conti non sono da imputare all’azione del governo centrale ma a quella di Comuni e Province. Nel corso della sua intervista Prodi si è poi avventurato anche sul terreno delle riforme, asserendo che non avendo egli nulla da perdere, e neppure un partito di riferimento, non avrà condizionamenti di sorta. A noi pare che la questione stia in ben altri termini. E’ impossibile che il Professore sia talmente sprovveduto da non sapere che i suoi alleati di oggi, che già una volta lo defenestrarono dal governo, al momento opportuno faranno valere la loro forza politica e, soprattutto, il numero dei loro parlamentari. Sappiamo che nei prossimi mesi il leit motiv di Prodi sarà quello di ricordare a Rutelli e Fassino che la legittimazione della sua leadership nel centrosinistra deriva dalle primarie ma quando si tratterà di votare, gli scranni di Camera e Senato saranno occupati da deputati e, se tutto andrà bene, il Professore avrà dalla sua una pattuglia piuttosto sparuta di parlamentari che in nessun modo potrà incidere sull’agenda politica. In altre parole, gli impegni politici che oggi Prodi assume come premier in pectore dell’Unione, domani, ad urne chiuse, varranno quanto il due di coppe quando la briscola è di bastoni. Non è un caso infatti se Prodi si guarda bene dallo spiegare ai cittadini quali potrebbero essere i contenuti di queste riforme. Egli sa che in questo momento ogni proposta, che non sia condivisa anche da una sola parte della sua composita alleanza elettorale, potrebbe far crollare di colpo una coalizione dalle basi di argilla qual è quella dell’Unione. In essa, si spazia dalle posizioni di Rifondazione comunista, che in Liguria ha persino proposto l’esproprio degli appartamenti sfitti per concederli a tariffe agevolate a giovani coppie o agli sfrattati, all’Udeur di Mastella che sui cosiddetti Pacs ha già annunciato non solo di non essere d’accordo ma addirittura di essere disposto a far cascare il futuro governo. Con queste premesse non c’è da stare molto allegri.

LEGA E MPA, INTERESSI COMUNI

di Giacomo Stucchi

L’alleanza del Carroccio con il Movimento per l’Autonomia, guidato dall’europarlamentare e presidente della Provincia di Catania, Raffaele Lombardo, ha delle ragioni precise. Il ministro per le Riforme Roberto Calderoli ha già spiegato i termini dell’accordo, ma vale la pena ritornarci sopra. La Lega Nord Padania e l’MpA sono al momento gli unici movimenti fortemente radicati nel territorio e già in questo hanno una caratteristica comune. C’è poi un altro aspetto: tutti e due i partiti vogliono lo sviluppo e la crescita tanto del nord quanto del sud, ma l’esperienza politica di questi anni ci ha insegnato che per ottenere questo risultato non serve uno scontro tra popoli e culture. Anzi, una dicotomia tra nord e sud rischia di fare il gioco dei partiti centralisti, che tanto nel Polo quanto nell’Unione, sono la maggior parte e solo a parole dicono di voler cambiare le cose mentre in realtà vogliono mantenere lo status quo. Peraltro, un Mezzogiorno emancipato e finalmente avviato sulla strada dello sviluppo, che abbandoni per sempre lo sterile assistenzialismo degli ultimi decenni, non può fare che del bene a tutto il Paese. Di questo ne sono convinti Lombardo e i suoi sostenitori. Anche perché per realizzare le grandi infrastrutture, indispensabili per lo sviluppo delle regioni del sud, ci sono altre strade, come quella dei fondi strutturali europei. Ma per far questo occorre che movimenti popolari e radicati sul territorio si alleino per far fronte comune e portare in Europa le istanze delle regioni. La Lega peraltro ha già dimostrato di saper fare molto bene gli interessi dei suoi elettori portando a casa in questa legislatura straordinari risultati, come gli stessi autonomisti siciliani non mancano di riconoscere in ogni circostanza, ma purtroppo tutto questo non basta. Per vincere le elezioni politiche occorre, come ha già indicato il segretario Umberto Bossi, che il premier Berlusconi corregga il tiro della campagna elettorale considerando di più i temi della difesa della famiglia e delle nostre tradizioni culturali e religiose (messi a repentaglio sia dai Pacs della sinistra sia dall’aggressione degli integralisti islamici), della sicurezza delle nostre città, della lotta all’immigrazione clandestina, del “no” ai matrimoni tra gay. Dopo verrà un'altra battaglia e sarà quella decisiva per il “si” al referendum confermativo sulla riforma costituzionale voluta dalla Lega e approvata dalla Cdl. In tal senso, l’accordo politico programmatico tra Lega e MpA prevede un piena intesa. Un grande successo elettorale dei movimento federalista e autonomista alle elezioni per il rinnovo di Camera e Senato, costituirebbe il miglior viatico possibile per affrontare con successo la battaglia referendaria che, non dimentichiamolo, si combatte da Milano a Siracusa e che dovrebbe vedere dalla stessa parte gli alleati della Cdl. Ma se in futuro centrodestra e Unione, magari incoraggiati da un risultato alle Politiche vicino al pareggio, dovessero sacrificare il federalismo sull’altare della governabilità, allora non esiteremmo un istante nel dar vita ad un terzo Polo riformista, federalista e autonomista che farebbe tremare i polsi a tutti. Per tutte queste ragioni oggi serve guardare al Meridione, e ai suoi fermenti politici e sociali, con un occhio diverso rispetto al passato. Siamo sicuri che nei prossimi giorni non mancheranno le occasioni per ritornare su questi temi ma ciò che riteniamo essenziale chiarire da subito è l’obiettivo da raggiungere. Le alleanze politiche, e persino le rappresentanze parlamentari, sono infatti soltanto dei mezzi per il fine ultimo che è il federalismo.

LEGITTIMA DIFESA, VINCONO I CITTADINI

di Giacomo Stucchi

Dopo anni di lotta affinché, come in molti altri Paesi d’Europa e d’Oltreoceano, un cittadino aggredito e minacciato sia messo nelle condizioni di poter reagire in maniera proporzionata all’offesa ricevuta, il Carroccio porta a casa un altro tangibile risultato. Il principio che ispira la nuova legge sulla legittima difesa, che prevede la possibilità per i cittadini di usare le armi in casa per difendere se stessi o i propri beni, è quello di non far finire in galera coloro che per difendersi sono costretti a mettere in pericolo la vita dei malviventi. Sino ad oggi, infatti, quando un cittadino uccideva un criminale per difendersi il rischio era che la persona per bene finisse tra le sbarre per eccesso di legittima difesa. Oggi questo non è più possibile. Con la nuova normativa infatti nell'ipotesi di violazione di domicilio il cittadino che si difende procurando la morte al criminale non sarà più punibile, a condizione però che vi sia pericolo d'aggressione e che non vi sia desistenza da parte dell'intruso. Le nuove norme sulla legittima difesa valgono non solo all'interno delle abitazioni private, ma anche nei negozi e in ogni luogo dove sia svolta attività commerciale e imprenditoriale. Finisce così l’epoca in cui i cittadini venivano lasciati al loro destino, in balia della criminalità e per giunta col rischio concreto di trovarsi da uomini liberi in cittadini derubati dai ladri e gabbati dallo Stato. Un segnale importante, ancorché giunto quasi al novantesimo minuto della legislatura, che la dice lunga sulla volontà della maggioranza di voler portare in dirittura d’arrivo tutti quei provvedimenti per i quali si è lavorato negli ultimi anni ma che per vari motivi non si è potuto approvare per tempo. Come da copione i mass media di centrosinistra, o che fiancheggiano l’Unione, hanno gridato alla scandalo per l’approvazione di una legge che a loro dire legittima il detto “occhio per occhio, dente per dente”. In realtà la riforma risponde a precise e improcrastinabili esigenze della popolazione. I fatti di cronaca del resto portano all’attenzione di tutti episodi relativi a violente aggressioni in abitazioni private e in pubblici esercizi a scopo di furto. Non a caso, infatti, già nell’aprile 2004 la Lega Nord aveva presentato una proposta di legge per modificare l’articolo 52 del codice penale in materia di legittima difesa. “Non c’è dubbio che il nostro sistema penale – stava scritto nella pdl – preveda già adeguate norme incriminatici del furto e degli altri delitti contro il patrimonio, tuttavia occorre considerare che proprio i fatti ci mettono dinanzi ad una realtà di una violenza sconosciuta: incursioni notturne in abitazioni realizzate con una violenza che non risparmia neppure anziani o bambini e che spesso sfociano in esiti mortali per gli aggrediti. Per non parlare poi delle violente aggressioni a commercianti che si trovano costretti, anche a causa dell’esasperazione dovuta alla costante insicurezza in cui lavorano, a ricorrere alla legittima difesa”. Purtroppo, nonostante l’azione di contrasto delle forze dell’ordine e anche a causa della non corretta applicazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, con il conseguente ingresso nel nostro Paese di criminali d’ogni sorta, dal 2004 ad oggi la situazione non è molto cambiata. Del resto che i cittadini condividano il provvedimento lo dimostra anche l’esito di un sondaggio del Corsera, di solito non certo tenero con la Cdl, che testimonia come oltre il 66 per cento dei lettori è favorevole alla riforma delle legittima difesa. Ecco perché, per quanto ci riguarda, giustizia è fatta.

DIFENDIAMO IL NOSTRO FUTURO

di Giacomo Stucchi

Uno dei problemi dei moderni mezzi di informazione, internet in primo luogo ma anche la televisione, è quello di dimenticare fatti e circostanze con la stessa rapidità con la quale sono stati riferiti. Mi riferisco agli episodi di violenza delle scorse settimane che hanno devastato le città francesi. Di colpo, ad eccezione forse de la Padania e di telePadania, tali avvenimenti non erano più una notizia per la maggior parte dei mass-media che quindi non hanno più parlato di un fenomeno sociale e politico che invece merita non solo di essere approfondito ma anche monitorato. Chi può garantire infatti che le rivolte nelle banlieu non siano state del tutto spontanee, ma anzi programmate, allo scopo di mettere alla prova la resistenza delle istituzione d’Oltralpe? Chi ci dice che dietro il “miracoloso” ridimensionamento degli episodi di violenza, auto incendiate, vetrine dei negozi distrutti, esercizi commerciali saccheggiati, non ci sia stato un patteggiamento tra il governo francese e gli organizzatori delle rivolte? Quelli descritti non sono scenari apocalittici ma verosimili e, probabilmente, ci riguardano molto più di quanto si possa immaginare. Abbiamo già detto, in un precedente intervento su la Padania, che il nostro Paese non deve scontare le responsabilità storiche del colonialismo francese e che quindi attualmente la situazione delle nostre periferie metropolitane è diversa. Tuttavia, c’è una connessione diretta tra il sostanziale fallimento delle politiche sull’immigrazione in Francia, condotte dai governi di sinistra che si sono succeduti negli ultimi quindici anni, e ciò che potrebbe accadere in Italia in un prossimo futuro qualora si decida di aprire le braccia ad una moltitudine di immigrati. So bene che i perbenisti di maniera, o falsi liberali, etichetteranno questo articolo come il solito “intervento razzista e padano”, ma il punto è che le rivolte degli immigrati francesi, in qualche caso di seconda o addirittura terza generazione, stanno ad indicare come queste popolazioni non siano riuscite ad integrarsi per niente in un tessuto sociale diverso. Ecco perché occorre riflettere bene, senza pregiudizi ma anche senza superficialità, su che tipo di società vogliamo lasciare ai nostri figli. I fatti francesi devono farci capire che quando si parla di perdita di identità, delle proprie origini, della propria cultura, non significa discutere di aria fritta ma di temi concreti, tangibili, almeno quanto le sassaiole parigine. Certo, oggi per i compagni e i loro accoliti è doveroso essere “solidali”, favorire l’ingresso di migliaia di persone, che non si integreranno mai con gli usi e i costumi di casa nostra, spalancare le porte di casa a tutti coloro che desiderano entrarvi. Ma domani, quando tra vent’anni, o forse meno, avremo le periferie delle nostre città abitate da decine di migliaia di diseredati, senza patria né religione, chi penserà a risolvere i problemi che ne deriveranno?
Una vecchio adagio ci ricorda saggiamente che prevenire è meglio che curare.
Ecco perché, almeno sul problema dell’immigrazione, non solo è possibile ma è anche un dovere per tutti i cittadini scegliere da che parte stare.

LA CDL, GRAZIE ALLA LEGA, PUO’ DARE ALTRE RISPOSTE AI CITTADINI

di Giacomo Stucchi

Osservando i comportamenti dei partiti dell’Unione, ovvero la presunta alternativa alla guida del Paese, viene il mal di testa. Le diatribe sulle spese elettorali e sui capilista nelle circoscrizioni, per non parlare dell’incapacità di presentare un programma condiviso, hanno dato luogo ad un rebus la cui soluzione probabilmente nemmeno i leader del centrosinistra conoscono. Che desolante spettacolo, Prodi e compagni ambiscono a guidare il Paese ma poi non sanno organizzarsi nemmeno in casa loro. Ogni qual volta credono di avere fatto un passo avanti, finiscono invece per farne dieci indietro. Se Fassino e Rutelli dicono di aver trovato l’accordo sulle cose da fare, c’è subito Bertinotti che dice di “non essere d’accordo”. Non c’è da stupirsi però. Questa è gente abituata ormai da un lustro a parlare e basta. Questa è gente che non ha nessuna soluzione né per affrontare i problemi globali che affliggono la comunità internazionale, quali quelli del terrorismo islamico e dell’economia, né questioni locali, come la sicurezza nelle città, il controllo dell’immigrazione o una maggiore efficienza nella pubblica amministrazione. Questa è gente che sa solo dire il contrario di quel che afferma il presidente del Consiglio Berlusconi ma poi, alla prova dei fatti, non è in grado di combinare nulla di buono: dai pacs alla politica fiscale, dai rapporti col Vaticano a quelli con Bush, dalla politica energetica a quella agricola, non esiste un tema sul quale il Professore possa dire una sola parola senza correre il rischio di essere smentito un minuto dopo dai suoi alleati. I cittadini non sono stupidi, sanno tutto questo e si rendono conto delle conseguenze negative che potrebbero esserci per il Paese nell’ipotesi in cui il centrosinistra ritorni a Palazzo Chigi. La Cdl ha sbagliato sicuramente alcune scelte in questi anni al governo e, se si fossero valutate con più attenzione le soluzioni di volta in volta avanzate dalla Lega Nord Padania questi errori sarebbero stati evitati. Tuttavia è impossibile negare che questo governo può vantare il più significativo fatturato politico e amministrativo mai prodotto da un esecutivo in tutta la storia repubblicana. Si tratta di un risultato importante che, unitamente al fatto di aver dato vita al più lungo periodo di stabilità politica degli ultimi cinquant’anni, costituisce da solo un valore aggiunto rispetto al centrosinistra che invece quando andò al governo combinò disastri sotto tutti i punti di vista. Nessuno può cancellare questi fatti, mentre l’ipotesi di protrarre di qualche giorno lo scioglimento delle Camere, già annunciato con largo anticipo rispetto alla data del voto prevista per il 9 aprile, temo possa servire a poco. Come ha già detto il segretario federale Umberto Bossi “le macchine dei partiti sono puntate sulle elezioni e non si riesce ad approvare più niente”. Se governo e Parlamento, inteso come Presidenti delle Camere, ritengono utile per il Paese continuare a lavorare non sarà certo il Carroccio a mettersi di traverso. La campagna elettorale è già cominciata. Ciò che serve, forse, non è dilazionare “il rompete le righe” ma entrare nel vivo dei temi più sentiti dai cittadini: federalismo fiscale, famiglia, economia, lavoro, immigrazione, casa, sicurezza. Sono queste le questioni sul tappeto sulle quali l’opinione pubblica si aspetta idee, soluzioni, prospettive. Per quanto ci riguarda siamo convinti che la Lega, su ognuno di questi temi, può essere ancora l’elemento determinante per scrivere nel migliore dei modi il contenuto di un nuovo patto elettorale che l’Unione non ha e non avrà mai.